Un digiuno per “restare umani”

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Ritorniamo sull’azione nonviolenta di don Albino Bizzotto, che, dal 13 maggio, ha cominciato un digiuno a sola acqua, accompagnando questo suo gesto con uno slogan che, come egli stesso sottolinea, vuole essere insieme proposito e cammino: “Restiamo umani. Diventiamo terrestri”.

Don Bizzotto, settantacinque anni compiuti, è famoso per le sue iniziative di solidarietà e promozione umana soprattutto nei confronti delle fasce più emarginate della società, e di nonviolenza attiva nei Paesi in conflitto (si ricordi la marcia pacifica del 1992, nella Sarajevo assediata, o nella Repubblica Democratica del Congo nel 2001). Non a caso nello slogan che ha scelto compaiono due dei punti cardini del suo impegno di una vita: il rispetto e la fratellanza nei confronti di tutti (e il “Restiamo umani” volutamente rimanda al cooperante Vittorio Arrigoni che, con i “Beati i costruttori di pace”, è stato volontario nella missione di osservatori elettorali civili per le prime libere elezioni nazionali in Congo nel 2006), il richiamo alla tutela e alla salvaguardia del pianeta e delle sue risorse, in quanto bene comune sfruttato e violato.

Il digiuno è nato in un momento di roventi polemiche tra i cittadini di una città, Padova, sempre più divisa tra chi appoggia gli interventi riguardo l'immigrazione del sindaco leghista Massimo Bitonci, e quel substrato trasversale di singoli e associazioni pronto all'accoglienza, che nei decenni passati ha fatto della città avanguardia nazionale del terzo settore e del volontariato. Don Bizzotto spiega di mettere in gioco la propria persona in senso vitale, come scelta nonviolenta contro decisioni che alimentano incomprensioni e malesseri sempre più forti in seno alla comunità.

Così annuncia i motivi della sua decisione: «Ognuno di noi ha sperimentato momenti di verità sulla propria vita. Ognuno si conosce come soggetto originale e irrepetibile, ma sa anche quanto la sua vita si spiega e dipenda dalle relazioni con gli altri. A ognuno di noi potrebbe essere toccata la sorte di qualsiasi altra persona vivente oggi nel mondo. Conosciamo la gioia, ma anche la fatica e la fragilità del vivere e del convivere.

A volte dobbiamo affrontare situazioni gravi non previste e non desiderate, che mettono a repentaglio la stessa umanità, che ci appartiene. La crisi globale in cui ci troviamo non ci permette di usufruire più dello standard di vita e di relazioni cui eravamo abituati. Come singoli e come comunità non vorremmo mai finire nella situazione di quanti sono già nella disperazione e sono troppi.

Ho pensato molto in questi giorni a quest’iniziativa di digiuno a sola acqua, salvo altra prescrizione medica, a tempo indeterminato salva la vita. Ho ben presenti i miei limiti di età e di tenuta degli equilibri fisici e psichici; so di espormi a tutte le opinioni e interpretazioni anche negative del gesto, ma mi sono deciso egualmente a iniziarlo perché vorrei condividere questo momento-verità rispetto a due necessità che ci riguardano direttamente tutti.

La prima: per affrontare tutte le situazioni, anche le peggiori, quelle devastanti e impossibili, non abbiamo altro a disposizione che la nostra umanità. Siamo capaci di tante cose per i nostri interessi, anche di eliminare in vari modi gli altri, ma se rinunciamo al nostro essere umani perdiamo tutti, noi per primi. Nessuno di noi rappresenta solo la città dell’accoglienza; tutti, quando vengono toccati i nostri spazi, abbiamo anche resistenze e disponibilità diversificate. Per questo non è uno slogan, ma un impegno e un percorso: “Restiamo umani”.

La seconda è questa. Oggi tutti, buoni e cattivi, miserabili e benestanti, siamo di fronte a un’urgenza, i cui tempi non sono in mano nostra e che si presenta con una gravità da metastasi: è l’emergenza Terra; a rischio reale, anche se nessuno ci pensa, è la vita di tutti. La terra è primaria, noi derivati; quindi prima di tutto la terra e le sue esigenze, poi noi.

Subito, da mezzo la terra deve diventare fine dell’attività umana di produzione e di trasformazione. Dobbiamo ripensarci anche come specie e operare immediatamente per attuare una politica di scelte radicali rispetto all’ambiente e al territorio. Riparare i danni delle devastazioni compiute e ancora in atto, ridare respiro alla terra: chiudere con cemento e asfalto, grandi opere e consumo di suolo; rientrare con una agricoltura altra. Altro che crescita economica e liste mobili della politica! Noi siamo terra. Diventiamo terrestri.

Il digiuno si pone, allora, come sentire e vivere sulla propria pelle le condizioni di quanti nel quotidiano non possono soddisfare nemmeno i bisogni elementari per la sopravvivenza: una solidarietà spicciola ma impegnativa. Inoltre, da una posizione di estrema debolezza, il digiuno diventa la più forte implorazione rivolta a ogni persona, comunità, associazione, organizzazione, perché ciascuno condivida e risponda in proprio, con la sua libertà e con le sue decisioni, a queste due grandi necessità. Come dire: senza di voi non sono capace di fare niente. Più che manifestare per l’altra città, vorrei con tutti manifestare, operare e camminare per una città altra.

Non chiedo solidarietà personali, ma semplicemente trovarmi in cammino con quanti più possibile, sempre riconoscente per l’umanità che ciascuno mette a disposizione ogni giorno.

Per questo: “Restiamo umani”, “Diventiamo terrestri”».

In questi giorni di digiuno numerose sono le attestazioni di vicinanza e solidarietà che il prete padovano ha ricevuto, da singoli concittadini al mondo dell'associazionismo e dei sindacati, da religiosi a qualche personalità politica. A Vicenza, per esempio, è cominciato un digiuno a staffetta da parte del “Coordinamento dei cristiani per la pace”: l’azione nonviolenta si diffonde.

Cinzia Agostini 

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