La Francia sotto attacco: il giovedì nero del lockdown e dell’attacco terroristico a Nizza

La Francia, da giovedì serrata nel lockdown, ha anche un altro nemico: l’odio islamista. Dalla Turchia all’Iran, dal Bangladesh al Qatar innumerevoli sono state le manifestazioni contro il presidente Macron, fino all’attentato a Nizza. Ma quali sono le radici di tutto questo?

Giovedì 29 ottobre un uomo armato di coltello presso la basilica di Notre-Dame de l’Assomption a Nizza ha ucciso due donne e il sagrestano. I parrocchiani hanno affermato che “è stato uno shock. Siamo disgustati da quello che è successo. C’è un tentativo di rendere la Francia un ostaggio, ma noi non intendiamo cedere a questo assedio” .

Approdato a Lampedusa solo il 20 settembre scorso, il terrorista era stato a bordo della nave quarantena Rapsody e, dopo due settimane, era arrivato a Bari insieme ad altri 800 migranti. Il giovane era stato fotosegnalato dal personale della questura barese e fatto scendere dall’imbarcazione. Nei suoi confronti gravava un decreto di respingimento emesso dalla prefettura di Bari, con l’ordine del questore di lasciare l’Italia entro 7 giorni: era stato considerato un migrante economico da respingere. 
Tuttavia, sparisce presto dai radar e arriva oltralpe portando la morte.
L’uomo è un 21enne proveniente dalla Tunisia, proprio un Paese in cui la libertà di espressione è la principale conquista della rivoluzione del 2011. Ora è ricoverato ma non in pericolo di vita. E dice solo: “Allahu Akbar”.

Ma come si è arrivati a tutto questo?

Macron è diventato il bersaglio di manifestazioni islamiste dopo aver promesso che la Francia – “Paese dove è nato l’illuminismo” – avrebbe continuato a difendere la satira, durante un tributo nazionale, tenutosi mercoledì 21, in memoria di Samuel Paty, il professore decapitato da un estremista islamico il 16 ottobre scorso per avere mostrato alcune vignette su Maometto del giornale Charlie Hebdo, mentre spiegava agli studenti cosa rappresenta la libertà di espressione.
Nello scorso febbraio, inoltre, il presidente aveva tenuto un duro discorso contro il “separatismo islamico”, cioè  la segmentazione, all’interno della società francese, di sacche di cittadini che contestano i valori della Repubblica, aizzate da predicatori estremisti che operano in scuole non autorizzate o influenzate da Paesi stranieri. Il 9 dicembre, Emmanuel Macron presenterà, altresì, un progetto di legge contro il separatismo, nel quale i nodi principali saranno la questione sia del finanziamento estero delle moschee in Francia, sia della formazione degli imam. 

La scintilla di questo movimento antifrancese si è accesa in Turchia,  dopo che il presidente Recep Tayyip Erdogan ha cavalcato l’onda di furore dei Paesi musulmani sostenendo che in Francia si trattano gli islamici come gli ebrei prima della Seconda guerra mondiale. Dopo aver messo in dubbio la “sanità mentale” di Macron all’indomani del suo discorso di commemorazione del docente decapitato, Ankara ha chiesto il boicottaggio dei prodotti francesi.
La situazione è peggiorata quando Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta in cui si vede Erdogan alzare l’abito di una donna velata. La Turchia quindi ha riattaccato Macron, affermando addirittura che quest’ultimo “vorrebbe rilanciare le crociate”. 

