Il Tavolo della sovranità alimentare ad Agripolis

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Il Tavolo della sovranità alimentare composto da associazioni ambientaliste, dei consumatori e del settore agricolo, si incontrerà fino a sabato ad Agripolis, il polo tecnologico di Legnaro (Pd). La due giorni del Tavolo della sovranità alimentare precede di una settimana la scadenza del 30 luglio, quando il Governo italiano deciderà le modalità di applicazione degli aiuti comunitari agricoli per il 2005, previsti dalla nuova riforma di medio termine della Pac.

Il futuro Dell'agroalimentare italiano in mano ai soliti Noti

il 30/luglio '04/ una data che rischia di segnare una svolta negativa ed irreversibile dell'agricoltura italiana. Il Governo Italiano è chiamato a decidere le modalità di applicazione degli aiuti comunitari agricoli per il 2005, previsti dalla nuova riforma di medio termine della PAC, proposta dal commissario europeo Fischler.La posta in gioco e altissima non solo per l'entità degli aiuti (circa 5 miliardi di euro annui ) che condizionerà tutto il sistema agroalimentare ma anche per la qualità ambientale e sociale del territorio agricolo, che rappresenta oltre il 70% della superficie del nostro paese. In sostanza la politica di sostegno alle attività agricole europee, originariamente incentrata sul sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli e delle derrate alimentari, si trasforma con la nuova PAC in integrazione del reddito aziendale di ogni singolo coltivatore, svincolato da cosa si produce e se si produce .
In altri termini l'agricoltore percepirà la media dei fondi della comunità europea, a qualsiasi titolo percepiti negli ultime tre anni, in una unica soluzione annuale e per i prossimi quindici anni, anche se non produce più niente e lascia i terreni incolti.

L'aiuto comunitario si svincola quindi dalle produzioni e dal lavoro e entra a far parte della rendita agraria dei conduttori del fondo o i titolari delle famigerate quote di produzione. Questa è la sintesi della riforma, già di per sè inaccettabile di principio perché svincola il sostegno alle aziende dalla produzione e quindi dal lavoro, ma lo è ancor di più se si entra nel merito specifico della proposta nei vari comparti produttivi.
Ne sia un esempio il fatto che gli agricoltori possessori di quote di produzione di grano, vino, latte, olio, ecc potranno vendere le loro quote di produzione assegnate e percepiranno comunque i premi di produzione per i prossimi quindici anni.
Una riforma pomposamente sbandierata alla sua presentazione due anni fa come la grande svolta storica e ambientalista perché in teoria vincolava gli aiuti all'ecosostenibilità delle produzioni, una riforma "democratica" perché in teoria doveva riservare grandi risorse alle politiche agricole regionali per le azioni strutturali del settore primario tese alla qualità , alla tracciabilità e all'ecocompatibilità.
Ogni giorno di più la riforma appare per quello che è in realtà: un perfezionamento, anzi un affinamento smaccato dei processi agricoli liberisti tenacemente perseguiti nel settore in questo trentennio.
Dietro la proposta di riforma, infatti, ci sono come sempre le politiche agricole della Comunità Europea denunciate dai paesi in via di sviluppo a Cancun, politiche che non pongono al centro la multifunzionalità del settore primario in quanto garante del lavoro e della funzione etica legata alla produzione del cibo e all'energia per rinnovare le forze e la vita dei cittadini consumatori e non meno al ruolo centrale del presidio ambientale.

