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Roma: arriva la marcia per diritti in Eritrea
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Partita dal Piazzale delle Nazioni Unite di Ginevra il 16 giugno scorso arriverà domani alle 9.30 in via Trionfale a Roma per poi dirigersi verso la Città del Vaticano la marcia più lunga del mondo: due giovani eritrei, Tekle e Samuel, hanno camminato per 1.200 chilometri, raccogliendo firme per richiamare l'attenzione internazionale sulla violazione dei diritti umani in Eritrea, l'imprigionamento di migliaia di persone in carceri segrete senza alcun processo e le torture e i maltrattamenti cui sono sottoposti. Nel documento, che verrà consegnato al Santo Padre, alle rappresentanze delle Nazioni Unite, del Parlamento Europeo e dell'Unione Africana, i partecipanti alla marcia chiedono che venga istituita una Commissione Internazionale di Ispezione nei luoghi di detenzione in Eritrea e che in quel paese vengano rispettati i Diritti umani universali.
La marcia è stata seguita dalla roulotte "Hiwet" (Vita) dell'organizzazione Asper (Associazione Salviamo il Popolo Eritreo) che opera per la tutela dei diritti umani del popolo eritreo. Samuel e Tekle Ghebregherghis non sono nuovi a queste imprese: hanno infatti già effettuato una marcia da Francoforte a Bruxelles (600 chilometri) che però non ha avuto riscontro. Hanno, quindi, pensato ad una marcia più lunga nella speranza di poter coinvolgere le Nazioni Uniti, il Parlamento Europeo.
Mentre Samuel e Tekle sono in dirittura di arrivo, dall'Eritrea purtroppo giungono notizie preoccupanti circa una vasta e massiccia campagna di imprigionamento di genitori di giovani presunti "scappati" in diverse città e distretti del paese e soprattutto ad Adi Quala, Adi Keyih, Mendefera, Tera Emni, Arreza, Mai Mine, Mai Aini e Hazemo. Fonti ben informate come Gedab News riporta notizie sulla campagna di imprigionamenti in pochi giorni tra le 700-800 persone mentre Asmarino News rende pubblica una e-mail ricevuta dalla capitale Asmara sui fatti che accaduti e lancia un appello alla comunità eritrea all'estero a presentare denuncia presso le organizzazioni internazionali per i diritti umani
In Eritrea gli arresti ingiustificati e le persecuzioni verso chiunque esprima dissenso contro la dittatura militare continuano nell'indifferenza del mondo. Il rapporto Amnesty International sull'Eritrea è agghiacciante: migliaia di persone sono recluse, anche da diversi anni, in località segrete, impedite perfino alla visita dei parenti. Nessun atto di accusa è stato formalizzato, nessun processo è stato celebrato, la stampa non governativa è stata soppressa. La tortura è praticata sistematicamente. Tutti i giovani sono costretti in campi di addestramento militare per essere tenuti sotto controllo.
Dopo una guerra trentennale (1962-1991), l'Eritrea ha ottenuto la propria indipendenza dall'Etiopia nel 1993. Il fatto però di non aver stabilito fin dall'inizio confini chiari e definitivi ha portato ad un rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, finché nel 1998 le truppe di Asmara hanno deciso di varcare il confine, dando inizio a scontri armati che sono degenerati in una sanguinosa guerra a tutto campo (1998-2000). Dopo 2 anni di conflitto e decine di migliaia di vittime (più di 70.000), Etiopia ed Eritrea hanno cessano le ostilità e si sono affidate all'Onu per decidere definitivamente dei propri confini. Nonostante la proposta sia stata formalizzata già nel 2002, i due Paesi sono ancora ben lontani dall'aver trovato un accordo e ancora recentemente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso il timore che il protrarsi delle dispute di confine possa sfociare in una nuova guerra fra Eritrea e Etiopia.
Il mese scorso il Cipsi - coordinamento di 37 Ong - ha chiesto al Governo italiano e alla comunità internazionale di adoperarsi per un embargo totale sulla vendita di armi verso l'Etiopia e l'Eritrea finchè non sia risolta la disputa sui confini di stato tra i due Paesi. Il Cipsi sollecita inoltre i Governi di Eritrea ed Etiopia a mettere in atto tutte le misure politiche e diplomatiche necessarie affinché non inizi una nuova escalation militare che potrebbe degenerare in aperta ostilità. [GB]