Lo scenario sembrava diverso in Tunisia: mentre nel sud della regione solo poche dozzine di manifestanti bruciavano la bandiera francese, quaranta intellettuali ratificavano una petizione che chiedeva il processo a un deputato islamista che aveva giustificato l’assassinio di Paty. È proprio dalla Tunisia, però, che proveniva il carnefice dell’attentato di giovedì, Aouissaoui Brahim.
Anche Dacca, capitale del Bangladesh, risponde a queste tensioni bruciando un’immagine del presidente Emmanuel Macron.
Dal Kuwait alla Giordania, invece, i supermercati pianificano il boicottaggio e il Qatar annulla la “settimana della cultura francese”.
Il presidente dell’Iran Hassan Rouhani ha dichiarato che “insultare Maometto vuol dire insultare tutti i musulmani”. Anche qui, bandiere francesi e fotografie di Emmanuel Macron sono state letteralmente date alle fiamme davanti all’ambasciata di Parigi a Teheran. Il presidente francese è stato paragonato allo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, condannato a morte con una fatwa dell’Ayatollah Khomeini nel 1989 per il suo romanzo I versi satanici, questione che aprì un fittissimo dibattito tra la stampa internazionale. Quest’ultimo episodio, insieme ai roghi di libri preparati dai musulmani inglesi, alimentò e sostenne la retorica della bipolarità tra due mondi, Oriente e Occidente. Adesso, ci risiamo: “la libertà d’espressione viene usata da Parigi per fomentare l’islamofobia e iniettare odio nel mondo”, sostiene Teheran.

Dove affondano le radici di quest’odio?

Facciamo un esempio e un salto in un mondo completamente diverso dal nostro e dominato dagli Imperi, quei colossi pluricromatici che hanno caratterizzato lo scacchiere internazionale prima della Grande Guerra. 
Agli inizi del XIX secolo l’Occidente appoggiava la secessione greca dall’Impero Ottomano, chiamandolo barbaro, mentre i francesi si impossessavano dell’Algeria, ottomana anch’essa, ma in quanto tale non beneficiaria di ideali di libertà e fraternità.
Mentre gli imperialisti europei si sentivano legittimati a rosicchiare porzioni di un impero in via di estinzione (quello ottomano), non si ponevano il minimo impedimento a governare su milioni di musulmani. 

È cominciata così una narrazione artificiosa di un Occidente civilizzato in perpetuo conflitto con un Oriente primitivo.
Una faida (che si chiami jihad o crociata, a voi la scelta), che non è sempre esistita, ma che è andata alimentandosi nella storia recente e della quale, adesso, però, in parte se ne scontano le conseguenze.

Dalla fine degli anni Settanta, infatti, i movimenti di impronta laica e nazionalista che avevano trovato espressione nel trionfo terzomondista venivano scalzati da diversi partiti connotati da una fisionomia di ispirazione marcatamente islamica. Essi assunsero lo stesso influsso che, in anni appena precedenti, avevano esercitato da un lato la figura di Nasser in Egitto e dall’altro la Guerra d’Algeria (1954-1962): si caricavano di credibilità e si diffondevano velocemente.  Dopo il 1979 e la Rivoluzione Iraniana, il Hizbullah si sviluppava in Libano e il Hamas iniziava la sua ascesa, per la liberazione della Palestina, sfidando i fallimenti del nazionalismo laico. 

La Rivoluzione islamica del 1979, incarnata nella presenza di un Imam capace di richiamare a se la leadership musulmana, rappresentò uno snodo determinante all’interno dello scacchiere mediorientale e islamista.
Si presentò, dapprima, come voce panislamica di recriminazione contro gli appetiti petroliferi occidentali; successivamente, si convertì in una teocrazia limitante, chiudendosi in un’autoctonia destabilizzante ed aliena: la paura dell’occidente sarebbe poi stata l’autorizzazione alla legittimità nei confronti di un generalizzato e giusto terrore contro il nemico Islam, senza distinzioni.

Questa divaricazione tra i due mondi è stata alimentata anche in tempi più recenti, dal genocidio dei musulmani bosniaci, in particolare dal massacro di Sbrebrenica durante il quale ne furono uccisi 8000 nel luglio 1995, tragico capitolo della guerra in Bosnia ed Erzegovina (1992-1995), uno dei teatri più tetri del decennio dei conflitti jugoslavi (1991-2001); all’11 settembre 2001 e al presidente George W. Bush che dichiarava una guerra preventiva al terrorismo, in primo luogo contro Osama bin Laden, responsabile ideatore dell’attacco; fino al 7 gennaio 2015 ancora indelebile nelle nostre memorie, l’attacco terroristico contro Charlie Hebdo e, insieme a questo, al pensiero democratico occidentale.

Tutti questi colpi, uniti, dall’unico filo rosso di una storia che non ha, ahinoi, ancora trovato la sua fine.

di Rosarianna Romano – OTHERNEWS

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