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Sud Sudan: il basket che fa "dimenticare" la guerra
dal blog "Codice deontologico dei giornalistə"
Sud Sudan. Data di nascita: 9 luglio 2011. Sei anni di vita, sei anni di guerra, alternati da qualche momento di pseudo pace, se così la possiamo definire. Il conflitto è però molto più datato, ereditato da un passato lontano quando il Sud Sudan era solo Sudan, anzi il sud del Sudan. Un conflitto iniziato addirittura poco prima dell'indipendenza. Rischio genocidio, prove di genocidio, pericolo genocidio titolano i media, ma quello che accade in Sud Sudan è una carneficina. Lì si muore dimenticati dal mondo, o da parte di esso. Ma c'è anche un altro Sud Sudan: quello che a Juba, capitale del paese, corre in carrozzina su è giù per un campo da basket desideroso di fare canestro. Da quel punto di vista, da quel luogo, la guerra sembra lontana nel tempo e nello spazio. L'iniziativa svoltasi a gennaio 2017 e conclusasi pochi giorni fa, è del comitato internazionale della Croce Rossa, in collaborazione con Wheelchair Basketball Association, che ha invitato un allenatore del Colorado (USA), Jess Markt, un "esperto" di basket in carrozzina e di basket in contesti di conflitto come Afghanistan, India, Palestina e Cambogia dove ha già portato aventi delle manifestazioni simili. L'iniziativa era rivolta a tutti, giocatori, allenatori, ma anche a chi non avesse mai giocato "seriamente" a basket. C'è chi è giunto da vicino, dagli agglomerati abitativi spontanei, detti campi, allestiti attorno alla capitale o da molto lontano, da zone rurali come Yirol, al centro del paese per trascorrere due settimane sui campi da gioco: allenamenti, partite, momenti formativi. Lo sport è una grande speranza e un potente vettore di pace: c'è il riscatto personale, il riconoscimento della differenza, quella fisica, ma anche quella sociale legata al gruppo etnico di appartenenze, il desiderio di vedere domani superate le difficoltà politiche ed economiche che dilaniano il paese, questi gli obiettivi di chi ha messo in campo il basket in carrozzina per far parlare il linguaggio della pace. Perché la pace non è assenza di guerra. La pace si costruisce (forse) anche attraverso il basket e anche attraverso la disabilità.







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