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Terremoto, ricostruire le comunità
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Il terremoto non lascia scampo. Ci si ritrova all’epicentro di un evento che cambia completamente la vita. Vengono meno i riferimenti proprio perché è la terra, l’elemento solido e inerte per antonomasia, a diventare all’improvviso mobile e infido. La terra trema e quindi sbriciola gli edifici. Non ci sono più rifugi sicuri. Le case crollano. Ecco un altro aspetto che rende queste catastrofi naturali ancora più tragiche. La perdita della casa significa la scomparsa almeno di una parte dell’esistenza. Certamente non si può paragonare la situazione di chi è ferito o piange i propri cari morti con quella di chi invece ha perso “solamente” i propri beni materiali. Tuttavia “essere senza casa” significa paralisi, sradicamento, angoscia, disperazione. Essere senza futuro. Se poi pensiamo che questo evento è accaduto senza alcun tipo di preavviso – questa è la caratteristica dei movimenti tellurici - , di notte, capiamo quanto quelle persone colpite siano sconvolte e disorientate.
La terra e la casa. Guardando le immagini che provengono dalle zone devastate, osservando gli occhi sgomenti di bambini e anziani, non possiamo non paragonarle a quelle dei profughi sui barconi e dei prigionieri delle bombe in Siria. Il contesto è diverso, ma il dolore identico. La necessità di aiuto identica. Per fortuna, nel caso di questo terremoto, l’Italia sta facendo vedere il suo lato migliore, con una solidarietà che sorge quasi spontanea a fronte di tali emergenze. Anche alcuni richiedenti asilo si sono offerti di dare una mano.
Non si può paragonare una guerra a un terremoto. La responsabilità umana non è la stessa. Eppure, anche per un disastro naturale, si cercano i colpevoli. Almeno le circostanze che hanno portato alla catastrofe, i provvedimenti che si sarebbero dovuti prendere. E qui rivediamo film già visti, sequenze di un’Italia che frana, che non sa prevenire o mettere in sicurezza, che non pone come primo punto di un’agenda di governo la questione del dissesto idrogeologico. Non ci possiamo permettere l’incuria del territorio.
In questi casi però il riflesso del “piove, governo ladro” stride con la necessaria coesione che il Paese dovrebbe dimostrare. Troppo semplice sparare contro chi è al governo in questo momento. Comprensibile forse per chi sta soffrendo, ma non per il coro di chi, a parole, saprebbe immediatamente come sistemare tutto. Gli sprechi e il malaffare in passato ci sono stati, questo è evidente. Dobbiamo fare di tutto affinché non si ripetano, ma dato che il problema è pluridecennale, per non dire secolare, forse la colpa non ha colore politico e ognuno di noi dovrebbe farsi un esame di coscienza. Ognuno, perché soprattutto in queste occasioni lo Stato siamo noi. Siamo noi: l’imprenditore che ride soddisfatto dopo il terremoto dell’Aquila, il piccolo proprietario di una casa abusiva alle pendici del Vesuvio, l’amministratore del piccolo comune pronto a guadagnarci qualcosa, a volte gli stessi terremotati che ricevono i soldi per poi non mettere in sicurezza la propria abitazione. Se appare incredibile che la scuola di Amatrice, ristrutturata nel 2012 secondo le norme antisismiche, sia crollata, occorre ricordare che i centri storici di quasi tutti i borghi italiani hanno qualche vincolo per la conservazione artistica o paesaggistica.
A seguito dei terremoti molti fanno riferimento al mitico e mitizzato Giappone, dimenticando però che la particolare mentalità giapponese non prevede la ristrutturazione e la conservazione ad ogni costo del passato. La vita degli edifici ha un termine programmato. Le case antiche si distruggono per far posto a quelle nuove costruite per resistere ai terremoti. Tuttavia anche gli ingegneri del Sol Levante non possono controllare tutto e forse non avevano fatto bene i loro conti prima di realizzare la centrale atomica di Fukushima, situata troppo a ridosso di un mare gonfiatosi in maniera del tutto imprevedibile.
Non ci può essere il rischio zero. Il campanile crollato sulla casa dove un’intera famiglia ha perso la vita sicuramente era uno di quei beni architettonici che certo non potevano essere abbattuti e che invece, come centinaia di monumenti, sono quelli che rendono unici quei paesi e l’Italia intera. Questo terremoto ha colpito zone bellissime, ma impervie, di montagna, già spopolate. La sorte ha voluto che l’evento si verificasse in agosto quando i residenti si moltiplicano per via delle vacanze estive.
In cento anni il comune di Amatrice ha visto ridurre i propri abitanti del 75%. Questo è il destino di moltissimi paesini dell’Appennino come da anni sta raccontando lo scrittore Franco Arminio, instancabile narratore dei borghi che stanno morendo. Spopolamento, invecchiamento, mancanza di alternative, abbandono del territorio, hanno già cambiato il volto di mezza Italia. E queste catastrofi naturali sembrano dare il colpo di grazia. Ci sono però esperienze alternative. La ricostruzione dovrebbe essere materiale, geografica, paesaggistica, ecologica, anche umana, ideale, progettata secondo un disegno lungimirante capace di dare di nuovo vita a quelle colline. La ricostruzione delle comunità, a partire dalle comunità. Qui ci vorrebbe la politica, quella vera, quella che non abbiamo più da troppo tempo e quella che nell'emergenza si attiva, per esempio, con una buona idea: gli incassi dei musei statali, questa domenica, saranno destinati alla ricostruzione!
Ogni cosa è destinata a crollare. Ma pure ad essere ricostruita. E così avverrà anche in quelle zone. I superstiti ricominceranno una nuova vita. I morti no, quelli non ritorneranno. In fondo questa è la condizione umana.
Articolo già parzialmente pubblicato dal quotidiano “Trentino”.
Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.