Ucciso Osama Bin Laden, ma il terrorismo non è finito

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“La fine di Osama Bin Laden non risolve assolutamente il problema terrorismo”. Lo afferma il coordinatore nazionale della Tavola della Pace, Flavio Lotti in un’intervista all'agenzia AdnKronos. Per Lotti “se vogliamo sconfiggere il terrorismo dobbiamo impegnarci a costruire la democrazia sostenendo le forze che nei paesi arabi stanno lottando per il cambiamento”. “Certamente la fine di Osama consente agli Stati Uniti di poter rivendicare un successo che per dieci anni non è stato in grado di rivendicare. Questo successo militare tardivo non risolve però il problema del terrorismo che Osama ha rappresentato”.

“Su questa uccisione c'è una enorme enfasi, per alcuni versi molto pericolosa. Diverso sarebbe stato se fosse stato catturato. Al Qaeda non è una vera e propria organizzazione strutturata: chiunque decida di fare un attentato lo può fare. Quello che ha creato Osama - aggiunge Lotti – è una ‘guerra povera’ che chiunque può fare propria e questo rende drammaticamente difficile chiudere la stagione del terrorismo che, come si è visto in Marocco, è in grado di mietere vittime ovunque. Bene ha fatto il presidente Obama - prosegue Lotti - a ricordare che la maggior parte delle vittime del terrorismo sono islamici”.

Secondo Lotti “per sconfiggere il terrorismo è necessario seguire una strada diversa da quella che ostinatamente Stati Uniti e mondo occidente hanno intrapreso dall'11 settembre. Mi domando - si chiede Lotti - quanti civili innocenti sono stati ammazzati per cercare di uccidere Osama. Abbiamo scatenato una guerra in Afghanistan che, tutti sanno, stiamo perdendo. Il che dimostra che non è quella la strada”. “Oggi - spiega il coordinatore della Tavola della Pace - la grande opportunità è data dal risveglio democratico dei paesi del mondo arabo. Dobbiamo cambiare il nostro modo di guardare al problema terrorismo perché la storia ci ha dimostrato che quel mondo arabo dipinto come istigatore di uno scontro di civiltà, e di cui Osama sarebbe il protagonista simbolico, in realtà è un mondo che si sta ribellando a tutti i dittatori e ai regimi repressivi, che hanno governato con l'appoggio dell'occidente in tutto il mondo arabo”. “Se vogliamo sconfiggere il terrorismo – conclude Lotti – dobbiamo impegnarci a costruire la democrazia sostenendo le forze che nei paesi arabi stanno lottando per cambiare”.

 

IL REPORTAGE DELLA CORRISPONDENTE DI UNIMONDO DA KABUL

A Kabul lo stato di allerta è massimo. Le misure di sicurezza, già portate ai massimi livelli in seguito all’annuncio, da parte del Consiglio direttivo dell'Emirato islamico dell'Afghanistan, dell’inizio della campagna di primavera contro gli americani, i loro alleati stranieri e i sostenitori interni, sarebbero state ulteriormente innalzate da parte della sicurezza locale in seguito alla diffusione della notizia della morte di Osama Bin Laden.

La percezione, all’interno della cosiddetta “green zone” quel quartiere fortificato in mezzo alla capitale afghana - un susseguirsi di posti di blocco dove, tra fili spinati e mura di cemento armato hanno sede le principali ambasciate e numerose organizzazioni internazionali e basi militari -, non è cambiata molto rispetto ai giorni passati. Elicotteri militari continuano a sorvolare la zona a bassissima quota ed è ormai il terzo giorno consecutivo di coprifuoco, con l’assoluto divieto per tutto il personale espatriato- imposto dalle rispettive organizzazioni e ambasciate- di lasciare i propri compound e le abitazioni.

Il timore delle autorità è che, in seguito all’uccisione del numero uno di Al Qaeda, i talebani locali possano vendicarsi sferrando un nuovo attacco contro la capitale e che in generale il rischio di attentati in tutto l’Afghanistan sia al momento particolarmente elevato. Ma a Kabul, così come in tutte le altre province, l’eventualità di un attacco è sempre all’ordine del giorno, e l’unica novità, forse, sta nelle reazioni dei massimi vertici afghani, ed in primis del presidente Karzai, alla notizia che ormai da ore occupa le prime pagine di tutti i media. “La morte di Osama in Pakistan”, così il presidente, “ha dimostrato la veridicità delle nostre affermazioni, secondo cui i centri del terrorismo sono fuori dall’Afghanistan e non nei villaggi afghani”. “Ora che è morto Osama Bin Laden gli americani possono ritirarsi dall'Iraq e dall'Afghanistan”, è invece la reazione dei Fratelli Musulmani sostenendo che “con l'uccisione di Bin Laden è venuta meno una delle cause principali dei conflitti nel mondo”.

Non sarà proprio la fine dei conflitti nel mondo, e difficilmente sarà la fine del terrorismo, ma quello che di certo viene a mancare, con l’uccisione della persona più ricercata del mondo, è il principale motivo che, quasi un decennio fa, portò all’invasione dell’Afghanistan da parte di Stati Uniti e alleati. Giusto in tempo per accompagnare l’effettivo inizio del ritiro delle truppe straniere, già previsto nei prossimi mesi in un’ottica di exit strategy che dovrebbe riportare a casa i militari e lasciare agli afghani la gestione della sicurezza in tutto il Paese entro il 2014. Le truppe straniere nel frattempo assicurano che tutto proseguirà secondo i piani e che il ritiro dal Paese asiatico avverrà gradualmente. “Gli alleati della Nato ed i loro partner continueranno la loro missione per assicurare che l'Afghanistan non diventi mai più un rifugio sicuro per l'estremismo e che si sviluppi in pace e sicurezza”, ha infatti dichiarato in giornata il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, “e continueremo a sostenere i valori di libertà, democrazia e umanità che Osama Bin Laden voleva sconfiggere”. E anche gli italiani non pensano a un ritiro, come dichiarato dal Ministro degli Affari Esteri Frattini precisando che ”in Afghanistan c'è una fase di transizione, si comincerà gradualmente da alcune regioni, compresa quella della città di Herat dove sono gli italiani, un graduale processo di restituzione agli afghani del controllo e della sicurezza del territorio”.

Michela Perathoner
(inviata di Unimondo a Kabul)

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