Tunisia, vincono i laici. Ma il futuro è ancora un’incognita

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La vittoria al ballottaggio delle presidenziali di Béji Caid Essebsi, leader del partito laico “Nida Tounes” e del fronte politico da esso coagulato, chiude la parentesi della provvisorietà istituzionale, inaugurata nel Gennaio del 2011 dalla “fuga ingloriosa” di Zinelabidine Ben Alì e terminata proprio col voto del 21 Dicembre scorso. La Tunisia si avvia così a quella fase di progressiva normalizzazione più volte auspicata -quando non apertamente invocata- dagli osservatori internazionali; e nondimeno dalla popolazione, fiaccata da quattro anni di intensa frizione politica, così come dalle incognite di un quadro regionale ricco di aspetti allarmanti: sia per le infiltrazioni, dall’Algeria e dalla Libia, di forze (e idee) radicali, che per la crisi economica, avvertita in particolar modo dall’ampia fascia giovanile, al prezzo di un malcontento che si traduce (spesso) in un volano per le istanze estremistiche. Benvenuti nell’era della stabilità, dunque. Una stabilità non priva di interrogativi.

I dubbi mancano. È stato detto. Il primo è relativo ad un mero fatto di natura: l’età del neopresidente, uomo di 88 anni. L’anagrafe, unita alle molte fatiche connesse alle attività d’Ufficio, fa presupporre un avvicendamento al vertice non troppo lontano nel tempo. Il che suscita qualche inquietudine, soprattutto a fronte di una più che prevedibile riorganizzazione delle forze filoislamiche, riunite intorno a Ennahda: il principale competitore elettorale di Nida Tounes alle recenti elezioni. Il timore che la presidenza di Essebsi possa rappresentare, al di là delle intenzioni, un mero interregno, funzionale al rilancio dei partiti confessionali, non è ipotesi così lontana dalla realtà. Di certo, è proprio ciò che auspicano in quei settori dell’arco parlamentare.

Il secondo interrogativo, più attuale del precedente, riguarda il cumulo di poteri di cui è protagonista Essebsi, nella doppia veste di presidente della Repubblica e guida del partito di maggioranza relativa. Pur non trattandosi di uno sviamento costituzionale, la contingenza preoccupa i commentatori più sensibili all’equilibrio fra poteri. Sarà dunque compito di Essebsi attenuare i timori, insediando un governo “dialogante”, che non sia semplice espressione degli umori e degli indirizzi del Palazzo di Carthage (sede della presidenza della Repubblica nda). Il terzo punto chiama in causa, invece, i costi politici dei diversi appoggi elettorali, ricevuti dal Presidente designato. Le percentuali della vittoria, non certo pantagrueliche –il 55,68% dei consensi, contro il 44,32% del presidente uscente Moncef Marzouki-, rendono ancor più decisivo l’apporto di figure minori, ma tutt’altro che irrilevanti, come il discusso affarista Slim Riahi, a capo di un partito ritenuto politicamente spregiudicato, divenuto via via una sorta di “ago della bilancia” dei giochi parlamentari. Infine, le maggiori incognite riguardano le scelte strategiche dello stesso Marzouki, che pur avendo riconosciuto, in una telefonata mossa da “cortesia istituzionale”, la vittoria dello sfidante, ha continuato a gonfiare il vento della protesta, soprattutto nel Sud: suo tradizionale feudo elettorale.

Il ruolo di Marzouki. La condotta del Capo dello Stato uscente può infatti dirsi ambigua. Se il suo nome era emerso, originariamente, in un’ottica di garanzia delle compagini laiche, in forza del suo passato di paladino dei diritti civili e politici, il flirt con le componenti filoislamiche, allora maggioritarie, non ha tardato a venire. Esse hanno trovato, in più di un’occasione, una sponda per certi versi inaspettata nell’esercizio della sua Magistratura. Qualcuno imputa il fatto a ragioni sentimentali: l’innamoramento per il potere. E se non è possibile azzardare valutazioni, su un terreno scivoloso come quello delle infatuazioni, un punto è certo: la rinascita politica di un Presidente destinato, secondo tutti i sondaggi, a percentuali elettorali risibili, è dovuta in gran parte all’inedito sodalizio con Ennahda. La resurrezione della Fenice si è arrestata solo davanti alla diffidenza del corpo elettorale. Una diffidenza invero minima: 354.015 voti di scarto. Ora, le mosse del “giocatore” Marzouki sembrano essere improntate ad una doppia strategia: inappuntabilità istituzionale -la telefonata di rito e le dichiarazioni pacificatrici-, destabilizzazione sostanziale -le proteste, financo violente, nel Sud-. Insomma: i numeri del presente impongono di abbandonare l’amato Palazzo, ma il vecchio inquilino crede nel “Sol dell’avvenire”.

A sancire lo sfratto definitivo, con sommo dispiacere di quest’ultimo, potrebbe essere proprio Ennahda, resa insofferente da un alleato tanto ingombrante. Come si può vedere, a dispetto della fine della fase costituente e della chiusura della tornata elettorale, ancora molte pedine attendono d’essere mosse sul complesso scacchiere della politica tunisina.

Omar Bellicini

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