La nuova PAC sostenuta dal governo perfeziona in modo vergognoso il processo di " finanziarizzazione" dei processi alimentari, ripropone il cibo come una merce occasione di profitti , in linea con le politiche scellerate che hanno costituito l'humus per la nascita dei mostri come PARMALAT, CIRIO.
Solo Via Campesinas, la grande associazione di contadini del sud del mondo, ha lanciato una grande campagna mondiale di lotta a questo modello di politica agricola comunitaria, che in linea con la Farm Bill di Bush continua il modello agricolo che ha nel Dumping verso i paesi poveri la concretizzazione della sua funzione.
I nodi da sciogliere da parte del Governo italiano entro il 30 luglio sono da un lato politici e dall'altro strategici e riguardano :
 la modalità di applicazione dei sostegni comunitari (disaccoppiamento subito o diluito nel tempo come ha scelto la Francia )
 i criteri di erogazione delle integrazioni al reddito e quindi i vincoli dei contributi alle compatibilità ambientali
 il ruolo delle regioni
Si tratta di nodi strategici che avranno enorme impatto nel breve periodo sull'intero comparto agricolo e alimentare italiano, sull'occupazione e sulla gestione del territorio, in particolare in quei 5.000 piccoli comuni in cui l'attività agricola è l'unica forma sostanziale di reddito.
La scelte che il governo farà, nel vergognoso silenzio delle regioni italiane, avrà comunque grandi conseguenze sul piano occupazionale e produttivo nel settore agricolo e non meno sul piano ambientale e della sicurezza alimentare dei cittadini .

Tutto questo in un momento in cui un governo, ormai comatoso, non ha più una linea politica nè complessiva, nè di settore, ma appare ogni giorno più ostaggio di potenti lobby economiche che non nascondono l'interesse di destrutturare ulteriormente la nostra agricoltura per favorire ela penetrazione delle multinazionali agroalimenatri.
Le organizzazioni sindacali agricole, il sistema dei partiti, ad esclusione della sinistra antagonista, guardano alla scadenza come una fatalità e lasciano di fatto carta bianca al Ministro per l'agricoltura non vedendo questa scadenza come una grande opportunità per imporre una critica serrata al modello liberista agricolo sostenuto dalla PAC e occasione per aprire una battaglia forte tesa a costruire un nuovo modello produttivo agricolo europeo che, a partire dal concetto della sovranità alimentare, inverta la tendenza fino a qui perseguita; tutto ciò per porre fine al DUMPING, per un'agricoltura europea che oltre il reddito contadino e l'occupazione garantisca la produzione di cibo di qualità fruibile da tutta la popolazione, nel rispetto della salute dei cittadini , dell'ambiente e della sua funzione etica in quanto rigeneratore della vita.

