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Sudan: firmato accordo ma continua il conflitto nel Darfur
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Dopo 20 anni di sanguiosa guerra civile che ha visto opporsi il governo settentrionale di Kharthoum all'Esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLA), il 6 gennaio a Naivasha, in Kenia, le due parti hanno firmato un accordo che prevede l'equa divisione dei proventi dei 300mila barili di greggio estratti giornalmente nel Paese e dei ricavi non direttamente conseguenti dalla vendita del greggio, come le imposte.
L'accordo si applicherà per un periodo di transizione di sei anni, durante i quali le regioni meridionali del Paese beneficeranno di un'autonomia amministrativa, già concordata nei mesi scorsi, che entrerà definitivamente in vigore soltanto quando le due parti avranno raggiunto un accordo globale sulla pace. L'accordo sancisce inoltre che la Sharia (la legge coranica) sia applicata solo nel nord del Paese, a maggioranza musulmana, mentre nel Sud verrà permesso il sistema bancario di tipo occidentale.
APPROFONDIMENTI:
- Irin news: Dossier Sudan
- Human Right Watch: Dossier Sudan
- Warnews: Scheda e notizie
"Per la prima volta le regioni del Sud possono godere di una propria autonomia di governo e delle risorse per provvedere al proprio sviluppo e ai servizi di base" - ha commentato Yasir Arman, portavoce dell'Esercito popopalre SLMA. E, come nota il direttore dell'Agenzia Misna, Giulio Albanese, "considerando che la questione petrolifera ha sempre giocato un ruolo non indifferente in tutte le vicende belliche che hanno insanguinato le regioni meridionali dal 1983 ad oggi, l'accordo rappresenta un successo di grande valore politico soprattutto per il governo di Washington e i Paesi Occidentali, tra cui l'Italia, che hanno incoraggiato e sostenuto la piattaforma negoziale". "Ma ciò non toglie - nota sempre il direttore della Misna - "che qualora si giungesse all'intesa finale si tratterebbe di una vera e propria spartizione del potere tra i 'signori della guerra' i quali, è bene non dimenticarlo, hanno commesso inaudite atrocità in questi venti anni di guerra civile".
Restano inoltre da risolvere altri gravi problemi, tra i quali l'appartenenza di tre aree contese (Abyei, Blue Nile e Montagne Nuba) e c'è il pericolo che l'accordo si riveli "incompleto per l'assenza totale al tavolo dei negoziati della società civile e dei leader religiosi", trasformandosi in "una pace fra due élite che si spartiscono il potere politico ed economico, con la benedizione degli americani" - avverte padre Renato Sesana 'Kizito' in un'intervista di oggi alla Misna.
E su questo punto insiste anche un comunicato di Amnesty International che sottoliinea come "un accordo di pace duraturo per il Sudan non può essere concluso finchè gli abusi dei diritti umani provocati dalla guerra continuano ad aver luogo. La popolazione civile è presa in trappola nel conflitto che prosegue senza soluzione di continuità nella regione del Darfur".
In questo territorio del Sudan nord-occidentale, le forze filo-governative si scontrano con l'Esercito di liberazione del Sudan (Sla) e il Movimento giustizia e uguaglianza (Jem) e, secondo stime delle Nazioni Unite, il conflitto ha provocato nello scorso anno 3000 morti, soprattutto civili, e oltre 600mila sfollati. "Il governo sta accentuando la crisi umanitaria nella regione, permettendo alle proprie milizie di saccheggiare, uccidere e distruggere e limitando il movimento delle organizzazioni umanitarie, che pertanto non riescono a consegnare gli aiuti umanitari che la comunità internazionale ha messo a disposizione per i rifugiati" - conclude il comunicato di Amnesty che rinnova il proprio appello per l'immediato dispiegamento di osservatori e l'istituzione di una commissione d'inchiesta sulla crisi in corso nel Darfur. [GB]