www.unimondo.org/Notizie/Un-SI-alla-democrazia-264487
Un SÌ alla democrazia
Notizie
Stampa

Immagine: Referendumcittadinanza.it
Quando si è genitori ci si rende conto della propria ignoranza: non si conoscono le risposte alle tante domande dei bambini.
“Perché l’acqua è trasparente?”
“Quanto è grande il canguro quando nasce?”
“Quanto ci vuole ad andare sulla luna?”
“Come fanno a mettere le bolle nelle bibite frizzanti?”
“I serpenti fanno la pipì?”
E non solo unicamente curiosità sui fenomeni naturali e sugli animali a cui le conoscenze scientifiche scolastiche e le lauree a Trivial Pursuit non sembrano aver fornito solide risposte. Perché i bambini chiedono anche:
“A che serve fare le guerre?”
“Tutte le religioni hanno un Dio. È lo stesso?”
“Perché i grandi passano la giornata a lavorare?”
E anche:
“Perché Jasmine ha la pelle marrone se è nata qui in Italia?”
“Cos’è la cittadinanza che chiedono sempre a Jasmine?”
“Perché Jasmine deve portare un documento per la gita e a me non lo hanno chiesto?”
Perché Jasmine è la campagna di banco di una qualsiasi altra bambina italiana che con lei gioca a ricreazione, mangia a mensa, ripassa le tabelline e si scambia i colori a pastello. E già una bambina alla scuola primaria domanda quindi “Perché Jasmine non ha la ‘cittadinanza’ italiana se è venuta qui da piccola piccola, parla italiano, viene a scuola qui in Italia, e fa tutto quello che faccio io?”
Anche per questa domanda non ho una risposta fondata da dare a mia figlia.
Ma una parziale risposta può essere fornita dall’abrogazione dell’articolo 9 della legge 91/1992 con cui si è innalzato da 5 a 10 anni il periodo di soggiorno legale continuativo richiesto in Italia per i maggiorenni che vogliono fare domanda di cittadinanza. Questa modifica è entrata in vigore con la legge 94/2009 (il cosiddetto "pacchetto sicurezza"), approvata durante il IV governo Berlusconi. Nell’appuntamento referendario dell’8 e del 9 giugno prossimo il quinto quesito propone questo referendum sulla cittadinanza; il referendum non modifica gli altri requisiti necessari per ottenerla, come la conoscenza della lingua italiana, un reddito adeguato negli ultimi anni, l’assenza di precedenti penali, il rispetto degli obblighi fiscali e l’assenza di motivi ostativi legati alla sicurezza della Repubblica. Ma solo gli anni di residenza continuativa in Italia. La normativa potenzialmente riguarda 2,5 milioni di cittadini di origine straniera che in Italia sono nati, crescono, studiano e lavorano e che non hanno la cittadinanza italiana; una sua modifica avrebbe impatto non solo sulle statistiche a livello demografico (con un aumento dei cittadini italiani e un abbassamento dell’età media!) ma anche sul possibile attivismo politico di queste stesse persone, che vivono in una condizione di serie B rispetto alla restante popolazione. Il tema tocca, quindi, direttamente la qualità della democrazia, l’inclusione sociale e la certezza giuridica per migliaia di persone che vivono, lavorano e contribuiscono al benessere collettivo in Italia. I contrari alla riforma esprimono, invece, preoccupazione per quello che definiscono il rischio di una “cittadinanza facile”, concessa a chi non avrebbe ancora dimostrato un’integrazione sufficiente. Una preoccupazione che sui social media e sulle arene politiche televisive si tramuta ben presto in interventi intrisi di discriminazione, razzismo e pregiudizio.
Gli appelli per il SÌ si moltiplicano: da Acli ad Actionaid e CGIL, da Amnesty a Caritas e a Oxfam, supportati dai partiti Più Europa, Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Rifondazione Comunista, Partito Democratico, Europa Verde-Verdi e Sinistra italiana. Tuttavia la polarizzazione del Paese su un tema così politicizzato ha creato la consueta sovrapposizione tra chi parteciperà al voto e voterà Sì e, dall’altra parte, chi diserterà le urne esprimendo in questo modo il suo NO. La presenza del quorum per dare validità legale al referendum fornisce però un’arma più forte proprio al fronte del NO, anziché una battaglia di numeri in merito al quesito che si andrà a conteggiare alle urne.
I promotori dei referendum denunciano peraltro l’assente o (in queste ultime settimane) lo scarso spazio dato alla comunicazione su Tv e giornali sui referendum; una mancata azione che va a favorire la non partecipazione al voto, non solo per scelta ma proprio per mancata conoscenza dell’appuntamento popolare. Un’avversione ai quesiti referendari con tanto di invito a disertare le urne è, infatti, venuto anche da alte cariche del governo dimenticando forse gli sforzi che si dovrebbero fare per rinvigorire la pratica democratica del voto sempre più in declino tra la popolazione. Lo stesso qualcuno che si dice preoccupato per la scarsa affluenza al voto, non invita al voto dell’8 e 9 giugno perché “Per i referendum è un altro discorso”.
Quale?
Quello che mira ad ampliare la cittadinanza (quesito 5, come già detto) e un pacchetto referendario che punta a modificare profondamente l’attuale normativa sul lavoro con quattro quesiti che vanno a cancellare o a ridimensionare parti centrali delle leggi che regolano i contratti (precari), i licenziamenti e la responsabilità negli appalti muovendosi nella direzione di rafforzare le tutele per i lavoratori.
La democrazia dà appuntamento a tutti i cittadini ai seggi elettorali domenica 8 e lunedì 9 giugno. Chi diserterà le urne per esprimere il proprio NO darà prova, come in precedenti appuntamenti referendari, dello stato critico in cui versa la democrazia in Italia.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.