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Kenya: gruppi pagati per uccidere, appello da Nakuru
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Continuano le violenze a Nakuru, capoluogo della Rift Valley dove le autorità keniane hanno imposto il coprifuoco notturno: l'agenzia Misna riporta che giovani armati appartenenti alla comunità kalenjin, che ha sostenuto il candidato sconfitto Odinga, verrebbero pagati 5000 scellini (circa 50 euro) per l'uccisione di un kikuyu, l'etnia di Kibaki. Per ottenere i 5000 scellini pattuiti per l'uccisione di un kikuyu, ai guerrieri kalenjin viene chiesto di riportare una parte del corpo della loro vittima.
"Il tariffario di Nakuru prevede 3000 scellini per ogni casa data alle fiamme e 5000 per ogni kikuyu ucciso. I giovani guerrieri kalenjin arrivano sul posto da attaccare a bordo dei camion di un'azienda locale molto nota da queste parti e di proprietà di un uomo politico conosciuto a livello nazionale. Questi stessi camion, nei mesi scorsi, venivano utilizzati per consegnare il cibo ai kalenjin che si trovavano nei campi di addestramento nascosti nelle foreste qui intorno" continua la fonte della Misna. L'esistenza di piani analoghi in altre zone dell'ovest del Kenya, teatro in queste settimane di alcuni degli episodi più violenti che hanno caratterizzato la crisi elettorale seguita al voto del 27 dicembre scorso, è stata riferita alla Misna da più fonti - tutte considerate affidabili - in differenti zone del paese e, oltre ad essere confermata dal lavoro giornalistico di alcune testate internazionali (tra cui il New York Times di due giorni fa) è oggetto di uno specifico rapporto di Human Rights Watch che, citando esponenti della comunità kalenjin di Eldoret, ricostruisce le stesse dinamiche rilevate dalla Misna prima a Eldoret e poi a Nakuru.
Proprio dalla zona di Nakuru ci giunge la drammatica testimonianza di don Gabriele Pipinato, direttore del Centro Saint Martin raccolta al telefono dal fratello, Fabio Pipinato, che riportiamo qui di seguito.
"Sono bloccato in Nakuru, non ce la faccio ad uscire. Ho visto 15 palazzine prender fuoco" - risponde al cellulare l'autista. "Stai lì" - gli fa eco don Gabriele Pipinato - direttore di Saint Martin - "Trova rifugio da qualche parte. Mettiti al sicuro. Trovati subito una guardia armata. Novità?". "Sono riuscito a comprare qualche coperta per i profughi. Poca cosa. Costa tutto caro" - continua l'autista. "Una notte di più al freddo non fa differenza. Non muoverti. Torna a casa appena la situazione è calma. Speriamo che l'esercito ristabilisca ordine" - ribatte don Gabriele.
Kenya. La città commerciale di Nakuru si trova nella Rift Valley in meridiani a metà strada tra Nairobi e Eldoret - il centro della pazzia. In paralleli dista 50 kilometri a sud dall'equatore, da Nyahururu. Famosa per i fenicotteri rosa del film "La mia Africa" e per aver dato i natali a Lucy, nostro antenato kenyapiteco nei più antichi siti archeologici dell'umanità è circondata dall'esercito intervenuto per imporre stabilità.
L'autista di Saint Martin è sceso all'inferno per comprar coperte, sapone e cibo; se possibile. Si prova prima nei centri commerciali, quasi tutti serrati e poi al mercato nero. Nel suo paese, a Nyahururu, vi sono più di 2.000 profughi bisognosi di tutto che stanno praticamente bloccando ogni attività dell'organizzazione non governativa. Sono stati divisi in gruppi ed affidati alla cura delle comunità. Dividono quel poco di conservato nei granai. Altri autisti del Saint Martin sono in altre città, anche se non si potrebbe viaggiare ma la situazione non vede altre soluzioni. Pochi giorni si resiste ma è passato già un mese dall'inizio degli scontri. Tutti in cerca di beni per far fronte alle prime necessità. Uno di loro non risponde da giorni.
"Ma se le violenze continuano arriveranno altrettanti profughi" sottolinea don Gabriele al telefono con Trento. "Sembra che il dialogo promosso ieri da Kofi Annan tra il presidente Kibaki e l'oppositore Odinga non abbia portato frutto". "Ma da dove arriva tutta questa gente?" - Chiedo. "Dal Lago Vittoria". Già tristemente famoso per aver conosciuto nell'altra sponda altri massacri in altri momenti. Rwanda. 1994. La Shoah africana. Stesse scene. Stessa politica internazionale balbettante ed incapace d'agire subito con determinazione. Terzo millennio.
"E la polizia? Cosa fa la polizia?" - chiedo. "Sta aiutando i civili a lasciare le aree più calde per recarsi verso la Rift Valley per trovare rifugio. La situazione è per loro fuori controllo. Non fa che sparare in aria senza risultato. Da due giorni scontri e violenze tra gruppi armati di kalenjin e kikuyu hanno messo a ferro e fuoco villaggi interi. Le città di Rongai e il villaggio di Kiambogo sono stati attaccati con molte case date alle fiamme. Una quindicina i morti accertati. Giovani disperati ed armati di machete e pistole distruggono ed uccidono. Anche un ragazzino di 13 anni".
Nelle strade statali non si viaggia in auto. Scene di auto bloccate da lunghe colonne di civili - 50mila persone secondo l'agenzia Misna - che a piedi si stanno dirigendo verso Nakuru, portando con loro materassi, pentole e tutto quello che sono riusciti a prendere dalle proprie abitazioni prima di lasciarle. Lontane, ormai, centinaia di kilometri. L'esodo: vecchi, donne e bambini incoraggiati a non mollare. Lì, dietro la collina... e poi ci siamo! Alle spalle la pulizia etnica. Davanti colline da valicare.
La Croce Rossa, al momento, parla di "centinaia" di feriti mentre migliaia di persone si troverebbero provvisoriamente accampate nell'area tra Molo e Nakuru. In attesa di qualcosa e qualcuno. La metà della popolazione di Trento riversate nelle strade senza un tetto, cibo ed igiene. Siamo in un altipiano a 2.300 metri di altezza. Di notte fa freddo. S'accendono i fuochi. Quest'ultimi sono peraltro causa di nuovi disordini tra polizia e manifestanti nel centro cittadino. La polizia è intervenuta ieri per disperdere una manifestazione spontanea della popolazione, scesa in strada per protestare contro le forze di sicurezza colpevoli di non essere intervenute per impedire gli incendi appiccati durante la notte in molte zone alla periferia della città. La polizia ha anche aperto il fuoco per disperdere la folla lasciando in strada feriti. Gli ospedali sono allo stremo. La situazione in città è molto tesa e tutti i negozi, uffici e bar sono chiusi. Non si vede un turista nella città della speranza.
di Fabio Pipinato