Emerge la necessità di una politica agraria " altra" che a partire da questi elementari concetti trovi nelle realtà regionali il vero motore di nuovi processi agroindustriali capaci di valorizzare le mille DOP italiane, le specificità dei gusti, dei saperi, le colture del nostro paese dai mille campanili.
Produzioni agricole ecocompatibili, meglio se biologiche, sempre prive di OGM , a ciclo corto, attente alle nuove esigenze dei consumi, capaci di innovare, soddisfare il mercato interno e cogliere la grande opportunità del mercato mondiale.
Un'agricoltura regionale e nazionale, non assistenzialista e parassitaria per finanziare la rendita fondiaria, ma capace di dare reddito ai giovani e speranze a quelle aree del paese, il Sud in primo luogo, che con le sue specificità, ha nel settore primario il suo vero "petrolio" del futuro.
Chiudere per sempre l'epoca vergognosa delle politiche agricole comunitarie che con il sostegno dei prezzi alle esportazione e non meno alle quote di produzioni ha contribuito a desertificare la terra e allargare la tragedia della fame nel mondo.
Una politica agraria che con le "quote di produzione" si regge sugli inganni, sui raggiri, le truffe e offre infine, come unica prospettiva futura, una campagna europea senza agricoltori e tavole piene di cibo non sicuro , senza storia, senza gusto, senza etica, un cibo portatore di fame nel sud del mondo,di malatie nel nord e di danni ambientali incommensurabili. Ne sia un esempio per tutti la vergognosa vicenda delle quote latte del nostro paese, gravissima vicenda che nei prossimi mesi avrà ripercussioni sociali enormi.
Il ministro dell'agricoltura Alemanno nella sua bozza relativa al recepimento delle scadenze della PAC, fatta circolare in modo quasi clandestino, esprime il suo punto di vista che è in linea con la politica dei "doni "da lui e dai funzionari del MIPAF ricevuti dal Cavaliere Tanzi, una proposta, infatti, che mira a colpire da subito la nostra agricoltura con l'applicazione del disaccoppiamento già dalla campagna agraria del 2005.
Gli effetti previsti sono -30% dei seminativi di grano duro nel sud del paese, con danni enormi all'ambiente. È' previsto infatti l'abbandono di circa 500.000 ettari di seminativi di grano duro corrispondenti ad un area vasta come la Liguria. Le conseguenze si avranno anche per le industrie molitorie della Puglia, della Sicilia e Toscana, con prevedibile chiusura di decine di stabilimenti e la perdita di un importante patrimonio di lavoro e di prodotti tipici la pasta in primo luogo .Ma gli effetti del grande disastro del disaccoppiamento immediato come proposto dal governo Berlusconi si toccheranno con mano sulla filiera del latte: una filiera, già duramente provata dalle politiche liberiste del passato che hanno incubato il mostro Parmalat, filiera che resta la vittima privilegiata, non a caso, delle attenzioni scellerate del ministro Alemanno e delle multinazionali. Nella filiera del latte gli addetti , per oltre il 40% hanno oltre 65 anni e fra multe accumulate per avere lavorato , furti del reddito,come i 5 milioni di euro per il latte non pagato della Parmalat , sicuramente approfitteranno del disaccoppiamento per vendere le quote di produzione, chiudere le stalle , abbandonare la gestione della terra e vivere il resto della loro vita percependo i contributi senza nulla produrre. Dopo la tragedia Parmalat , il decreto 119 del maggio scorso sulle quote che ha già contribuito alla chiusura di miglia di aziende zootecniche del sud Italia,ora con l'applicazione immediata del disaccoppiamento si prevede la chiusura di altre 20. 000 aziende zootecniche sulle rimanenti 59.000 in particolare nelle aree marginali, il sud, le isole e le zone di montagna. Sarà cosi realizzato il sogno della nuova Parmalat di Bondi, della Danone, della Kraft, della Nestlè che potranno mettere le mani, finalmente, sulle Dop: Grana Padano e Parmigiano Reggiano per mancanza di latte, non solo quello alimentare nel nostro paese, ma quei 60 milioni di quintali indispensabili per le DOP.
Già la settimana scorsa il tavolo della Sovranità alimentare italiano si è riunito nella sede della Flai CGIL a Roma per dare il via alle mobilitazioni di lotta, AltrAgricoltura e il Cospa nazionale propongono, con la richiesta di aderire rivolte a tutte le forze politiche e alle associazioni ambientaliste e dei consumatori, manifestazioni con presidio di due giorni a Padova e Bari. Per chiedere :
1. Una mobilitazione e un forte pronunciamento di tutte le istituzioni e le forze nazionali , regionali e provinciali per bloccare il provvedimento di applicazione immediata del disaccoppiamento proposto dal Governo.
2. Una inversione di politica agraria europea e nazionale che rimetta il concetto del lavoro e della sovranità alimentare al centro delle future programmazioni di governo del settore agricolo in particolar modo il ruolo delle comunità provinciali e regionali.
3. La valorizzazione delle DOP estrapolando le loro produzioni dal feudale sistema delle quote di produzione,
4. Il sostegno ai metodi di produzione ecosostenibili a ciclo corto, Free Ogm, comunque ecocompatibili ed ecosostenibili come sta facendo al regione trentino e le Marche utilizzando le risorse del secondo pilastro della pac cioè le politiche strutturali, L'articolo 69 della riforma ,infatti, permette allo stato membro di destinare fino al 10% delle risorse dei premi PAC (seminativi, zootecnia ed olivicoltura) per incentivare le produzioni di qualità e la sostenibilità ambientale usato in generale per la riqualificazione dell'agricoltura italiana.Le risorse dell'articolo 69 possono essere destinate alle aziende che praticano il biologico e produzioni di qualità (DOP,IGP, ecc) ed entrare quindi nel premio unico aziendale.
5. La regionalizzazione dei pagamenti disaccoppiati, previsto dall'Art.59, dà la possibilità ad ogni Regione di istituire pagamenti unici, uguali per tutti gli agricoltori di un'area omogenea ed è una grande opportunità che non deve essere persa

