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Wto: accordo condizionato, colpo alle economie solidali
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A dodici giorni dalla ministeriale sul commercio internazionale di Hong Kong è definitivamente accantonata la possibilità di concordare un testo di "full modalities", ovvero un accordo comprensivo di cifre e percentuali, per ridurre dazi e sussidi nei vari capitoli in cui si articola l'agenda di Doha. Hong Kong appare così irrimediabilmente declassata ed i ministri più influenti hanno ventilato la proposta di un summit di alto livello (in sostanza un consiglio generale aperto ai ministri), nell'aprile/maggio del 2006. Nel frattempo, il direttore generale, Pascal Lamy, ha presentato la prima bozza della dichiarazione ministeriale: 42 pagine che riassumono lo stato dell'arte del "Doha Development round". Da una attenta lettura emerge però un mandato negoziale indirizzato verso obiettivi ben lontani da quelli dichiarati nel 2001 al lancio del negoziato. Il documento scritto è molto controverso poiché recepisce le sollecitazioni europee delle corporation ignorando l'opposizione della stragrande maggioranza dei paesi membri.
"Stop the EU' Corporate Trade Agenda" - è questo lo slogan adottato dalle associazioni/organizzazioni europee che aderiscono alla Rete "Seattle to Brussels", fra cui Retelilliput e diverse altre associazioni di Tradewatch.. Perché questo slogan? Perché sono le corporation ad aver scritto accordi WTO come il GATS (servizi) e il TRIPS (diritti di proprietà intellettuale) e perché la Commissione Europea ha sempre avuto un occhio di riguardo per le loro proposte, anzi le ha richieste e adottate come politica dell'Unione Europea. Proprio dall'European Services Forum, una lobby che comprende le maggiori società europee operanti nel settore dei servizi, è partita - attraverso una lettera privata ora resa pubblicata dalla società civile - la richiesta all'UE di lasciar perdere con la proposta di indicatori numerici, considerata controproducente perché inaccettabile agli altri paesi membri del WTO. Ebbene questa proposta figurava nella bozza di dichiarazione ministeriale di alcuni giorni fa, mentre è scomparsa nella versione presentata il 25 novembre da Pascal Lamy, il direttore generale del WTO. Non male!
Secondo l'analisi di Focus on the Global South, un'organizzazione di base presente in alcuni stati dell'Asia del Sud, per i Paesi in via di sviluppo, la bozza di dichiarazione ministeriale è una ricetta per ammazzare la propria industria, rovinare la vita dei propri piccoli agricoltori e minare la loro capacità produttiva, decimando, tra gli altri, la loro offerta nazionale nel settore dei servizi. Obbligare questi Paesi a competere a livello internazionale nell'industria, nell'agricoltura e nei servizi senza aver prima realizzato un necessario percorso di consolidamento industriale interno, protetto dalla concorrenza estera, come di fatto hanno fatto i Paesi del Nord, significa aprire la strada alla disoccupazione e, probabilmente, all'instabilità politica e al conflitto sociale. Il grande vincitore per Usa e Ue è il settore dei servizi, dove i Paesi in via di sviluppo sono costretti ad una liberalizzazione aggressiva in totale contraddizione con l'architettura negoziale prevista per il settore, che manteneva, almeno teoricamente, una flessibilità necessaria per decidere se e come aprire il proprio settore dei servizi alla concorrenza internazionale. Sui capitoli dell'agricoltura e dei prodotti industriali, pur mantenendo ancora una certa pluralità di posizioni sul tavolo negoziale, comunque a discapito dei Paesi poveri, è evidente come emergano gli interessi dei grandi player occidentali, come Europa e Usa.
