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Italia: Unimondo ricorda il professor Ardigò, suo primo garante
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Si è spento ieri in una clinica bolognese a 87 anni Achille Ardigò, il decano dei sociologi italiani. Intellettuale di spicco della Democrazia Cristiana ai tempi di Dossetti e poi di Aldo Moro è stato insegnante di sociologia all'Università di Trento e di Bologna. E' stato anche promotore e direttore della scuola di specializzazione in sociologia sanitaria dell'Università di Bologna e fondatore insieme a Beniamino Andreatta e Giuseppe Alberigo della facoltà di Scienze Politiche di Bologna.
Attento studioso del mondo del non profit tra i suoi numerosi studi Ardigò è autore di "Volontariati e globalizzazione" nel quale mette in luce l'importanza delle nuove tecnologie per divulgare i temi della pace, sviluppo sostenibile e dei diritti umani da lui denominati "International advocacy".
Il professor Ardigò è stato, insieme a mons. Giovanni Nervo, tra i primi garanti di Unimondo e ha partecipato alla prima World Social Agenda a Civitas (Padova) nel 2000. Nell'esprimere ai familiari profondo cordoglio per la scomparsa e grande riconoscenza per il suo operato, Unimondo vuole rendere omaggio al professor Ardigò ripubblicando qui di seguito il suo intervento a Civitas nel 2000.
IL VOLONTARIATO TRA PROCESSI DI GLOBALIZZAZIONE E RIDIMENSIONAMENTI ENTRO INDENTITA' LOCALI PRIVATE
di Achille Ardigò
1) Richiesto di una relazione su un tema dal titolo così ricco e complesso, credo necessario, anche se col rischio di una eccessiva schematizzazione, anticipare una linea di risposta orientata a distinguere tendenze fin quasi a disgiungerle, più che a comporle.
Il volontariato in Italia oggi - questa la mia prima risposta - si pluralizza se non anche si polarizza tra tendenze in apparenza tra loro centrifughe. Due tendenze emergono tra le altre:
- una parte cospicua del volontariato e delle organizzazioni di non-profit sembra incline a ridimensionarsi, di preferenza dentro identità locali e nel privato;
- un'altra parte, certo ancora minoritaria ma in crescita, si è aperta, si sta aprendo, dopo la cosiddetta "battaglia di Seattle" della fine di novembre '99, specie in alcune regioni, verso movimenti di opinione che vorrei designare come di volontariato di advocacy internazionale, con forte impegno comunicativo anche mediante reti di siti web di Internet.
Tale seconda, emergente, tendenza critica è stato esercitata, nel mondo occidentale, nei confronti di convegni internazionali di vertice (a Seattle, Davos, Londra, Genova, Washington e in minor misura a Bologna) promossi da autorità politiche statali insieme con centri di business multinazionali. Con tali meeting di vertice, i proponenti hanno inteso prendere decisioni sulla globalizzazione specie di mercato o tramite nuove tecnologie, senza riconoscere la partecipazione di forze sociali, in primis di volontari e di Ong, queste ultime mosse a contestare i vertici per primari obiettivi di perequazione sociale nel mondo (ove crescono ricchezza e miseria), di sviluppo sostenibile e di difesa delle identità valoriali e culturali dei popoli.
La novità della svolta espressa anche in Italia dal volontariato di advocacy internazionale è tanto più significativa se si pensa alla precedente forte tendenza , in Italia dagli anni 90, di tradurre/ridurre il volontariato, o almeno quello definito come aggiornato, moderno, tutto dentro il non-profit e questo tutto confluente dentro il mercato.
L'altra novità del volontariato di advocacy internazionale (per una globalizzazione orizzontale contro quella verticale) è il diffuso ricorso a strumentazioni comunicative aggiornate, anche se povere, tramite siti web di Internet, espressi da un gran numero di organizzazioni non governative ONG) riconosciute e spesso convenzionate con agenzie dell'ONU e dei welfare state nazionali o sopranazionali.
Sappiamo bene che tale innovazione (il volontariato di advocacy internazionale) è ancora espressa da una minoranza per quanto agguerrita, .Trattasi di una minoranza di volontari che però ha dato notevole prova di sé, e dei suoi legami di solidarismo internazionale, alla fine di aprile 2000, col World Social Forum di Padova, patrocinato dal maggior sito web italiano di volontariato di advocacy ("Unimondo"), e con Civitas, sempre a Padova, dal raddoppiato salone di mostre delle opere delle organizzazioni volontarie e non-profit.
