Italia: 'no alla legge sulla privatizzazione dell'acqua'

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E' passato nel silenzio quasi generale il decreto legge che prevede la privatizzazione dell'acqua pubblica in Italia. Il 6 agosto il Parlamento italiano ha infatti votato con l'appoggio dell'opposizione - e in particolare del Pd - l'articolo 23bis della legge numero 133/2008 , cioè il decreto legge 112 - la cosidetta 'finanziaria triennale' del ministro Tremonti - che affida "il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica". Ciò al fine - afferma il decreto - "di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale". In altre parole si spalanca la via alla privatizzazione dell'acqua pubblica.

"Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico, ma una merce e dunque, sarà gestita da multinazionali internazionali (le stesse che già possiedono le acque minerali). Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori" - riporta l'articolo rilanciato da Peacelink che si è diffuso con il passaparola via e-mail e sui blog.

In realtà la denuncia è partita da p. Alex Zanotelli che in un puntuale intervento sul settimanale 'Carta' affermava: "Dobbiamo darci tutti una mossa per realizzare il sogno che ci accompagna e cioè che l'acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestita dalle comunità locali con totale capitale pubblico, al minor costo possibile per l'utente, senza essere SPA". E poi proseguiva: "Partendo dal basso, dalle lotte in difesa dell'acqua a livello locale, dobbiamo ripartire in un grande movimento che obblighi il nostro Parlamento a proclamare che l'acqua non è una merce, ma un diritto di tutti. Diamoci da fare perché vinca la vita!".

Lo scorso 21 ottobre con una lettera aperta indirizzata al ministro Tremonti, il presidente Emilio Molinari a nome dei Comitato italiano del 'Contratto mondiale sull'acqua' ha chiesto al ministro di scorporare il servizio idrico dalla legge 133 e di aprire una discussione sui servizi di interesse generale (art 43 della Costituzione) e sulla legge di iniziativa popolare del movimento ed - inoltre - di intervenire con un piano di investimenti pubblici per rinnovare l'intera rete idrica italiana che disperde il 35% della preziosa acqua".

Una denuncia ripresa nell'inchiesta giornalistica di Paolo Rumiz che sul quotidiano 'La Repubblica' dal titolo "Acqua s.p.a: la rivolta dei sindaci" evidenzia la "resistenza che parte dal basso e contesta non solo il governo, ma il Parlamento, che il 6 agosto, mentre il Paese era in vacanza, ha approvato una norma-bomba (unica in Europa) con il "sì" dell'opposizione. Non se n'è accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti dell'acqua sul mercato entro il 2010, e ciò anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano". "Col voto del 6 agosto si rompe l'ultima diga" - prosegue Rumiz. "L'acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e l' osso ai secondi. Il peggio del peggio".

"È contro questo che si stanno muovendo i sindaci d' Italia; a partire da quelli della Lombardia, che la guerra l' hanno cominciata prima degli altri. È successo che centoquarantaquattro Comuni attorno a Milano han fatto muro contro la giunta Formigoni, la quale già nel 2006 aveva anticipato il 23 bis con una legge che separava erogazione e gestione del servizio". "Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi " - evidenzia Rumiz: l'Acea di Roma che ha comprato l' acqua toscana; l'Amga di Genova che s'è alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all'Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell'Aem milanese e dell'Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d'assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato".

"Quando i comitati per l'acqua pubblica, sparsi in tutt'Italia, hanno raccolto 400 mila firme e depositato in parlamento nel luglio 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare, sia sotto il governo Prodi che sotto quello di Berlusconi non s'è trovato uno straccio di relatore, nemmeno d'opposizione, capace di esaminare e illustrare la volontà dei cittadini così massicciamente espressa" - ricorda Rumiz.

Così mentre le campagne sociali cercano di sensibilizzare all'uso dell'acqua del rubinetto - l'Italia è il maggior consumatore al mondo di acqua in bottiglia di cui il 65% è commercializzata in bottiglie di plastica, questo significa circa 9 miliardi di bottiglie di plastica da smaltire ogni anno - presto "l'acqua del sindaco" sarà privatizzata grazie alla recente votazione by-partisan.

Il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per l'Acqua Pubblica ha convocato perciò per il 21 novembre Assemblea nazionale a Roma e dal 22 al 23 novembre terrà ad Aprilia il Secondo Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua dal titolo "Acqua pubblica: riprendiamoci il futuro!". [GB]

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