Niente di concreto rispetto allo sviluppo. "Al massimo la proposta di accesso duty free ai prodotti esportati dai paesi meno sviluppati, ma aprire un'autostrada a chi non ha la macchina non è una grande forma di aiuto!" commenta Roberto Meregalli dell'Osservatorio Tradewatch. "L'ultimo consiglio generale si tiene l'1 dicembre, dopodichè il circo WTO si trasferirà in pompa magna in terra cinese per il biennale big show mediatico in cui i nostri grandi ministri faranno pubblico esercizio retorico di sensibilità e buona volontà verso i poveri del pianeta, chiudendo in bellezza un anno in cui di aiuti si è parecchio parlato". Nel frattempo però i negoziati non si fermano, anzi proseguono nel peggiore dei modi: in questi giorni tutto si sta giocando in incontri ristretti, le note green room, in cui per la maggioranza dei membri del WTO non c'è posto. In dissenso agli accordi agricoli proposti, i movimenti contadini europei ed africani che con un comunicato esprimono preoccupazione visto che l'avvenire di molte produzioni e di milioni di famiglie di produttori è messo ulteriormente a rischio a causa del dumping europeo che permette di esportare a prezzi bassi. Un duro colpo all'economia familiare, motore dell'economia dell'Africa e principale garanzia per la sicurezza alimentare della popolazione e strumento di lotta contro la povertà rurale.occidentale.
Le organizzazioni agricole firmatarie sia africane che europee, chiedono pertanto un cambiamento delle politiche agricole, degli accordi economici e delle regole del commercio internazionale a partire dal dare priorità all'integrazione regionale rispetto al commercio internazionale e all'approvvigionamento alimentare interno rispetto all'esportazione. Una richiesta, come quella della riduzione dei sussidi all'agricoltura che non viene per nulla accolta dal commissario al commercio della Ue, Peter Mandelson che ha definito richieste "stravaganti" quelle dei paesi del G20. L'Europa è preoccupata che queste richieste possano rappresentare un ostacolo in grado di compromettere l'intero round negoziale. Inoltre, Mandelson ha sostenuto di non credere che la proposta americana in materia di tagli ai sussidi, interni e all'esportazioni, attraverso la riforma del sistema degli aiuti alimentari e dei crediti all'esportazione, rappresenti un passo in avanti importante nei negoziati. Per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo, il commissario al commercio ha chiaramente affermato che non devono aspettarsi il totale libero mercato dei prodotti agricoli. "Non credo - ha sostenuto Mandelson - in un libero mercato dei prodotti agricoli. Se avessimo questo libero mercato dovremmo essere in mano ad un numero relativamente ristretto di produttori che potrebbero tenerci in ostaggio".
Una posizione che non è condivisa dal movimento equosolidale globale che ha espresso con un documento su Hong Kong redatto da Fair Trade Organizzation, News e l'European Fair Trade Association. "La storia dimostra che nessuna economia nazionale è mai cresciuta grazie al solo commercio. Nessun Paese sviluppato ha ottenuto il benessere economico senza forti mercati interni e collegamenti economici multipli tra la produzione industriale interna, quella agricola e le altre produzioni primarie" viene sottolineato nel documento.
"Un principio chiave delle politiche commerciali - attualmente assente in ambito WTO - è che ogni Paese dovrebbe avere diritto alla sicurezza e alla sovranità alimentare, e dovrebbe essere autorizzata a proteggere i settori strategici della propria economia". Per questo il Commercio Equo e Solidale crede che i Paesi ricchi abbiano l'obbligo morale di fermare ogni forma di sussidio distorsivo della concorrenza e che provochi dumping sui mercati mondiali, poiché l'impatto di queste pratiche sui più poveri è stato devastante. "Per ottenere questo le trattative in corso in ambito WTO dovrebbero cambiare rotta e portare al centro dei negoziati gli interessi dei produttori piccoli ed emarginati" diconono le organizzazioni che propongono un'analisi e avanzano proposte per i tre maggiori settori di competenza che sono l'agricoltura, le materie prime "coloniali" e l'accesso al mercato non agricoli (accordo NAMA) di cui l'escalation delle tariffe (ossia quel meccanismo che impone dazi più bassi sulle importazioni di materie prime e più alti sui prodotti finiti) impedisce ai piccoli produttori di accumulare più valore aggiunto all'interno dei propri Paesi, e costituisce un'autentica barriera allo sviluppo sostenibile. [AT]
Fonte: Osservatorio Tradewatch