Il rilancio di una politica agricola nazionale e regionale che sappia svincolarsi dalla stretta mortale dell'omegeniazzazione delle produzioni industriali al primo prezzo, ma che a partire dal tutto italiano, dal campo alla tavola, valorizzi le specie ,le varietà , le razze di un'agricoltura che ha nei saperi , nei sapori, nella etica il suo futuro di lavoro e suo ruolo di presidio ambientale e sociale .
Su questi obbiettivi invitiamo tutte le forze politiche e sociali ad aderire alla piu ampia mobilitazione in tutte le sedi istituzionali, nazionali , regionali,provinciali comunali, e i luoghi di lavoro del settore agroalimentare.Proponiamo due giornate di mobilitazione, a sostegno delle nostre rivendicazioni una al sud a Bari per il sud Italia e una a Padova per il Centro Nord Italia

Legambiente
Cospa Nazionale AltArgricoltura

L'agroalimentare in cifre
Il comparto agroalimentare, definibile come l'insieme complesso delle attività coinvolte nel flusso di beni e servizi che va dal punto iniziale delle aziende agricole fino ai consumatori finali, e che comprende perciò i settori che contribuiscono direttamente alla produzione, alla trasformazione ed alla elaborazione dei prodotti alimentari (ossia agricoltura, pesca e industria alimentare), occupa un ruolo di primaria importanza, oltre che strategico, all'interno delle economie dei Paesi avanzati.
Per quanto concerne l'Unione europea, l'agroalimentare rappresenta, con il metalmeccanico e il tessile-abbigliamento, uno dei principali settori in termini di fatturato, numero di imprese e occupazione, con ritmi di crescita - nonostante molti economisti lo considerino un settore ormai "maturo" - costanti ormai da vari anni. Secondo dati Eurostat relativi al 2002, le industrie europee del settore registrano un volume di produzione pari a circa 600 milioni di euro, con oltre 2,5 milioni di occupati. I maggiori produttori di beni alimentari in Europa sono la Francia e la Germania, che assorbono circa il 40 per cento del totale della produzione comunitaria, seguiti dall'Inghilterra con il 16 per cento, nonché dalla Spagna e dall'Italia, la cui produzione si attesta intorno al 10 per cento del totale. I dati sul commercio internazionale evidenziano una spiccata tendenza verso gli scambi intracomunitari, che assorbono oltre il 70 per cento del totale delle esportazioni dei Paesi dell'Unione europea (a fronte, peraltro, di una lenta ma costante crescita, da alcuni anni, della quota delle esportazioni verso Paesi extracomunitari).
Venendo all'Italia, secondo dati forniti dall'ISMEA (che considerano, oltre al comparto primario e all'industria alimentare, anche la ristorazione), l'agroalimentare nel 2002 ha immesso complessivamente nel sistema economico nazionale beni per un valore di oltre 205 miliardi di euro, pari all'8,5 per cento del valore della produzione nazionale, mentre il valore aggiunto si attesta intorno ai 91 miliardi di euro, pari al 7,4 per cento del totale. In termini occupazionali l'incidenza del comparto agroalimentare sull'economia è ancora più elevata, attestandosi al 10,5 per cento.
Significative differenze si riscontrano, tuttavia, se si guarda al peso dei singoli settori all'interno del comparto. Per quanto riguarda, in primo luogo, l'assorbimento della spesa finale, l'industria alimentare ha contribuito per oltre la metà al valore complessivo della produzione agroalimentare, seguita dalla ristorazione con il 29 per cento e da agricoltura e pesca con il 20 per cento. Valutato in termini di valore aggiunto, il peso dell'industria alimentare scende invece al 36 per cento, mentre salgono al 33 per cento e al 31 per cento quelli della ristorazione, da un lato, e dell'agricoltura e della pesca, dall'altro. Rispetto al totale degli occupati nel settore agroalimentare, infine, l'agricoltura e la pesca assorbono il 44 per cento, mentre l'industria alimentare e la ristorazione impiegano, rispettivamente, il 20 per cento e il 36 per cento degli occupati.

