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Un nero, un operaio ed una donna
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“Dopo un nero, presidente degli Stati uniti, dopo un tornitore meccanico, presidente del Brasile, una donna presidente di questo nostro paese, il Brasile!”. A questa dichiarazione pronunciata prima delle elezioni Lula ne fa seguire un’altra non meno impegnativa, importante e coerente con il personaggio: “Che non si sarebbe proposto di modificare la Costituzione che gli avrebbe permesso la candidatura per un terzo mandato”. E ciò distinguendosi decisamente da altri presidenti latino americani che guardano al modello cubano della presidenza vitalizia, particolarmente il presidente del Venezuela Chavez, rieletto il mese scorso ma senza la maggioranza schiacciante di quattro anni fa.
L’esito elettorale delle presidenziali brasiliane di domenica 3 ottobre (si votava oltre che per il presidente, anche per i 26 governatori degli stati, il rinnovo della Camera dei 513 deputati e due terzi degli 81 senatori), con il sorprendente raddoppio dei voti rispetto ai sondaggi (era data intorno al 10%) da parte di Marina Silva, l’altra donna candidata del Partito Verde, obbligherà Dilma Rousseff, la candidata del Partito dei Lavoratori, al ballottaggio del secondo turno di fine ottobre con il 47% dei voti, a cui non è stato sufficiente il forte sostegno di Lula. Avversario ancora Serra, l’italo-brasiliano leader del PSDB, al secondo posto con circa il 35-37% dei voti.
Partito socialdemocratico solo di nome il PSDB, in realtà, rappresentante di un centro-destra che da sempre ha goduto di enorme potere e illimitati privilegi, accentuando l’esclusioni dei poveri da ogni diritto di cittadinanza, che fanno del Brasile il terzo paese al mondo per diseguaglianze economico-sociali. Diseguaglianze tutt’ora presenti, nonostante otto anni di rilevanti successi della lotta alla povertà del governo Lula.
Programmi impegnativi e tuttavia realizzati: “L’inclusione sociale”di milioni di afro brasiliani, soprattutto, attraverso il programma “fame zero” e la “bolsa famiglia”, il minimo di denaro tale da garantire almeno tre pasti al giorno condizionato all’obbligo delle famiglie di togliere i bambini dalla strada, quindi la loro scolarizzazione e sottrazione concreta di milioni di giovani alla disperata scelta di offrirsi come manovalanza al narco-traffico e alla criminalità organizzata. Il riconoscimento da parte dell’importante rivista “Time” dell’aprile scorso, indicava Lula come “una delle persone più influenti del Mondo”; con Obama, il primo ministro giapponese, Yukio Atoyama e il direttore del Fondo Monetario, Strauss-Kahn, tra gli altri. Certo, anche per meriti per il lavoro di mediatore internazionale in vari conflitti, ma questo riconoscimento proveniva da questi otto anni di coraggiose e rilevanti realizzazioni interne al paese.
Marina Silva è però la sorpresa di queste elezioni. Data al 9-10% dei voti, sfiora il 20% impedendo l’elezione di Dilma al primo turno. Fino a poco tempo fa ministra dell’ambiente del governo Lula e militante del PT, allieva di Chico Mendes, assassinato anni fa da killer per conto dei latifondisti per aver ostacolato l’abbattimento di alberi con il patto dei “Popoli della Foresta”, l’alleanza fra indigeni e sindacato dei “seringheiros”, i lavoratori che estraggono caucciù dagli alberi della gomma. Marina aveva abbandonato governo e PT per dissensi con Lula sull’azione del governo per la protezione dell’ambiente.
In effetti qualche fondato elemento di conflitto esisteva ed esiste. Far emergere un paese come il Brasile dalla secolare diseguaglianza e sottosviluppo, sfruttandone le risorse minerarie ed agricole, espandendo l’area dell’allevamento bovino, potenziando l’industria e l’esportazione con i programmi della PAC, il Programma di Accrescimento, qualche problema di compatibilità con la difesa dell’ambiente l’aveva sollevato. Anche per questa ragione i sondaggi che attribuivano a Lula oltre l’80% di gradimento degli elettori, era accompagnato da critiche degli ambientalisti, fatte proprie da Marina, andandosene dal governo e aderendo al Partito Verde.
La possibilità che questo straordinario consenso al presidente Lula potesse essere trasferito su Dilma Rousseff non era quindi del tutto infondato. Ma il trasferimento elettorale del consenso personale del presidente uscente al successore, si è invece dimostrato difficile. Come del resto si era dimostrato tale nella recente esperienza cilena alle presidenziali della primavera scorsa; l’alto consenso alla “Coalizione” della presidente Bachelet, che governava da vent’anni il Cile del dopo Pinochet, non è stato sufficiente per il successore indicato, Frey, sconfitto dal conservatore Pignera.
Omero Ciai , inviato di “Repubblica” , nella sua corrispondenza da San Paolo di martedì 5 ottobre, titolava il suo articolo: “Gli evangelici fermano Dilma. L’ex guerrigliera punita per il suo sì all’aborto. La candidata di Lula costretta al ballottaggio”. Credo ci siano altri fattori, forse più decisivi, ad aver impedito la elezione di Dilma al primo turno. Intanto perché donna. La sfida era temeraria, giusta, ma non facile. Il Brasile è un paese non meno machista dell’Italia, e anche il paese che indica oltre l’80% di gradimento a Lula, al PT questo prestigio non si è trasformato in maggioranza parlamentare. Il PT non ha mai avuto oltre un 20-25% di seggi alla Camera e al Senato. E domenica 3 ottobre i deputati petisti, seppure passati da 83 a 88, confrontati ai 513 deputati della Camera rimangono sempre pochi e neanche minimamente rapportati all’elevato consenso personale a Lula!