2) A fronte di tale minoranza emergente, una serie di dati statistici sulle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali sembra, per contro, indicare,, anche se in modo generalmente indiziario, indizi di ridimensionamento, non vorrei dire di declino , di tante organizzazioni volontarie su identità locali. Alcuni di tali dati vengono dalla pur circoscritta indagine ISTAT 1999 per confronti tra il 1995 e il 1997. Vediamoli. Tra il 1995 e il 1997 calano del 4,8% le organizzazioni di volontariato che aderiscono a federazioni (nazionali o interregionali). Sempre in quell'intervallo di tempo, le organizzazioni con più di 60 volontari sono calate dal 19,7% (1995) al 16,4% (1997). Per contro, le organizzazioni con meno di 11 volontari crescono dal 18,2% al 21,9%. Tra i volontari più attivi calano i giovani fino a 20 anni, aumentano le donne, crescono gli occupati adulti. Va citato anche un dato ambiguo, che l'ISTAT ha rilevato solo al 1997: il 53,5% delle organizzazioni iscritte ai registri regionali ha dichiarato di avere finanziamenti esclusivamente o prevalentemente privati; rispettivamente del 19,8% e del 33,7%.
3) Si è tentati di connettere i segni indiziari di ridimensionamento su identità locali delle organizzazioni di volontariato iscritte ecc., col richiamo a due tendenze macrosociali:
- da un lato, una certa riduzione del ruolo dello Stato sociale il quale, invece, con le sue aperture al volontariato, non solo di spesa, aveva caratterizzato la prima stagione di questo terzo settore, quella segnata dalla legge quadro del 1991 sul volontariato come dono personale, e dalle due successive leggi: sulla cooperazione sociale e a tutela dell'handicap;
- dall'altro lato, v'è da segnare il mancato decollo, che invece si prevedeva potente a favore del volontariato, di molte fondazioni bancarie ed ex bancarie, da tempo refrattarie a divenire i grandi sponsor dell'autonomo volontariato. Da ricordare che non poche attese, anche confortate da leggi, prevedevano di supplire al calo dei finanziamenti al terzo settore da parte dello Stato sociale col maggior concorso delle fondazioni bancarie ed ex.
Infine, non mancano incertezze, (alla data della presente relazione) circa l'approvazione da parte del Senato della legge nazionale sull'assistenza (approvata alla Camera) e con ciò sorgono dubbi sul possibile contributo degli IPAB sempre in direzione del volontariato.
E' come se una grande massa di patrimoni pubblici - ma non ministeriali né regionali - si parla di 80mila miliardi di lire di patrimoni delle fondazioni bancarie ed ex, e di più 50 mila miliardi di lire di patrimoni delle IPAB (che dovrebbero entrare nella riforma dell'assistenza) stia di continuo in bilico tra speranze e delusioni dei volontariati. Delusioni che crescono, ma non si deve demordere, con le dichiarazioni di presidenti di alcune delle maggiori fondazioni ancora una volta vogliosi di sottrarsi agli oneri e ai doveri della cosiddetta "legge Amato" come prima all'art. 15 delle legge quadro sul volontariato. In tale bilico tra speranze e delusioni stanno anche alcuni "centri di servizi" operosi i cui contributi a combattere i rischi di ridimensionamento localistico potevano e possono essere decisivi.
Altri commentatori hanno di recente aggiunto, con preoccupazione, alcuni segni di ridimensionamento di tipo qualitativo, culturale: quali "l'astensionismo dei giovani e, per quelli votanti alle elezioni, il loro spostamento a destra e il loro sottrarsi quasi ad ogni richiamo della politica istituzionale di centro-sinistra". Alcune interpretazioni, pure alla recente assemblea straordinaria CNV (cfr. l'intervento tra gli altri di Marilena Piazzoni della comunità di S.Egidio), sono giunte ad evocare la crisi dei valori del pensiero umanistico e solidale, indicati anche da alcuni.
Altri hanno messo in rilievo la tendenza che varie organizzazioni di volontariato si siano indotte al restringersi nelle identità locali e nel privato pure pei rischi alla propria autonomia, connessi al crescere del rapporto collaborativo, per contratti e convenzioni con strutture di Stato sociale, centrale o locale. Si è avvertita anche una crisi di capacità di sperimentazione.
4) Non posso negare la forte plausibilità dei fenomeni, non certo espansivi del solidarismo spontaneo. E tuttavia, sono portato ad essere più attento al positivo nell'interpretare il presente e il recente passato e meno dubbioso nei confronti del futuro.
Quanto al presente e al recente passato, colgo due eventi positivi. Anche per merito di due protagonisti d'eccezione: l'on. Maria Eletta Martini e il ministro Livia Turco, il mondo del volontariato è riuscito a non farsi assorbire tutto entro lo spostamento (la subalternità) verso il mercato, con le ambiguità tra non-profit e for profit. Una parte importante del mondo del volontariato è uscita di recente a recuperare la peculiarità del compito originale del volontariato come dono personale, come impegno gratuito, come funzione primaria di coesione sociale. E ciò anche là dove altri amici, tra cui in primis, per il rilevante apporto intellettuale, il prof. Stefano Zamagni, ma anche sindacalisti e studiosi della sinistra ex marxista, avevano ritenuto di qualificare il volontariato moderno solo come economia civile o sociale, solo come non-profit....
