Timgad, la Pompei d’Africa

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Foto: Unsplash.com

Era un ottobre di fine anni ottanta, venato dai colori tipici dell’autunno, quando arrivai a Timgad, dichiarata sito Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nello stesso decennio (1982).

Un tardo pomeriggio che mostrava l’irrequietezza della luna in attesa di prendere il posto del sole che, lentamente, perdendo la sua potenza di fuoco, scendeva verso l’orizzonte, lanciando gli ultimi dardi luminosi della sua giornata, e lasciando, pian piano, campo libero al tramonto.

Arrivavo da Batna, la capitale dell’altopiano dell’Aurès, est Algeria, dopo aver attraversato la regione degli chott, i laghi di acqua salmastra, asciutti per la maggior parte dell'anno e ricoperti da un leggero strato di sale, tipici dei paesaggi pre-desertici dell'Africa settentrionale. Iniziai con la visita a quella che fu una fortezza legionaria a Lambesi, a 10 Km a est da Batna, dove potei ammirare l’anfiteatro, l’arco onorario di Settimio Severo, e il maestoso Palazzo del Pretorio. 

Raggiunsi poi le rovine di Timgad, in un’area pressoché desertica a circa 160 chilometri in linea d’aria dalla costa del Mediterraneo.

Depositai velocemente il bagaglio in un hotel, dagli immensi spazi da architettura sovietica, a una ventina di chilometri dalle rovine. Posso dire davvero che stavo attuando una forma di “turismo responsabile”. La prima impressione non fu delle migliori: ricordo pesanti e malmesse tende, dal tetro colore marrone tendente al nero, in un’ immensa sala da pranzo, un vecchio receptionist sdentato e annoiato, il copriletto con grosse macchie, la moquette sporca da cui si alzava, sospendendosi nell’aria, un polviscolo dall’acre odore misto di tabacco e sudore.

La visita alle rovine romane risollevò il mio spirito.

La penombra offri’ ai miei occhi quell’ aria di “vedo, non vedo” che aumentò curiosità e stupore, man mano che mettevo a fuoco ciò che mi si parava davanti alla vista.

Timgad fu costruita, nel 100 d.C. dall'imperatore Traiano come colonia militare. Con il suo recinto quadrato e la sua pianta ortogonale ordinata dal cardo e dal decumano, le due strade perpendicolari che attraversavano la città, è un perfetto esempio di urbanistica romana.

Il decumano (in latino: decumanus, variante di decimanus, derivato di decĭmus, “decimo”) era una via che correva in direzione est-ovest nelle città romane. Esse erano solitamente basate su uno schema urbanistico ortogonale, ossia suddivise in isolati quadrangolari uniformi.

Come si può leggere in numerose documentazioni storico-architettoniche “il termine decumanus veniva infatti utilizzato per indicare una delimitazione in direzione est-ovest nella centuriazione romana, ossia la divisione del territorio di una colonia in lotti quadrati che venivano assegnati ai singoli coloni. Ciascun lotto costituiva il fondo per cento famiglie, ed era delimitato da un cardo, il “polo cardinale” e, ogni dieci famiglie, da un decumanus, “la strada della decima parte”.

Uno degli assi principali della centuriazione e dell’urbanistica cittadina era il decumanus maximus, che si incrociava ad angolo retto con il cardo maximus, ovvero il principale asse nord-sud. L’insediamento romano risultava quindi diviso in quattro parti chiamate quartieri (termine che in seguito ha assunto il significato di nucleo con caratteristiche storiche e geografiche all’interno di un agglomerato urbano). Di regola, all’incrocio di queste due direttrici principali si trovava quasi sempre il forum, ossia la piazza principale della città. Il decumanus maximus inoltre collegava due delle quattro porte dell’insediamento, quelle in direzione est – ovest: la destra e la sinistra.”

Ravenna ne é un tipico esempio in Italia.

In un sito montuoso di grande fascino, a nord del massiccio dell'Aurès, 480 km a sud-est di Algeri e 110 km a sud di Costantine, Timgad offre l'esempio completo di colonia militare romana.

Probabilmente per servire da accampamento per la 3a Legione Augusto, che successivamente fu di stanza a Lambesi. La pianta é rimasta incredibilmente intatta ed é un esempio lampante dei principi dell'urbanistica romana al suo apice. A partire dalla metà del II secolo Timgad si espanse oltre i bastioni e vennero costruiti importanti edifici pubblici in nuovi quartieri: campidoglio, templi, mercati, terme. 

Una colonia forte e prospera, Timgad é stata l’immagine sorprendente della grandezza romana in terra numida. Gli edifici, interamente costruiti in pietra, furono frequentemente restaurati durante l'impero: l'arco di Traiano a metà del II secolo, la porta est nel 146 e la porta ovest sotto Marco Aurelio. Le case, di varie dimensioni, risplendevano con la loro sontuosa decorazione destinata a sopperire all'assenza di marmi pregiati.

Dopo l'invasione vandalica del 430, Timgad fu distrutta alla fine del V secolo dagli autoctoni dell'Aurès. La riconquista bizantina restituì alla città una certa attività, difesa da una fortezza costruita nel 539, a sud, riutilizzando i blocchi strappati ai monumenti romani. L'invasione araba la rovinò definitivamente e cessò di essere abitata dall'VIII secolo, dopo la sua distruzione da parte dei berberi.

