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Daadab non si chiude!
dal blog "Codice deontologico dei giornalistə"
Perlomeno fino a nuova decisione, il campo più grande del mondo non chiuderà. Lo ha deciso lo scorso 9 febbraio l'alta corte del Kenya che ha respinto la richiesta del governo definendola illegale e incostituzionale, un atto di persecuzione contro un gruppo di persone e una violazione del diritto internazionale. Si tratta del campo per richiedenti asilo e rifugiati più grande al mondo. Cinque città nella città: Dagahaley, Hagadera e Ifo I costruite nel 1992 per accogliere i primi somali in fuga dalla crisi del paese a seguito della caduta di Siad Barre e dalla guerra civile; Ifo II e Kambioos costruite nel 2011 dopo che 130.000 persone hanno lasciato la Somalia spinte da una severa siccità. Migrazioni forzate, migrazioni ambientali...ma in una parola migrazioni che attraversano il pianeta e che laggiù, in Kenya, non lontano dal confine geometrico con la Somalia hanno un'elevata intensità abitativa. Secondo l'UNHCR, a Daadab vivono circa 250.000 persone prevalentemente di origine somala. "Di origine", perchè in realtà molti sono nati sul suolo keniano e della Somalia conoscono solo il nome. 58% degli abitanti è composto di giovani con meno di 18 anni. Questi hanno frequentato o frequentano le scuole lì, in Kenya, quando e se possibile escono dal campo e vedono terra e genti keniane. Qui è la loro casa. Dei rimpatri "volontari" comandati dal governo keniano, le prime e le seconde generazioni non condividono gli intenti. "Non siamo terroristi", dicono. Il governo del Kenya, impegnato, specialmente nell'ultimo anno, ad avviare la propria campagna elettorale, ha impostato la ricerca del consenso attraverso linguaggi securitari che mettono al primo posto la sicurezza dei keniani. Il nemico dal quale proteggersi è Al Shabab, il gruppo terroristico di matrice somala che ha insanguinato il Kenya in almeno due occasioni ricordate anche a livello internazionale: l'attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi nel 2013 e quello all'università di Garissa nel 2016. C'è chi prende le distanze perchè fare di tutta un'erba un fascio non va bene qui come altrove. Nel campo si vive, si studia, di fa famiglia, si costruiscono sogni di futuro nonostante la precarietà di un'esistenza in attesa di riconoscimento, di uno status, di un carta d'identità. "Non siamo terroristi!". Uomini e donne di Daadab sognano di entrare a far parte dignitosamente della società keniana, di essere inseriti in qualche altra comunità urbana o rurale in Kenya, o se proprio il destino li portasse a lasciare il paese di nascita, in qualche paese terzo. "Preferisco morire qui piuttosto che andare in Somalia. Sono nato qui e per tutta la mia vita ho conosciuto solo questo campo, la mia casa. Se proprio dovessi andare, vorrei essere accolto in un paese terzo (Mohamed, 20 anni). Qualcuno è riuscito ad ottenere lo status di rifugiato e ad essere accompagnato negli Stati Uniti, in Canada o in qualche altro paese del nord del mondo. Chiudere il campo avrebbe significato anche compromettere tutte le procedure di riconoscimento in corso trasformando in caos una situazione già assai complessa e vulnerabile. Il governo ha però già fatto ricorso. Se non fosse per i numeri, sembrerebbe quasi una vicenda di casa nostra. Continueremo a seguirne gli sviluppi. #Kenya







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