In positivo dopo la conclusione della Conferenza del volontariato di Foligno, (1998), il tema del volontariato come dono, il tema cruciale della legge quadro del 1991, è tornato a costituire oggetto di considerazione, di riflessione e di dibattiti a favore, tra i volontari. Il tutto all'insegna delle riflessioni di sociologi come Dahrendorf ed Habermas per i quali la coesione sociale è indispensabile alla stessa creatività economica e tuttavia, il capitalismo più forte non fa che distruggere le basi sociali del consenso.
5) Anche per effetto positivo dell'insorgere del volontariato di advocacy internazionale, un nuovo binomio si apre alle speranze del futuro; oltre la tradizionale querelle tra volontariato come dono personale, da un lato e organizzazione del non-profit come sola organizzazione economico-sociale o civile, dall'altro lato.
Tra quanti sono sensibili all' advocacy, per contestare e controllare logiche solo economicistiche di accumulazione di mercato, attraverso dominanti giochi in borsa od obiettivi meramente di profitto, si va aprendo l'interesse a cogliere ciò che si configura, nella new economy, come comunicazioni virtuali e come primato delle idee che possono orientare allo sviluppo compatibile, in vista di spazi nuovi di innovazione non capitalistica del commercio. Mi riferisco alle lezioni apprese sulla modernizzazione per mezzo di web e di e-services che volontari di advocacy internazionale cominciano ad applicare al "commercio equo e solidale", alla finanza etica anche delle sole donne, all'attivazione di professionalità superiori per scopi anche rischiosi come quelli dei medici e di fisioterapisti "senza frontiere". Chi ha detto che le critiche alla globalizzazione economica senza adeguati controlli politici ed umani non possano andare d'accordo con aperture alla new economy, in prospettiva ad una new economy solidale che faccia tesoro dei progressi nei web e negli e-services?
6) Con l'attenzione al nuovo positivo che avanza e che indurrà a cambiamenti anche le altre linee d'azione nel vasto mondo dei volontariati (intesi in senso lato), sarei a proporre a mo' di conclusione, e per l'avvio di una discussione, a partire da quattro tipi ideali. Nella speranza che almeno ci salvino dai rischi di ipersemplificazione e di autoreferenzialità del recente passato.
I quattro tipi ideali che vedo differenziarsi nel vasto mondo all'inizio definito solo come volontariato sono i seguenti:
a) il volontariato come dono personale o di piccoli gruppi di persone e di famiglie, non registrati ai registri regionali, portatori di coesione minuta e di senso interpersonale ai bisognosi di aiuto, di solito non ricercanti inserimenti in enti locali o in strutture esterne per contratti e convenzioni e perciò non ricercati da enti locali e strutture esterne. Anche nell'assistenza domiciliare ad anziani non autosufficienti la distinzione è stata empiricamente accertata di recente;
b) il terzo settore come di organizzazioni cosiddette non-profit - ma è sempre più difficile separare non-profit da for profit a tal punto che non conviene a nessuno, tra i volontari in senso lato, esercitare tali controlli . Può forse bastare la genesi dell'organizzazione sia da associazioni di volontariato, o da cooperazioni sociali specie se di tipo b) che consolidano il loro ruolo di cooperazione con enti pubblici o fondazioni nello spirito del servizio alla causa della solidarietà. I controlli fiscali di non-profit e di for profit possono essere lasciati a chi dovrà gestire i controlli previsti dalla difficile legge detta degli ONLUS, a chi ha stipulato contratti e convenzioni e all'opinione pubblica. Anche il termine di impresa sociale va un po' illanguidito nelle prassi non ipocrite, poiché non c'è impresa che non debba essere valutata anche in termini di bilancio economico, quale che sia la funzione sociale che essa svolge. Di conseguenza, è giusto che il terzo settore come qui inteso abbia dei propri forum più o meno permanenti, ma essi non possono presumere di inglobare in sé, se non per transitori accordi, il primo e gli ultimi due tipi ideali presentati in questa tassonomia;
c) il volontariato di advocacy internazionale che si confronti con i due obiettivi di "umanizzare l'economia e globalizzare la solidarietà ", dando voce a chi non ha voce, nei confronti della globalizzazione verticale egemone e ciò per la difesa e la introduzione di regole morali e sociali per la giustizia, lo sviluppo compatibile, la difesa delle identità culturali dei popoli; in difesa dei minori, delle donne, dei poveri del terzo e quarto mondo, ma con attenzione di puntare al vertice e non solo o tanto alle periferie della globalizzazione;
d) verso una new economy solidale, che unisca la modernizzazione in Internet nelle reti come nell'e-services, alle forme del commercio equo e solidale, alle banche del tempo, alle finanze etiche, alle professioni di più urgente e arduo compito in casi di calamità naturali o di guerre.
Dovrebbe essere consentito di separare i forum permanenti del terzo settore dai forum sociali anche internazionali centrati su tematiche dei due ultimi tipi. Perché nessun legittimo interesse di impresa cooperativa o di servizio sociale può dissociarsi dall'impegno critico verso processi di globalizzazione che ignorino la solidarietà e la dignità umana.
Achille Ardigò