Differenti tendenze evolutive caratterizzano, inoltre, il settore primario e l'industria alimentare sotto il profilo dimensionale e produttivo delle imprese, secondo quanto si ricava dai dati riferiti all'andamento dell'ultimo decennio.
In campo agricolo si registra una generale concentrazione delle superfici utilizzate in aziende di maggiore dimensione, a fronte di una riduzione complessiva delle terre coltivate (meno 13,6 per cento tra il 1990 e il 2000) e di una significativa diminuzione del numero delle aziende agricole (meno 14,2 per cento tra il 1990 e il 2000): il settore zootecnico, in particolare, ha subito una notevole contrazione nell'ultimo decennio (rispetto al 1990 il numero delle aziende allevatrici è complessivamente diminuito del 35,2 per cento, con valori più elevati nelle regioni settentrionali). Tali tendenze, tuttavia, registrano andamenti geografici significativamente differenziati. Mentre nelle regioni settentrionali si registra un aumento delle dimensioni medie con l'affermarsi di aziende medio-grandi ad alto grado di aggiornamento tecnologico, nel sud e nelle isole la tendenza alla diminuzione delle superfici coltivate contrasta con la diminuzione delle superfici medie, atteso l'alto numero delle aziende (per lo più in forma individuale e a conduzione diretta). Nel centro, invece, la diminuzione delle terre coltivate e del numero di aziende si realizza in presenza di un aumento delle dimensioni medie, con il rafforzamento di aziende di nicchia fortemente tipizzate e ad alto valore aggiunto.

L'industria alimentare italiana risulta composta di quasi 67.000 imprese, con circa 450.000 addetti. Se si guarda alle aziende con più di 10 dipendenti, tuttavia, si contano appena 7.000 aziende, per un totale di 278.000 occupati. Per quanto riguarda gli aspetti dimensionali, la tendenza degli ultimi anni registra una crescente polverizzazione del settore, con un significativo aumento delle imprese di piccole dimensioni e la riduzione del numero medio degli addetti, sia sul fronte artigianale che su quello propriamente industriale (da 7,5 a 6,7 addetti nel decennio tra i due censimenti). Se si raffrontano i dati settoriali con quelli dell'industria in generale si evince, inoltre, che per quanto riguarda sia il numero medio degli addetti sia la riduzione occupazionale, l'alimentare presenta una dinamica più accentuata. Il numero medio di addetti nell'industria considerata nel suo insieme è pari a 9, mentre il decremento occupazionale complessivo, negli ultimi dieci anni, si attesta al 5,2 per cento, a fronte del 10,7 per cento dell'alimentare. Se si guarda all'andamento geografico dei dati, peraltro, ci si rende conto che buona parte dei trend descritti è imputabile al maggior numero di nuove imprese, la gran parte di piccola dimensione, localizzate nel sud e nelle isole. In ultimo, un dato di carattere generale di indiscusso significato alla luce delle nuove dinamiche dei mercati globali e della ristrutturazione in atto nel comparto alimentare a livello mondiale - con l'affermarsi di grandi gruppi industriali, soprattutto americani, sul versante delle commodities - è rappresentato dalla perdurante ed accresciuta carenza di vere e proprie aziende alimentari di grandi dimensioni. Nell'ultimo decennio le imprese agroalimentari con più di 1.000 addetti sono scese da 19 a 17, mentre quelle con più di 500 addetti sono passate da 49 a 34.
Per quanto attiene al profilo produttivo, l'industria alimentare presenta, tradizionalmente, un aspetto anticiclico, confermato anche dai dati più recenti relativi alla produzione 2003 e ai primi mesi del 2004. All'interno di un quadro economico generale certamente difficile, l'industria alimentare ha chiuso il 2003 con un incremento dell'1,3 per cento, inferiore rispetto a quello registrato nel 2002, pari all'1,6 per cento. Tale dato, tuttavia, va considerato anche in relazione all'andamento dell'industria nel suo complesso, ove nel medesimo periodo si è registrata una contrazione dello 0,8 per cento. Occorre evidenziare, peraltro, che tale andamento è stato sorretto unicamente dal mercato interno, atteso il dato preoccupante costituito dalla sostanziale riduzione (-1,1 per cento) delle esportazioni.

