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A caccia di terra
dal blog "Codice deontologico dei giornalistə"
Seguendo il corso del Nilo a nord di Khartoum si può certo rimanere affascinati dalla vegetazione rigogliosa che si affaccia sul corso d’acqua. Le terre più vicine al fiume sono quelle tradizionalmente curate dalle genti del posto. Qui la preziosa acqua del Nilo viene usata per far fiorire quelli che senza dubbio sono più giardini che orti. Se poi ci si allontana dal corso d’acqua si raggiungono i primi villaggi dei contadini. Se ancora si decide di proseguire ci si dovrà inoltrare nel deserto, nei grandi spazi a disposizione delle comunità, alcune nomadi altre stanziali, che basano il loro sostentamento sull’allevamento di bestiame. Si dirà che il Sudan è un paese immenso e che la sua estensione non potrà certo fornire ragioni a conflitti sulla disponibilità della terra. E’ vero il Sudan è un Paese enorme, ma quello che sta avvenendo in quest’area sta assumendo una proporzione tale da rappresentare un fenomeno con un potenziale di cambiamento strutturale a lungo termine sia per gli ordinamenti sociali e giuridici locali che per le economie nazionali e su scala globale. Investimenti, principalmente provenienti dal mondo arabo (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in testa), si stanno traducendo nell’acquisizione di migliaia e migliaia di ettari di terreno a scopi di produzione agricola. Attraverso varie opere di infrastrutturazione idraulica e il massiccio utilizzo di agenti chimici, il deserto viene così trasformato in un sistema di quelle che potremo chiamare oasi. Ciò che viene prodotto non è però di alcuna rilevanza per la popolazione sudanese. La coltura principale, foraggio per animali, viene completamente esportata. Alla popolazione locale non resta nulla; non vi è nemmeno una considerevole offerta di lavoro a causa di un’agricoltura fortemente meccanizzata che necessita quindi di un basso numero di lavoratori con speciali competenze. Inoltre, chi decide di investire in queste grandi operazioni di produzione agricola, lo fa anche perché sa di dover pagare una quota irrisoria per l’acquisizione di suolo e soprattutto perché non vi è alcuna tassazione relativa all’utilizzo delle acque del Nilo. Questi enormi spazi desertici messi a produzione sono pure visibili dal satellite. Osservarli dall’alto può rendere davvero l’idea della loro effettiva grandezza. Come si diceva poco fa, il Sudan ha un’estensione impressionante, ma spesso un’ampia disponibilità di terra ha portato a considerare quest'ultima come marginale, inattiva o degradata oppure poco popolata, se non vuota. Così, nonostante il territorio sia vissuto attraverso pratiche agricole e pastorali tradizionali, le proprietà consuetudinarie e le pratiche comunitarie vengono scavalcate dalla convinzione, privata e statale, che solo investimenti su larga scala possono essere la risposta a quella che è ritenuta un'arretrata economia locale. Lungi dal credere che l’economia tradizionale sia alla base di un mondo idilliaco, non possiamo comunque non ammettere che almeno questa è alla base di uno sviluppo locale capace di migliorare l’ambiente comunitario a differenza dei grandi progetti agricoli improntati ad accrescere profitti di privati e governanti consenzienti.







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