www.unimondo.org/Notizie/Ucraini-e-russi-emigrazioni-parallele-che-si-incontrano-225884
Ucraini e russi: emigrazioni parallele che si incontrano
Notizie
Stampa

"Basta guerra" . Foto: Unsplash.com
Mentre Stati Uniti e Gran Bretagna impongono l’embargo al petrolio russo, continuano i combattimenti in Ucraina e la crisi umanitaria peggiora di ora in ora. Ormai è già davanti agli occhi di tutti e non solo perché la carovana è arrivata pure in Italia. Si tratta della crisi di profughi più grande e veloce in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale: dallo scorso 24 febbraio, cioè da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, più di 2 milioni di persone hanno già abbandonato le proprie case in cerca di rifugio in altri paesi. Sono fuggiti di fretta, tra spari e bombardamenti, col minimo necessario. Tutta una vita schiacciata in una valigia - per stare leggeri -, comunque troppo stretta per contenerla. Mentre le proprie abitazioni, strade, parchi, scuole, vengono rase al suolo senza sosta da un aggressore scellerato con manie imperialiste, anche quando si dichiara il cessate il fuoco. La stragrande maggioranza sono donne e bambini, che spesso, con inaudito coraggio, hanno dovuto separarsi da mariti, papà, fratelli, rimasti per quanto possibile a difendere le proprie terre, senza sapere se e quando torneranno ad abbracciarsi.
Purtroppo non è il resoconto di un paese confinante con la Germania nazista del 1939. È l’Europa, oggi.
Le proporzioni migratorie sono enormi, ed il flusso di persone non è destinato a placarsi. L’Ucraina è un paese di quasi 45 milioni di abitanti. Anche togliendo gli uomini che sono rimasti a lottare e l’esigua parte di russofoni dell’est,nelle prossime settimane potrebbero lasciare i confini ucraini oltre dieci milioni di persone, un numero che L’Europa non è preparata ad accogliere. Ciò nonostante, in tempi brevissimi, si è messo in piedi un sistema di accoglienza provvisorio e di aiuti concreti lodevole, tra governi, associazioni, comuni, privati, uniti un comun denominatore: soccorrere chi ne ha più bisogno. In primis, va detto, da parte di paesi come la Polonia, l’Ungheria e la Romania, fino a poco fa tristemente famosi per politiche anti-immigrazione.
Con la crisi Ucraina si sta cercando di dare una svolta alla gestione fallimentare condotta nel 2015 con l’arrivo di circa un milione di siriani nell’arco di un anno a causa del conflitto tuttora in corso. Come, spiegano Mariapia Mendola e Irene Solmone sul sito de Lavoce.info, nonostante nel 2015 l’UE fosse stata presa “alla sprovvista” dall’arrivo dei rifugiati, con la crisi afghana di pochi mesi fa ed il ritorno dei talebani al potere, l’Europa non è riuscita a evitare che si ripetesse lo stesso scenario deplorevole. Questa volta, considerata la mole, l’Europa sembra aver cambiato marcia e si è dimostrata più compatta nell’accogliere i profughi, oltreché coerente nelle sanzioni contro l’invasore. Di più nell’immediato, onestamente, non si poteva chiedere.
Comunque, rimane il dubbio se l’Europa abbia o meno intenzione di gestire sapientemente nel lungo termine questo esodo forzato di massa. Perché in quel caso - e non credo abbia molta scelta -, dovrà necessariamente investire di più nell’accoglienza e nelle politiche di asilo comuni, che vadano oltre le misure già varate di ottenimento facilitato di titolo di soggiorno, e di una tutela sanitaria. Insomma che comprendano un’effettiva integrazione, mediante l’accesso a un alloggio, all'assistenza sociale, all'istruzione e al mercato del lavoro. L’Italia dovrà approvare una norma ad hoc, che innanzitutto velocizzi la concessione di permessi di soggiorno, vista la deleteria macchinosità della nostra burocrazia.
C’è poi un’altra emigrazione, di cui si parla meno, perché più silenziosa, sommessa, e meno veemente, ma che inevitabilmente crescerà, perché frutto degli effetti di breve e medio termine devastanti che tipicamente scatenano la guerra e le sanzioni imposte dall’Occidente: parlo dei cittadini russi, contrari alla guerra ed alle sue conseguenze, che in previsione di tempi economici e sociali molto duri, o per evitare repressioni da parte del governo e delle forze dell’ordine, cercano un futuro migliore altrove. Sono sfiduciati dalla guerra, timorosi, giustamente, della pressione generata dall’economia di guerra e dalle sanzioni che stanno mandando il paese al collasso (non che godesse di buona salute prima), e preoccupati per l’isolamento critico del paese. Alcuni temono che una nuova "cortina di ferro" possa richiudersi mentre il presidente russo fa sprofondare il suo paese verso l’annientamento culturale ed economico. L’applicazione delle leggi marziali potrebbe, in un gesto estremo, addirittura voler dire la chiusura dei confini.
Tuttavia, con lo sbarramento quasi completo dello spazio aereo Europeo alle aerolinee russe, uscire dalla Russia non è affare semplice, specialmente per coloro che cercano di viaggiare verso Occidente, spesso forza lavoro giovane e qualificata. Senza contare gli interminabili interrogatori a cui queste persone sono sottoposte ai controlli migratori russi. Coloro che vogliono partire verso l’Europa, lo devono fare per via terrestre, attraversando il confine con la Finlandia o con gli stati Baltici (Lettonia, Estonia e Lituania). I biglietti del treno da San Pietroburgo a Helsinki sono già al completo per tutta la settimana.
Chi, come la maggioranza, non ha un visto europeo cerca di dirigersi in Georgia, Armenia e Turchia, dove pian piano sta crescendo una “cittadinanza” di dissidenti russi. I voli per Yerevan, Istanbul e anche Belgrado sono esauriti per i prossimi giorni, mentre un biglietto di sola andata per Dubai era arrivato a un prezzo di oltre 4 mila dollari. Di fatto in entrata e in uscita dalla Russia, rimangono solo una manciata di corridoi disponibili.
Ma la gente ha paura. Al 9 di Marzo, già più di 13.500 manifestanti sono stati arrestati (dati del gruppo indipendente per i diritti umani OVD-Info). Da più di una settimana, in Russia chi non riporta notizie allineate alla propaganda putiniana è accusato di "disinformazione" e rischia fino a 15 anni di carcere. Chi poi viene accusato di “screditamento” delle forze armate, o di “invito al disarmo” viene sottoposto a multe salatissime e fino a 3 anni di reclusione per i trasgressori persistenti. La miglior resistenza è quindi quella di uscire dalle frontiere e dalle grinfie del regime e denunciare cosa vi succede da un paese sicuro, all’estero, perché al momento pare impossibile combatterlo dall’interno.
Ed è questa l’ennesima tragedia. La crisi migratorio-umanitaria degli ucraini è senza uguali e ad oggi incontrovertibile, ma se c’è un atto che può far sperare in un cambio di equilibri, quello sarebbe un moto interno, travolgente di dissidenza cosciente, che riuscisse a minare le atrocità pianificate dall’agenda di regime. Che lo destituisse. Ma ora che tanti dissidenti interni si sono dati e si daranno sempre più alla fuga, un’azione collettiva sarà ancora più complessa.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.