I mutamenti di mercato
Il comparto agroalimentare è stato investito, negli ultimi anni, da numerosi e rapidi mutamenti di mercato, che hanno profondamente trasformato il quadro tradizionale di riferimento degli operatori, con conseguenze dirompenti in una pluralità di ambiti. I mutamenti in questione attengono alla crescente concentrazione e internazionalizzazione delle imprese, all'evoluzione dello scenario distributivo e all'affermazione di nuovi modelli di consumo.
La crescente concentrazione e internazionalizzazione delle imprese si lega essenzialmente all'apertura e alla liberalizzazione dei mercati mondiali. In questo mutato scenario le strategie di impresa conducono alla ricerca di accordi e alleanze, attraverso operazioni di fusione e cessione, ai fini del raggiungimento di una maggiore efficienza e di un'ottimizzazione dimensionale. Relativamente all'Italia, la globalizzazione ha messo spesso in crisi modelli tradizionali di impresa basati in prevalenza sulla dimensione familiare. Tale dimensione, mostratasi per lungo tempo vincente almeno nelle fasi di avvio e di sviluppo del business, negli ultimi tempi ha subito i traumi di una maturità inadeguata ad affrontare la sfida globale, con evidenti limiti strutturali, manageriali e finanziari. Il risultato di tale processo è stato un vasto numero di operazioni di cessione (quasi 200 nell'ultimo triennio), assai spesso a vantaggio di grandi gruppi stranieri.
Il mutamento dello scenario distributivo si esplica nella progressiva affermazione della grande distribuzione. Anche in tale mercato si assiste all'emergere di grandi imprese multinazionali, in un quadro caratterizzato da una forte tendenza alla concentrazione. Un recente ed autorevole studio di una società di consulenza americana (Mc-Kinsey) parla di "oligopolio distributivo" per descrivere quello che sarà, a breve, lo scenario mondiale del retail, dominato da pochi grandi gruppi (5 o 10 al massimo) presenti con proprie strutture di vendita in tutti i continenti. Il mercato europeo è attualmente dominato da sei grandi gruppi, nessuno dei quali è italiano. Nonostante il ritardo relativo del nostro Paese su questo piano, tuttavia, anche in ambito nazionale l'evoluzione della grande distribuzione alimentare ha confermato, in particolare sotto la spinta della c.d. riforma Bersani del commercio (Decreto legislativo n. 114 del 1998), una forte crescita delle presenze e delle superfici.
L'affermazione di nuovi modelli di consumo, soprattutto nei Paesi ad economia avanzata, si esprime nella deregulation degli atti alimentari, con la crescente influenza delle scale di preferenza individuali, nella destrutturazione dei pasti, con la progressiva valorizzazione della componente extradomestica in corrispondenza di nuovi ritmi di vita e modelli sociali, nonché nella crescente affermazione della richiesta di sicurezza e qualità dei cibi. Quest'ultimo aspetto, in particolare, assume una rilevanza centrale, soprattutto alla luce dell'impatto che le emergenze sanitarie degli ultimi anni in campo alimentare (mucca pazza, influenza aviaria) hanno avuto sull'opinione pubblica.

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