Trentino: atti vandalici e sussulti di indignazione

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Un luogo, dove si fa memoria delle vittime della violenza cieca e imbecille dell'uomo (sapendo distinguere tra i carnefici, ma volutamente e programmaticamente senza distinguere tra chi subì l'odio dell'altro fino alle estreme conseguenze). E un luogo dove la memoria, coltivata da chi ha ancora amore per la fatica del pensare, si traduce poi in azione, talora giovanilmente ribelle.

Entrambi profanati da mani vigliacche, armate e animate forse da culture (sic!) politiche diverse, ma sicuramente incapaci di svincolarsi dalla logica amico-nemico, incapaci di riconoscere l'altro, incapaci di aprirsi al confronto.

A Levico Terme, alcune lapidi del Giardino della Memoria creato su sollecitazione del Centro Studi sulla storia dell'Europa orientale (Csseo) sono state imbrattate, ma in modo selettivo. Sono state colpite solo quelle delle vittime dei Gulag e di chi fu gettato nelle foibe del Carso. Il messaggio è palese e lo sfregio fa ancora più male, se si pensa che il Giardino è stato voluto proprio per mantenere vivo il ricordo delle tragedie del Novecento e di tutte le vittime: ebrei, armeni, prigionieri nei Gulag, infoibati. Un atto vandalico che, ha rimarcato subito il Centro Studi, "testimonia in modo significativo di un vuoto di memoria, di una lobotomia che non è in grado di focalizzare la grande tragedia del Novecento europeo".

A Trento, a ridosso del centro storico, l'ex dogana ora occupata dal Centro sociale Bruno è stata bersagliata da lanci di vernice e deturpata da croci uncinate e scritte pesantemente offensive. A farne le spese, i murales della facciata (grande dipinto abusivo fin che si vuole, ma certamente espressione di altrettanto grande creatività), oltre all'automobile di Donatello Baldo, che del centro sociale è anima e animatore. "I simboli che coprono i murales sono uno sfregio alla democrazia e alla libertà, e rievocano la terribile storia del Novecento: sterminio, totalitarismo, razzismo, olocausto. Tracciare le croci di una svastica è uno dei gesti più esecrabili e abietti verso cui si ribellano i milioni di uomini e donne che sotto quei simboli sono morti" - hanno scritto i giovani del centro sociale.

Anche in questo caso, evidentemente, siamo di fronte a un vuoto di memoria. Pericoloso.

"Chi taccia questo giardino come il giardino dell'odio e non della memoria e non riesce a comprendere la tragedia di una politica che si nega la capacità di comprendere la natura degli uomini, di rispettarla nei suoi limiti e nelle sue debolezze, si candida a ripercorrere la stessa catena di orrori" - ha scritto ancora il Centro Studi sulla storia dell'Europa orientale.

Alla "capacità di comprendere la natura degli uomini, di rispettarla nei suoi limiti e nelle sue debolezze" si richiamano, implicitamente, i promotori della raccolta di firme contro la schedatura dei rom voluta fortemente dal ministro dell'Interno Maroni: Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza - sezione del Trentino Alto Adige, Punto d'Incontro e Cgil, con APAS, Associazione Ubalda Girella, CGIL, Comunità Murialdo, Progetto 92, La Rete, Villa S. Ignazio, Coop. Arianna, Volontarius, Unimondo, Acli. Da giovedì 10 luglio promuovono a Trento una raccolta di firme contro la schedatura dei Rom e dei Sinti.

Un provvedimento che richiama "procedure di schedatura razzista utilizzate dai regimi nazifascisti nel secolo scorso" e "particolarmente odioso e inaccettabile, perché rivolto anche ai bambini e a tutti i minori che, finora, anche se privi di documenti, hanno potuto frequentare la scuola pubblica del nostro paese", rimarca, sempre sul filo della memoria, l'Aned, l'associazione nazionale degli ex deportati. Mentre il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, ha commentato: "Non possiamo assistere innocentemente al ritorno della discriminazione su base etnica". Tutti "buonisti"?

Augusto Goio

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