Via le truppe: Iraq e Afghanistan

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In questi giorni, Governo e maggioranza dell'Unione, sono chiamati a discutere e decidere in merito al proseguimento delle missioni militari alle quali partecipano soldati italiani - in particolare in Iraq e in Afghanistan. "Il movimento per la pace - fin dall'ottobre del 2001 a Roma, in vista dell'attacco contro l'Afghanistan - ha manifestato contro la guerra "senza se e senza ma", e oggi torna a chiedere che questa scelta venga compiuta. Ma mentre sembra chiaro (anche se con troppa indecisione) che nessun militare italiano rimarrà in Iraq, sull'Afghanistan la strada sembra differente. Sembra, al momento che scriviamo, che il lavoro dei parlamentari pacifisti sia riuscito a respingere le richieste Nato di un aumento dell'impegno in Afghanistan: niente aumento di truppe, nessuno spostamento nelle zone dei combattimenti, nessun invio degli aerei da guerra AMX" - scrive il Coordinamento milanese per la pace.

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E questo è bene; Spagna e Olanda hanno ritirato le truppe dall'Iraq in cambio dell'invio di truppe in l'Afghanistan: l'Italia meglio di Zapatero, quindi. E questo è sicuramente merito del lavoro della sinistra dell'attuale maggioranza di centro-sinistra, quindi anche, forse soprattutto, degli otto Senatori che, coerentemente con le loro posizioni vissute in questi anni, hanno portato avanti la loro opposizione al proseguimento della spedizione militare in Afghanistan. "Male invece il resto. A 5 anni dall'attacco armato statunitense in Afghanistan, quanto avviene in quel paese è ben diverso da quanto ci viene presentato abitualmente: non solo non è in corso nessuna "pacificazione" o "stabilizzazione", ma la guerra e la violenza sono aumentate in maniera; la situazione economica e sociale non ha visto grandi miglioramenti, anzi pare di assistere ad un processo di concentrazione dell'economia nelle mani delle multinazionali straniere e dei signori della guerra. In questo quadro l'amministrazione statunitense ha deciso un'escalation delle azioni di guerra ed una sostituzione delle sue truppe con contingenti dei paesi Nato" - nota il Coordinamento.
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È quindi tenendo conto di questa cornice che deve essere collocata la scelta di un ritiro dei soldati italiani dall'Iraq e dall'Afghanistan: non è possibile pensare ad alcun ruolo positivo delle forze armate italiane, perché queste agiscono in sintonia con le strategie statunitensi e Nato, e ancora una volta la "copertura" dell'Onu (?) rappresenta solamente la foglia di fico dietro la quale nascondere i reali interessi strategici e le reali intenzioni statunitensi. Per questo il decreto che andrà in discussione in Parlamento, pur avendo contrastato le richieste della Nato (e non per questo si sono scatenate sull'Italia le dieci piaghe d'Egitto) lascia la situazione sul campo immutata, con truppe italiane impegnate in una guerra "per la risoluzione di controversie internazionali", cosa questa vietata dal buon senso e dalla Costituzione.

Chiediamo al nuovo Governo e al nuovo Parlamento di dare un segnale forte di inversione culturale rispetto alla militarizzazione della società e della politica: si smetta di coprire il ruolo delle forze armate impegnati in operazioni di guerra e in occupazioni con la maschera degli interventi umanitari e di peace-keeping. E' urgente che l'Italia separi le proprie responsabilità dall'occupazione illegale dell'Iraq e dalla guerra permanente e si impegni con una forte iniziativa diplomatica per ristabilire sovranità, pace e convivenza nell'area. E' urgente che l'Italia si pronunci contro qualsiasi intervento militare contro l'Iran, si impegni per un piano generale di disarmo nucleare, per la fine dell'occupazione in Palestina e una pace giusta in Medio Oriente. Chiediamo che non siano rifinanziate le missioni in Iraq e in Afghanistan, che si ritirino immediatamente i soldati italiani e vengano ridiscusse tutte le missioni militari italiane all'estero.

A noi resta l'impegno, urgente fin da subito, di mettere in campo iniziative affinché anche per l'Afghanistan sia introdotta un piano d'uscita dell'Italia dalla guerra. Ma presto dovremo incominciare anche a ragionare sulla funzione delle truppe italiane e europee dislocate nei Balcani e in particolare in Kossovo. Dovremo inoltre anche saper imporre all'attenzione del Governo il problema delle spese militari, del commercio delle armi, del ruolo di uno strumento, delle forze armate, che da strumento di difesa della nazione è diventato strumento di politica estera e di difesa di alcuni interessi economici. La politica prenda il posto delle armi. L'Italia costruisca la pace con la pace.

Coordinamento di Cinisello Balsamo per la pace

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