WSF: il Sud del mondo rialza la testa

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L'idea del World Social Forum (WSF), che raccoglie non solo idealmente circa 100mila sognatori è nata in contrapposizione all'idea del World Economic Forum (WEF) che raccoglie, concretamente, circa 2.000 potenti della terra ogni anno a Davos - Svizzera. I due eventi avvengono contemporaneamente con caratteristiche diverse; talvolta opposte. Ho la fortuna di collaborare per un piccolo network - OneWorld - che oltre ad aver dato il nome al WSF da sempre cerca di abitare e raccontare entrambi gli eventi. A nostro avviso, ambivalenti.

Non solo. In passato ha tentato il dialogo tra i due mondi con una videoconferenza tra Porto Alegre e Davos ma ha fallito. Non tanto per assenza di linea telefonica, banda larga o altra diavoleria ma per mancanza di volontà. Il Sud o, meglio, coloro che pretendevano di rappresentare i Sud si rifiutarono di parlare con il Nord. Non c'è stata quindi l'occasione per le leader dei movimenti come Vandana Shiva o Susan Gorge d' incontrarsi on line con i guru dell'economia come Gorge Soros o Bill Gates.

Peccato. Occasione mancata. I ricchi continueranno a frequentare i potenti ed i meno ricchi gli impotenti della terra. Tra tutti vi saranno gli "eroi dei due mondi" come il Presidente brasiliano Lula ed altri capi di Stato "progressisti" che non mancheranno l'occasione di passare per Nairobi prima di raggiungere Davos coniugando idealità e denaro. Il presidente Venezuelano Chàvez non è stato invitato tra le nevi oltralpe. Non progressista?

La realtà è ben diversa da quella prospettata dagli amanti della contrapposizione. Anzi, sembra quasi capovolta. La Svizzera presenterà oggi i nomi di 250 giovani leader mondiali scelti tra 4.000 candidati. Massimo 40 anni. Molte donne. Di mestiere fanno business, politica, società, arte, università, cultura, difesa dei diritti umani.

E la novità? La maggioranza proviene dagli aggressivi Sud del mondo. Questa notizia mette fine ad un'epoca ove è l'Occidente a farla da maestro, ad esportare democrazia e bombardare la periferia. La prima istantanea che viene dal mondo delle multinazionali di Davos è un cortese: "Signori, ci siamo anche noi. Fate posto" e le multinazionali si contenderanno i neolaureati ventitreenni della Bombay University anziché della vecchia Harvard tanto raccomandata da papà.

Ma qual è la novità di Nairobi? I luoghi, anzi gli iperluoghi ove si svolgerà l'evento. Lo stadio sito tra il modernissimo centro e la baraccopoli di Kibera. Ottocentomila abitanti. Lo slum più grande nell'Africa a Sud dell'Equatore. Un'icona di miseria e violenza che esplode di vita, voglia di farcela, emergere.

Tutto ciò inonderà i relativamente "soli" centomila sognatori. La capitale da 4 milioni e più di abitanti, dei quali 2,5 milioni con meno di un dollaro giorno, così intenta a sbarcare il lunario giorno dopo giorno non se ne accorgerà nemmeno della presenza dei centomila ricercatori di giustizia globale. Ed anche questo è un modo elegante e senza offesa per ri-dirci: "Signori, benvenuti. Ma qui il forum lo celebriamo tutti i santi giorni".

Scattate le due foto dei due eventi che nulla hanno a che fare con i film degli stessi fatti di storie, incontri dobbiamo tentare il dialogo tra tutti coloro che sono stati messi da parte: noi. Se vogliamo ancora avere una qualche timida presenza nella scena mondiale. Per farlo dovremmo:
1) riconoscere tutti il nostro fallimento e le nostre limitate forze e scarsi mezzi nell'applicare le tesi dei precedenti Forum. Insomma, scendere dal nostro innato complesso di superiorità.
2) cercare da subito d'individuare nell'altro di Davos o di Nairobi le ragioni buone delle loro tesi.
3) Sostenere ogni forma di dialogo tra i due mondi valorizzando il molto che accomuna i due eventi al fine di restituire la giusta dimensione alle differenze. Ad esasperarle ci penseranno già i fanatici dementi, peraltro onnipresenti.

Potremmo partire dal terreno comune degli Obiettivi del Millennio delineati dal terzo Forum. Quello ONU. Della politica istituzionale. Siamo nel 2007, giusto a metà del processo iniziato nel 2000 e che deve portare entro il 2015 a dire con orgoglio che grazie a tutte le forze in campo, privati, società civili, buone politiche da ogni parte del pianeta, abbiamo contribuito ad eliminare la miseria più estrema. Non v'è guerra più santa di questa. Ed è qui che dobbiamo misurarci come uomini e donne in grado di abitare la propria storia.

Se continueremo a sopravvalutarci, ad incontrarci in luoghi differenti parlando linguaggi diversi, a sentenziare, rischiamo l'autocelebrazione. Null'altro. Serve passare dalla contrapposizione alla giustapposizione. Serve coraggio per liberarci dal vecchio millennio per abitare il nuovo. A partire dalle nostre menti.

Fabio Pipinato

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