#terrealte | Gli uccelli alpini a rischio per il riscaldamento globale

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Che l’innalzamento delle temperature non porti buone notizie lo sappiamo. Che ne porti di ancor meno buone per l’avifauna alpina è forse cosa meno nota, ma altrettanto allarmante. La biodiversità è ampiamente minacciata sia in maniera diretta che in maniera indiretta, così come lo sono i servizi ecosistemici. In particolare nelle regioni montane, maggiormente sensibili ai cambiamenti climatici in quanto dimora di organismi specializzati e adattati a temperature più fredde e al contempo più colpite dal riscaldamento globale (insieme all’abbandono della terra e a condizioni di habitat alterate dalla presenza umana). I sistemi montani ospitano infatti – pur occupando solo il 25% della superficie terrestre, quasi la metà degli hotspot di biodiversità terrestre del Pianeta. Molte sono specie alpine che si sono adattate a vivere in condizioni più aspre e questo è il motivo principale per cui, venendo meno quelle condizioni, quelle specie risultano particolarmente vulnerabili e drammaticamente a rischio (in special modo quelle legate ai pascoli d’alta quota).

Le preoccupazioni le esprime un recente studio condotto da una squadra internazionale e coordinato dal dott. Mattia Brambilla, ricercatore in Ecologia del Dipartimento di Scienze politiche e ambientali dell’Università Statale di Milano. Lo studio, pubblicato sulla rivista Global Change Biology, mette in chiaro come il riscaldamento globale rappresenti per alcune specie viventi un pericolo mortale. Tra questi gli uccelli dell’arco alpino, primo tra tutti il fringuello, che subiscono con grande sofferenza le conseguenze dei cambiamenti climatici che sono in queste aree particolarmente evidenti e purtroppo destinate a intensificarsi, provocando nei prossimi anni una crisi ancor più cruda.

Qui le popolazioni di pernice bianca (Lagopus muta), spioncello (Anthus spinoletta), sordone (Prunella collaris) e fringuello alpino (Montifringilla nivalis), se il trend rimane come quello attualmente identificato, potrebbero ridursi drasticamente, fino all’estinzione. Lo si evince dai modelli di distribuzione utilizzati combinati con variabili climatiche, topografiche e di uso del suolo e realizzati grazie a migliaia di dati che riguardano la presenza di specie peculiari delle Alpi, ricavati da fonti multiple tra cui portali di citizen scienze, arricchiti anche per la partecipazione di cittadini appassionati e ornitologi professionisti.

Un’operazione che ha permesso di proiettare questi modelli dagli scenari attuali a quelli futuri (2041-2070), ottenendo una valutazione delle probabili variazioni nell’areale delle diverse specie. Variazioni che di certo avverranno e che, come per le specie vegetali, andranno incontro a un innalzamento della quota media di presenza che, in casi più estremi, potrebbe superare i 400 metri. E, se in parte lo spioncello potrebbe passarsela leggermente meglio, le altre specie dovranno affrontare anche una riduzione tra il 17% e il 59% della superficie di aree idonee.

Non grandi notizie, come possiamo comprendere. Ma forse una speranza, che si situa in quei circa 15 mila chilometri quadrati di territorio alpino che risultano idonei alla vita di queste specie e che con ogni probabilità lo resteranno anche in futuro. Siti di importanza cruciale non solo per la loro sopravvivenza, ma anche per la conservazione su larga scala degli ecosistemi delle Alpi e della biodiversità in alta quota. Sono quelli che vengono definiti “rifugi climatici”, ovvero aree ecologiche che possono mantenere le proprie caratteristiche a prescindere dal riscaldamento globale, garantendo in questo modo la possibilità di sopravvivere a organismi o risorse fondamentali non solo da un punto di vista naturale, ma anche socioculturale.

Identificare queste aree e tutelarle con ancor più attenzione (al momento il 44% di questo territorio è già area protetta) è un’azione chiave per la conservazione della biodiversità minacciata dai cambiamenti climatici e rappresenta la possibilità - resiliente - di un futuro ad oggi gravemente minacciato.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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