Kenya: scontri e tensioni, appelli per l'intesa politica

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C'è ancora forte tensione e paura in Kenya dopo gli scontri dei giorni scorsi a seguito dell'annuncio della vittoria elettorale del presidente uscente Mwai Kibaki: secondo fonti locali sarebbero 300 i morti e oltre 70mila gli sfollati. "Man mano che passavano le ore, sempre più dettagli raccapriccianti della guerriglia urbana e degli eccidi dei giorni precedenti venivano alla luce. A Eldoret, nell'ovest del paese, nella regione abitata in maggioranza da gente di etnia luo, la stessa di Odinga, fonti della polizia hanno riferito che almeno trenta persone sarebbero rimaste vittime del rogo della chiesa in cui avevano cercato rifugio per sfuggire alla violenze. Altre quaranta circa, stando a fonti della Croce Rossa, sarebbero ricoverate invece in gravissime condizioni per le ustioni riportate, in un eccidio che non può non richiamare alla mente scene ruandesi" - riporta Lettera 22.

"La base degli scontri è soprattutto di carattere economico: la mia esperienza di molti anni di vita in Kenya, a Korogocho, mi fa escludere decisamente che si possa arrivare a scontri interreligiosi" - sottolinea p. Alex Zanotelli. "L'intesa tra le differenti religioni, con l'eccezione di piccoli gruppi di integralisti, è stata sempre grande né gli islamici sono affatto coinvolti nelle vicende attuali" - continua il missionario. "I kikuyu, l'etnia del presidente Kibaki, ha una lunga storia di potere non solo politico, ma anche economico sin dai tempi di Kenyatta, poi continuata durante il regime di Moi (concluso dopo 24 anni nel 2002 con l'elezione di Mwai Kibaki, ndr); adesso i Luo, l'etnia di Raila Odinga, vogliono recuperare questo potere economico e certo non vorrebbero lasciarsi sfuggire l'elezione del presidente, che ritenevano a portata di mano. Credo che questa sia la ragione della violenza degli scontri, in un sistema paese che peraltro è violento per sua natura". Padre Zanotelli evidenzia infine la preoccupazione che "questo contesto non sfoci in un clima da guerra civile".

A conferma dell'analisi di p. Zanotelli va segnalato l'appello del Supkem, Supremo consiglio dei musulmani del Kenya, che definisce "privi di senso le uccisioni e i saccheggi di massa" e invita alla pace- "Quello di cui abbiamo bisogno adesso è la pace perchè nessun passo avanti positive può esssere compiuto nel caos. i keniani sanno che gli atti di violenza servono solo a danneggiare il paese". Il Supkem ha chiesto ai principali esponenti politici del paese di incontrarsi per discutere delle loro divergenze e tentare di comporle. "I musulmani non devono partecipare a disordini, uccisioni di persone innocenti o distruzioni di proprietà perchè contrari agli insegnamenti dell'Islam" - ha aggiunto il presidente della 'Islamic Lobbying for Justice and Truth'.

Un altro missionario, p. Giulio Albanese, nel ricostruire la recente vicenda politica del Kenya sottolinea che "gli equilibri politici erano già stati decisamente sconvolti da divisioni segnalate dal referendum del novembre 2005 sulla revisione della Costituzione in vigore dall'indipendenza (1963). Sette ministri, capeggiati dal responsabile dei Lavori pubblici, il potente Raila Odinga, si schierarono in quella circostanza contro il progetto, sostenuto da Kibaki, di modifica della Carta fondamentale. Vinsero i sostenitori del 'no', con il 58 per cento dei suffragi. Il messaggio popolare era chiaro: Kibaki non stava mantenendo le promesse che aveva fatto in campagna elettorale, cioè battere la corruzione, prima di tutto, e risollevare le sorti economiche di una nazione saccheggiata dall'oligarchia del vecchio Moi. Vista la mala parata, Kibaki, esponente di spicco dell'etnia maggioritaria Kikuyu, ha deciso di ricandidarsi per un secondo mandato con il sostegno proprio di quei personaggi che nelle precedenti elezioni erano stati i suoi principali rivali: Moi, che aveva malamente guidato il Paese per ventiquattr'anni, e Uhuru Kenyatta, figlio del primo presidente, che nella tornata del 2002 era il candidato del Kanu. Anche p. Albanese sottolinea che "la sicurezza è a grave rischio in un Paese dove le contrapposizioni etniche sono sempre state abilmente strumentalizzate dalla vecchia classe dirigente, secondo la logica del divide et impera".

Intanto è atteso oggi a Nairobi il presidente dell'Unione Africana (Ua), il capo di stato ghanese John Kufuor, che dovrà incontrare i principali protagonisti delle elezioni presidenziali del 27 dicembre scorso - riporta l'agenzia Misna. La mediazione di Kufuor si affianca a quelle avviate nelle ultime 48 ore dalla diplomazia internazionale e dall'ex-presidente della Sierra Leone Ahmad Tejan Kabbah che, in qualità di capo della missione elettorale del Comonwealth, ieri ha incontrato il presidente keniano Mwai Kibaki, Railda Odinga (principale candidato dell'opposizione che si dichiara vincitore delle elezioni) e Kalonzo Musyoka, altro esponente di spicco della minoranza giunto terzo al voto.

Un forte appello ai politici affinché trovino un'intesa arriva anche dai mezzi di informazione keniani - riporta sempre la Misna. "Questa follia non può andare avanti" - si legge nell'editoriale 'Date un'opportunità alla pace' comparso oggi sul 'Nation' il principale quotidiano keniano che già ieri aveva dedicato un'interessante fondo alle violenze del paese sottolineando le responsabilità della politica e dei due principali candidati alle presidenziali Kibaki e Odinga nell'aver "attizzato" il fuoco e gli scontri etnici che continuano a interessare alcune zone del paese. "La bestialità alla quale è stato dato libero sfogo in questi giorni non può essere trattata come una semplice questione di ordine e sicurezza. Serve uno sforzo diretto e congiunto di tutti i principali attori politici, il cui duello per la presidenza ha incendiato tutto. È gratificante sentire che sia il presidente Kibaki sia il suo oppositore Odinga si sono detti pronti a dialogare per trovare la pace. Bene ora è il momento che passino da mere dichiarazioni a impegni concreti, mettendo da parte ogni condizione per il bene del paese".

Dello stesso avviso anche p. Kizito Sesana che in una dettagliata analisi sui fatti di questi giorni sottolinea che "Il dialogo fre le due parti deve cominciare al più presto". "Non si può aspettare. Bisogna evitare la manifestazione di piazza di domani. Se questa manifestazione dovesse andare avanti, che il governo si opponga o no, non ci sono dubbia che scatenerà un nuovo ciclo di violenza e morte che renderà ancora piu difficile la possibilità di una riconciliazione". [GB]

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