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Bahrein: si spengono le luci sul circuito, ma la “corsa” continua
Sport
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“In Bahrein veniamo lentamente uccisi dal silenzio internazionale per il nostro unico crimine di chiedere il diritto all’autodeterminazione. Con l’inizio della gara di Formula Uno, vorremmo che guardaste oltre al circuito. Guardate le strade del Bahrein, dove chi chiede democrazia sta correndo la sua corsa contro il tempo per la vita e la libertà”.
Così faceva appello alla comunità internazionale e al mondo dello sport Sayed Yousif al-Mahafdah, responsabile della comunicazione per il Bahrain Center for Human Rights BCHR, appello largamente inascoltato dai media, che riempiono le loro pagine con la incredibile vittoria di Sebastian Vettel su Red Bull.
Un angolo di primavera araba dimenticato, il Bahrein.
Dopo più di due anni di incessante protesta contro il regime, ancora una volta il piccolo arcipelago tenta di usare il palcoscenico del Gran Premio per farsi vedere, senza riuscirci.
Innumerevoli le manifestazioni organizzate la scorsa settimana, sia dalla principale formazione politica sciita di opposizione al-Wefaq, sia dalla cordata della società civile della Coalizione del 14 Febbraio.
Venerdì 19 aprile, a marciare pacificamente lungo l’autostrada c’erano circa 10 mila persone, che protestavano contro la decisione di correre la gara nonostante la situazione di violenza costante nel paese, e contro il regime di re Hamad bin Isa Al Khalifa.
Molto meno pacifiche sono state invece le proteste attorno al circuito di gara, che hanno lasciato sulla strada almeno 40 feriti secondo le fonti della Bahrain Youth Society for Human Rights (BYSHR).
La mobilitazione di associazioni e ong contro l’appuntamento annuale con la Formula Uno in Bahrein era iniziata già da un paio di settimane, con le quattro lettere aperte inviate agli organizzatori e ai promotori della gara da BCHR, BYSHR, Bahrain Press Association e Campaign Against Arms Trade.
Una chiamata al ritiro e al boicottaggio, nella speranza di una presa di coscienza internazionale della situazione dei diritti civili e politici nel paese. Una chiamata caduta inascoltata.
A riprovarci, proprio a ridosso del via, era stata anche Reporters Sans Frontieres, che aveva lanciato l’iniziativa virale ‘Don’t leave news out of the race‘.
Nell’immagine pubblicitaria, il casco di un pilota riflette la rabbia di un popolo che scende in piazza da due anni per chiedere pari diritti e riforme democratiche.
Lo scopo dichiarato della campagna era portare in luce la politica di disinformazione orchestrata dal governo del Bahrein circa le proteste e la stretta repressiva in atto nel paese.
Nel mentre, dal paese venivano espulsi gli operatori della britannica ITV, colpevoli di aver raccontato degli scontri in atto nei villaggi. Stessa sorte è capitata ad un fotoreporter tedesco, fermato nei pressi di piazza della Perla a Manama.
“Il regime sta tentando di usare la gara per un’operazione di candeggio politico volta a coprire le sue continue violazioni dei diritti umani. Ospitando la Formula Uno in Bahrein lancia un messaggio del tipo ‘tutto è tornato alla normalità’. L’uso costante di parole come ‘terrorista’ e ‘vandali’ per demonizzare le voci critiche con il regime è parte della sua campagna per mettere in un angolo le richieste quotidiane di democrazia mentre continua con la sua violenta repressione”.
Così commentava Maryam al-Khawaja, e non a torto.
In una intervista rilasciata ad Al Jazeera, a chiamare i manifestanti ‘terroristi’ era stata il ministro dei servizi di Comunicazione, Sameera Rajab, mentre l’iraniana Press TV, organo di informazione in lingua inglese di Teheran, dava la notizia dell’arrivo di mezzi blindati e di armi dalla vicina Arabia Saudita per garantire la sicurezza nel paese durante i giorni della gara.
E mentre il patron della Formula Uno Bernie Ecclestone rispondeva alla domanda della BBC sulla strumentalizzazione da parte del governo bahreinita della gara, dicendo che sì, il governo aveva fatto una mossa davvero stupida consentendo che la gara avesse luogo, facendola diventare un’arma nella mani della popolazione in rivolta, Maryam al-Khawaja continuava sottolineando come la questione non fosse tanto l’attenzione mediatica rivolta alla gara, ma “chi ricompenserà le vittime di questa gara per il prezzo che stanno pagando per ottenere questa attenzione?”
“Quando le telecamere si saranno spente, la repressione intensificherà la sua vendetta, e il mondo non starà già più guardando”.
A poche ore dalla vittoria di Sebastian Vettel nel circuito di Sakhir, le forze di sicurezza facevano irruzione in un istituto scolastico superiore, sparando lacrimogeni sui ragazzi che protestavano contro l’arresto di un loro compagno avvenuto proprio all’interno della scuola qualche giorno prima.
Marta Ghezzi
Fonte: osservatorioiraq.it