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Zimbabwe: operazione Murambatsvina e interessi cinesi
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"Operazione Murambatsvina - Spazza via l'immondizia". Non è una nuova campagna ecologica, ma lo slogan con cui il governo dello Zimbabwe ha avviato nelle scorse settimane, in pieno inverno, una delle più massicce operazioni di sgombero e demolizione di case e baracche che la storia, non solo africana, abbia conosciuto.
Il colossale intervento ha già interessato 300 mila persone, ma ne coinvolgerà nelle prossime settimane almeno un milione e mezzo: un abitante su otto. L'azione richiama alla memoria la drastica decisione in corso in Kenya di radere al suolo le 199 baraccopoli di Nairobi: ma si tratta di qualcosa di molto diverso. "Nel Kenya - spiega Cesare Ottolini, coordinatore della "International Alliance of Inhabitants" - l'operazione è stata fatta con la scusa di attrarre gli investimenti stranieri per la realizzazione di un'autostrada e la messa in sicurezza della ferrovia e degli elettrodotti ad alta tensione. Qui è diverso, non solo perché lo Zimbabwe è fuori da tutti i maggiori circuiti di finanziamento internazionale, ma anche perché il provvedimento riguarda tutto il territorio nazionale". Il presidente Gabriel Mugabe ha giustificato l'operazione richiamandosi al rispetto delle direttive delle Nazioni Unite contro l'eccessiva urbanizzazione: gli sgomberi servirebbero a rimandare la gente nelle campagne. "Le Nazioni Unite però non giustificano questa operazione che fa uso della violenza, e sostengono la necessità di concordare l'eventuale rilocazione degli abitanti salvaguardando il diritto alla libertà di circolazione" - nota Ottolini.
- Rapporto Onu sugli sgomberi in Zimbabwe ( Pdf in inglese)
- Ristabilire il diritto alla casa in Zimbabwe:
Appello di IAI e della società civile
La situazione è in rapidissima evoluzione. Non passa giorno che non arrivino notizie di nuovi sgomberi che ormai non riguardano più solo la capitale Harare, ma tutti i maggiori agglomerati urbani. E, diversamente da quanto accade in Kenya, qui non si distruggono solo le baracche, ma anche case, insediamenti commerciali e magazzini. Il tutto senza alcun accordo con i proprietari, sfruttando il fatto che nello Zimbabwe, come in gran parte dell'Africa, quella della proprietà della terra è una questione nella quale mancano regole condivise. Le conseguenze sono disastrose non solo sul piano sociale, ma anche su quello ambientale: la gente rimasta senza casa si sta muovendo verso i parchi naturali, che rischiano di essere seriamente pregiudicati da insediamenti imprevisti, compromettendo fra l'altro anche il fragile mercato turistico locale. Un disastro anche economico in un Paese dove il PNL pro capite non arriva ai 500 dollari, la speranza di vita alla nascita è di soli 34 anni, l'AIDS colpisce - fra i 15 e i 19 anni - il 33% della popolazione compresa fra i 15 e i 49 anni.
Non è mancata la reazione, e molto forte, da parte della popolazione, alla quale il Governo ha reagito però con estrema durezza: già si parla di oltre quarantamila arresti e di alcune decine di morti, ma sul numero reale delle vittime è molto difficile avere informazioni, anche perché la stampa locale è controllata dal Governo. La lotta vede l'episcopato cattolico in prima linea a fianco degli sfrattati, con gravi rischi per vescovi e religiosi. In una Lettera Pastorale i vescovi affermano che "ogni tentativo di giustificare l'operazione di sgombero col desiderio di ripristinare l'ordine non ha alcun fondamento anche in considerazione dei mezzi crudeli e inumani impiegati per attuarla".
Uno degli aspetti più preoccupanti della vicenda riguarda la crescente influenza cinese nello Zimbabwe. Il colosso asiatico in questi mesi ha infittito i rapporti diplomatici e commerciali con il Paese africano, incrementando fortemente gli investimenti. "In realtà - afferma Ottolini - quello dello Zimbabwe non è un grandissimo mercato, ma è fondamentale la sua posizione strategica". A conferma cita i continui viaggi di Mugabe in Cina e la crescente presenza di imprenditori cinesi in Zimbabwe. "Non a caso proprio in questi giorni, mentre i Paesi occidentali si sono schierati contro le scelte di Mugabe, la Cina ha discusso della possibilità di mandare aiuti economici allo Zimbabwe. Nel Paese ci sono già comunità cinesi e imprenditori pronti a realizzare, sulle aree rese libere dallo sgombero, industrie nelle quali organizzare il lavoro secondo standard e condizioni di lavoro cinesi".
La situazione politica interna rimane difficile: Mugabe mantiene il controllo grazie alle milizie a lui fedeli, che un tempo aveva favorito con la concessione delle fattorie dei bianchi, e ad una schiacciante maggioranza in Parlamento: il partito di opposizione, l'MDC (Movimento del cambiamento democratico), ha già visto morire in circostanze violente sei dei suoi cinquanta parlamentari.
di Alberto Conci
La scheda
Grazie alla Campagna promossa dalla "International Alliance of Inhabitants" (www.habitants.org) la questione degli sgomberi in Zimbabwe sta acquisendo rilevanza internazionale. "A livello di base - spiega Ottolini, coordinatore della campagna - c'è un appello firmato da oltre 200 soggetti della società civile che ha fatto abbastanza scalpore soprattutto per l'alta presenza di realtà provenienti dall'Africa. Sul piano istituzionale hanno già preso posizione contro gli sgomberi la Gran Bretagna, gli Stati Uniti (che stanno spingendo fra l'altro per un intervento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), la Germania che ha presentato una forte posizione a livello parlamentare. A tutti questi livelli c'è la richiesta di subordinare la cancellazione del debito alla sospensione del provvedimento".
Forte anche la voce di dieci rappresentati speciali dell'Onu per i Diritti umani (OHCHR) che durante una recente visita hanno rilevato "spostamenti forzati in massa" e "persistenti violazioni dei diritti" ed hanno richiamato il Governo di Mugabe alle proprie responsabilità soprattutto nei confronti degli sfollati.
Ma l'iniziativa più importante è quella realizzata da Anna Tibajiuka, direttrice di UN-Habitat, il programma delle Nazioni Unite sull'habitat. La Tibajiuka, inviata ufficialmente da Kofi Annan, si è fermata nella capitale Harare molto più a lungo di quanto inizialmente previsto, ed ha mandato un rapporto ufficiale al Governo dello Zimbabwue che è stato pubblicato proprio ieri. Il Rapporto stima che l'Operazione Murambatsvina "abbia già lasciato 700 mila senza dimora e mezzi di sostentamento e riguarda in varia misura altre 2 milioni e 400 mila persone". In seguito al Rapporto i governi di alcuni Paesi occidentali, con in testa la Gran Bretagna, stanno proponendo al Consiglio di sicurezza di ascoltare Anna Tibaijuka, inviata speciale del Segretario Generale Kofi Annan ad Harare e autrice del rapporto sulle demolizioni.
E' possibile aderire all'appello internazionale firmando la petizione sul sito www.habitants.org (A.C.)