Uganda: tregua fra Governo e Lra, mediazione di Sant'Egidio

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Dopo quasi 20 anni dall'inizio del terribile conflitto in Nord Uganda, con oltre 100mila vittime quasi tutte civili e che ha costretto oltre 1,5 milioni di persone nei campi profughi del Nord Uganda, sabato scorso è stato firmato a Juba, capitale del Sud Sudan, un accordo per la cessazione delle ostilità tra il Governo Ugandese e la Lord Resistance Army. "Si tratta di un passo in avanti significativo verso un accordo di pace finale, ottenuto grazie al lavoro che da oltre due mesi vede impegnata nei Juba Talk Peace, la Comunità di Sant'Egidio e il GoSS (governo del Sud Sudan)" - annuncia la Comunità di Sant'Egidio. L'accordo prevede tra l'altro il raggruppamento in due aree delle forze delle LRA/M, il monitoraggio del raggruppamento da parte dell'esercito Sud Sudanese ed una commissione mista di verifica della cessazione delle ostilità che riferirà alla Mediazione aiuti umanitari per la popolazione civile coinvolta. Per la comunità di Sant'Egidio - che ha partecipato alla mediazione coordinata dal vicepresidente sud-sudnaese Riek Machar, insieme a Pax Christi International - il protocollo firmato oggi è "una formulazione soddisfacente".

Entro giovedì, le parti torneranno a riunirsi per mettere a punto tutti i dettagli operativi del processo di pace ed entro tre settimane tutti i ribelli dello Lra dovrebbero aver raggiunto le aree prestabilite. "Sono giorni importanti, forse decisivi, ma i mandati di cattura emessi tempo fa dal magistrato Onu dell'Aja (e diramati nel mondo dall'Interpol) contro il numero uno Joseph Kony e i suoi quattro luogotenenti - uno dei quali ucciso qualche settimana fa in uno scontro con l'esercito ugandese - pur essendo stati richiesti a suo tempo da Kàmpala, sembrano ora costituire un ostacolo sulla strada di una vera e definitiva pace" - commenta il direttore della Misna, Mariano Benni. Per avviare le trattative con i ribelli, che non godono più da tempo dell'appoggio del Sud Sudan - divenuto anzi mediatore ufficiale per la tregua - il governo ugandese ha promesso che i "ricercati internazionali", una volta arresi, non verranno assolutamente consegnati né alla polizia né alla magistratura internazionali e alcuni potrebbero godere di provvedimenti d'amnistia.

Ora però, secondo il quotidiano inglese "The Guardian", che dedica un servizio dal campo profughi di Palabek Kal (Kitgum), è proprio l'Inghilterra a insistere affinché i mandati di cattura non vengano revocati. "Per noi è assolutamente chiaro che i mandati devono essere eseguiti e i paesi che detengono gli indiziati devono consegnarli alla magistratura dell'Aja" - ha detto ieri un portavoce del Foreign Office al "Guardian". Ma Zachary Lomo, già responsabile del "Refugee Law Project della Makerere University di Kampala, ha definito "di nessun aiuto" la posizione inglese aggiungendo che "questi mandati interferiscono con le possibilità di pace. Questa è una scelta tra permettere che più di un milione di persone torni a casa e mantenere lo status quo nella speranza di mettere poi in scena un processo essenzialmente simbolico". Norbert Mao, ex-parlamentare ugandese e oggi presidente del consiglio distrettuale di Gulu, una delle zone più colpite, chiede a Londra di incoraggiare il ritiro dei mandati e di lasciar perdere la sua proposta di risoluzione al Consiglio di Sicurezza affinché le forze dell'Onu perseguano comunque i ribelli. " Per noi sono di gran lunga più importanti la pace e la sicurezza che qualsiasi genere di giustizia ostile".

"In passato, più volte erano state intavolate trattative ed erano stati compiuti tentativi più o meno lucidi di avviare colloqui tra ribelli e governo. In particolare nel 1994 e nel 2004 sembrava si fosse giunti già molto vicini alla possibilità di incontri di pace. Poi tutto era andato a monte. Questa volta, l'impegno per una futura pace, è andato più avanti" - sottolinea il direttore della Misna. "Un fatto è certo: non si era mai giunti a un documento scritto che in non più di 1006 parole - incluse l'intestazione e la data - prevede, come ricorda anche il comunicato della Comunità di Sant'Egidio, oltre al raggruppamento dei ribelli nelle aree indicate, "il monitoraggio del raggruppamento da parte dell'esercito Sud Sudanese, una commissione mista di verifica della cessazione delle ostilità che riferirà alla Mediazione e aiuti umanitari per la popolazione civile coinvolta". L'obiettivo del tavolo di Juba è comunque di arrivare ad un accordo entro la metà di settembre: sempre che nessuna delle parti decida di scombinare nuovamente i giochi di pace. [GB]

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