Mi sedetti all’angolo del muro perimetrale di pietra, radente il suolo, di una vecchia casa romana che conservava intatta la pianta dell’abitazione, con la definizione delle sue stanze, compresa cucina e servizi. 

Un ultimo, dispettoso, raggio di sole colpì i miei occhi. Chiusi le palpebre e mi sentii, fra l’altro, pervaso da voci e schiamazzi dal suono vagamente latino e del battito degli zoccoli di cavalli che percorrevano e battevano le strade pavimentate con grandi lastre di pietra calcarea di forma rettangolare. 

Fu come rivedere un film, ripercorrere mentalmente la grandezza di Roma.

Sulle vie cittadine, tutte rettilinee, si affacciavano innumerevoli abitazioni private, botteghe, laboratori e locali pubblici. Le porte della città si aprivano all’estremità delle direttrici principali, affiancate da lunghi porticati; l’accesso occidentale alla città era ornato dal maestoso arco onorario dedicato a Traiano. Inizialmente Timgad fu cinta di mura, che però caddero presto in disuso, come dimostrano i numerosi edifici sorti al di fuori del primitivo reticolato e non più allineati con esso, tra i quali spiccano il grande Capitolium e un enorme santuario. Nell’abitato sorgevano una basilica, una biblioteca, un grande mercato, tre templi, 14 complessi termali, oltre a fabbriche di ceramiche e altri impianti produttivi, molti dei quali sono ancora ben riconoscibili. 

Come scritto nella rubrica Storica del National Geographic, “fino alla seconda metà del XVIII secolo le conoscenze sul passato romano dell’Algeria erano quasi inesistenti. Solo grazie all’Illuminismo e alla moda dei viaggi culturali da parte degli intellettuali europei venne portata alla luce la ricchezza della civiltà classica nel Maghreb.

Uno dei protagonisti di tale riscoperta fu James Bruce,  viaggiatore e scopritore scozzese che giunse in Algeria come console britannico nel marzo 1763, dopo aver trascorso sei mesi a studiare il mondo classico in Italia. Tra i suoi nuovi compiti figurava quello di esaminare le antiche rovine romane in Algeria, di cui avevano già dato notizia precedenti esploratori quali Thomas Shaw.

James Bruce si rese conto di non possedere gli strumenti necessari per il tipo di spedizione che sperava di portare a compimento; scrisse quindi in Italia affiché gli mandassero una camera oscura e dei giovani esperti di architettura e disegno. Alla spedizione si unì perciò un apprendista disegnatore, il fiorentino Luigi Balugani, e nell'agosto 1765 i due partirono da Algeri alla volta di un territorio sconosciuto. 

Ma Bruce non sapeva che sotto i suoi piedi, sepolta dal tempo, giaceva una delle città romane più importanti del nord dell'Africa.”

Disegni, rilievi e appunti di viaggio furono il risultato di questo primo incontro con Timgad. 

“Tuttavia, i resti dell'abitato ceddero di nuovo nell'oblio e fu necessario attendere più di un secolo perché nuove spedizioni ravvivassero l'interesse scientifico per la città di Timgad.

Nel 1875 il console generale britannico di Algeri, Robert Lambert Playfair, decise di seguire le tracce di James Bruce. Giunto a Timgad si rese conto dell'importanza della città, di cui scoprì nuove vestigia. E così ne descrisse con dovizia di particolari, evidenziando come l’ anfiteatro scoperto da Bruce fosse in realtà un teatro, e il vicino tempio, il foro. Nell’ultimo quarto del XIX secolo vennero rinvenute a Timgad numeri iscrizioni e sculture, e diversi europei si spinsero nelle terre algerine con l’ obiettivo di raggiungere l'antica città. 

Sebbene la Gran Bretagna potesse vantarsi di aver scoperto l'antica Thamugadi, la storia del sito archeologico ebbe una svolta inattesa per merito della Francia. Difatti, in seguito alla meticolosa e accurata descrizione delle rovine da parte del professor Émile Masqueray, il Service des Monuments Historiques parigino iniziò a interessarsi alle rovine di Timgad e decise di finanziare gli scavi di quanto ancora giaceva sotto le sabbie del deserto. Le operazioni iniziarono in modo sistematico nel 1881, fino al 1960, e hanno un permesso il definitivo ritorno alla luce di quei segreti sepolti per secoli.” 

La città apparve talmente ben conservata che venne nominata la "Pompei dell'Africa".

Un merito che va condiviso con l’avanzata del deserto che ha contribuito a preservare perfettamente il sito ricoprendolo con una spessa coltre di sabbia.

La sabbia dalla funzione di lava e di protettrice ambientale della storia.

Ferruccio Bellicini

Pensionato, da una quarantina d’anni vivo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, prima, Tunisia, ora. Dirigente di una multinazionale del settore farmaceutico, ho avuto la responsabilità rappresentativa/commerciale dei Paesi dell’area sud del Mediterraneo, dal Libano al Marocco e dell’Africa subsahariana francofona. Sono stato per oltre 15 anni, alternativamente, Vice-Presidente e Segretario Generale della Camera di commercio e industria tuniso-italiana (CTICI). Inoltre ho co-fondato, ricoprendo la funzione di Segretario Generale, la Camera di commercio per lo sviluppo delle relazioni euro-magrebine (CDREM). Attivo nel sociale ho fatto parte del Comitato degli Italiani all’estero (COMITES) di Algeri e Tunisi. Padre di Omar, giornalista, co-autore con Luigi Zoja del saggio “Nella mente di un terrorista (Einaudi 2017).

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