Già alla prima elezione, del 2002, oltre un anno dopo, al novembre 2003, la coalizione di governo del PT con Psb, il partito socialista brasiliano e il PCdB, un piccolo partito della sinistra, era ancora in minoranza, non raggiungendo che il 48% dei seggi nei due rami del Parlamento. Lula dovette attendere l’accordo con il PMDB – partito di centro e a maggioranza relativa – per poter avviare l’azione di governo, accordo che l’obbligò anche a concedere alcuni ministeri per poter aver i voti sufficienti per portare avanti il suo programma. Ma non tutto il programma. La riforma agraria, per esempio, non ebbe strada libera e questo deluse l’attesa dei senza terra e senza speranza, spingendoli a riprendere frequenti e massicce occupazioni delle terre (quali similitudini del sud italiano del dopoguerra!)
Dilma Rousseff, ministro della “Casa Civile”, paga anche un altro limite: quello di un ruolo ministeriale complesso e difficile, poco appariscente. Un ruolo inedito e sconosciuto in altre realtà governative. Paragonabile alla funzione di coordinatore del governo, di un primo ministro in uno stato che, va ricordato, è di natura federale. Aveva sostituito il ministro Dirceu nella carica dopo gli scandali dei voti comprati. Dirceu pagava “lo strabismo elettorale” dei brasiliani (un presidente eletto, ma senza maggioranza parlamentare per operare), in una temeraria e discutibile operazione finalizzata (polemiche sempre vive se Lula sapeva oppure no) per evitare di dover presentare dopo 4 anni di governo, un consuntivo amministrativo nullo o quasi, a causa dell’impossibilità di attuare le riforme promesse senza maggioranza nel Parlamento.
Beninteso, la mancata elezione di Dilma al primo turno non cancella le realizzazioni che continueranno. Il Brasile è ormai uno dei maggiori paesi emergenti ed entrato a far parte del gruppo dei paesi del “BRIC” (Brasile, Russia, India Cina). Questo, per il maggiore paese dell’area latino americana e caraibica, è un riconoscimento incontrovertibile del ruolo giocato da Lula. Personalmente non avrei scommesso che Lula potesse affermarsi anche come personalità politica internazionale. E’ pur vero che il Brasile con il 50% del territorio è il maggiore del continente sud; produce il 50% del Pil ed ha il 50% della popolazione, con una rilevante capacità industriale grazie ad una importante presenza di imprese multinazionali, installatesi all’indomani del colpo di stato militare del 1964, specie nell’area paulista, ma ciò preesisteva alla elezione di Lula. Il fatto è che Lula ha saputo, primo presidente brasiliano, rivolgere l’attenzione ai poveri, a rappresentarli, a porre le immense risorse del paese al servizio di un obiettivo ambizioso quanto temerario: includere milioni di afro-brasiliani ai diritti di cittadinanza; poveri, disoccupati, favelados, prima esclusi da ogni minimo diritto!
Dopo la visita in Iran con il primo ministro turco Erdogan per dissuadere Ahmanedijad dalla tentazione di produrre armi atomiche, usando acquisizioni di tecnologie nucleare per usi pacifici, anche in Israele gli è stato riconosciuto il titolo di “profeta del dialogo”. Il ruolo di Lula è stato ovunque rilevante: con Obama sui temi dell’America latina, per esempio. Riconosciuto mediatore anche in quel contesto dove le anacronistiche proposte di Chavez sembrano raccogliere consensi nel proporre un movimento di pseudo socialismo bolivariano, fomentando conflitti di frontiere con la Colombia, a causa di sconfinamenti militari di questo paese nel perseguire le Farc, le formazioni guerrigliere della sinistra marxista che Chavez è accusato di favorire.
Ma ciò che infatti spiazza maggiormente Chavez, Correa dell’Equador e Ortega del Nicaragua, nel loro intento di cambiare la costituzione per essere rieletta all’infinito, è il fatto che Lula abbia respinto quella tentazione della presidenza vitalizia, eredità di un passato di governi inamovibili, quasi dittatoriali anche se eletti, che – scomparsa in quasi in tutto il continente – è ancora presente a Cuba e in qualche paese asiatico come la Corea del Nord.
E’ importante che Lula alla fine del suo mandato presidenziale abbia rotto gli stereotipi che da sempre caratterizzano le realtà latino americane: lo sviluppo di una sana e democratica alternanza al potere è tutt’uno con quel sindacalismo nel quale è cresciuto e maturato. Decisivo il ruolo di Lula anche nel rilanciare l’integrazione economica e politica dei paesi del Mercosur, associazione economico-commerciale di alcuni paesi latino americani, sul modello dell’originario Mercato Comune Europeo.
Infine, di fronte alla crisi economico-finanziaria, una delle grandi iniziative, La Bolsa Famiglia, l’assegno attribuito a milioni di famiglie introdotto da subito nel suo programma di governo (per indicare una sola delle straordinarie iniziative del presidente), ha permesso di dare un minimo di alimento quotidiano ai più poveri. La maggiore domanda indotta dalla “Bolsa famiglia” ha infatti creato milioni di nuovi posti di lavoro. Nell’anno più critico e peggiore della crisi mondiale, il 2009, agendo in controtendenza e investendo ingenti risorse, è riuscito a creare 1,9 milioni di nuovi posti di lavoro, seppure con un Pil dimezzato rispetto agli anni precedenti, da anni consolidato intorno al 5/6 %. E ciò mentre la crisi mondiale lo vedeva regredire in paesi più sviluppati in Europa e negli Stati Uniti.
Alberto Tridente
* Alberto Tridente è stato sindacalista, responsabile internazionale della FIM-CISL e parlamentare europeo