Tante parole e pochi fatti

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Ecco di cosa abbiamo bisogno: “tante parole e pochi fatti”. La parola, la rel-azione come premessa indispensabile all'azione. Quante “azioni” vi sono senza pensiero, costrutto, progetto. Eppure d'azione si muore! Come nel '39 quando fu tempo di “passare all'azione”.

E così, tutte le nostre organizzazioni intermedie, da quelle partitiche a quelle sindacali fino a quelle associazionistiche investono sempre meno in "scienza -conoscenza” e sempre più in “azione”, in cose, in case. Perché così piace (non a caso) agli ”azionisti”. Via i comitati scientifici, via i gruppi di studio, aboliamo i comitati d'indirizzo, via i sapienti. Fare, fare, fare. Conseguentemente chiudere i licei classici, le settimane di studio, i percorsi di formazione. Disdire gli abbonamenti alle riviste. Tagliare, tagliare.

E così anche il non-profit, come i partiti, appena hanno 4 euri da parte acquistano cose, spesso case. Il tutto, poi, da conservare, mantenere. Si. Come fa lo Stato. La spesa non è tanto per i 13 miliardi di euri per i 91 aerei F35 ma per i 50 miliardi ipotizzati per mantenerli.

Cose materiali / appartamenti /passato / conservatorismo /anziani / F35 che non è altro “a ben vedere” se non la DESTRA anziché le cose immateriali come il sapere / la relazione / futuro / riformismo / giovani / opportunità che non è altro “a ben vedere” se non la SINISTRA... se vogliamo ancora utilizzare termini antichi e desueti che sempre meno coincidono con l'emiciclo.

Ma la cosa che ancor più sorprende è che si preferisce morire anziché rinnovarsi. I partiti anziché aprire porte e finestre scelgono la moderazione nel ricambio: gli spifferi. Idem per i sindacati tenuti in vita solo dalle tessere degli ipergarantiti, talvolta doppiolavoristi. ”Di cultura non si mangia” è il motto che il ventennio ha disseminato in un paese, per l'appunto, disseminato di magnificenze culturali come l'Italia. Non il Botswana, caspita; ciò significa 3609 musei, 12.609 biblioteche, 8.250 archivi, 5.668 beni archeologici vincolati come ci racconta il mensile Vita che titola provocatoriamente l'ultimo numero: “con la cultura si mangia”. Insomma chi ha tentato di andare controcorrente inventandosi il Festival dell'economia piuttosto che Umbria jazz passando per il Festival d'Internazionale o dal Festival della letteratura ha fatto bingo. Trento, Perugia, Ferrara, Mantova sono territori che pensano, che parlano, che hanno qualcosa da dire (solo per citarne alcuni che frequento omettendo volutamente un elenco di 100 eventi anno che meritano) e che lastricano di euro i propri territori. E' questo il nostro rinascimento! Saperi che richiamano genti da tutta Italia, da tutta Europa. Ed oltre.

Il dossier di Vita c'insegna di non aspettarci nulla dalla politica nazionale ma di pensare, ideare, conoscere per fare. Eppure di tutta questa vitalità narrata v'è scarsa traccia nelle nostre parrocchie, nei nostri circoli o nelle sedi di partito. Si preferisce morire, magari con qualche proprietà da far dilaniare chi arriva dopo, piuttosto che vendere subito per ricavare risorse pro giovani migliori. V'immaginate un rinascimento dal basso che da sfogo a tutta la creatività che è sinonimo d'imprenditorialità? Ma, ditemi voi, sarà ben meglio per una parrocchia avere degli animatori in gamba o per un partito avere dei funzionari che funzionano sul territorio anziché questa lenta agonia. Eppure si ripete lo stesso vizio “privato” anche con “soldi pubblici”. S'investe sul mattone anziché sulla persona, sulla relazione, sulla parola. Nonostante siamo un popolo di persone sole salutate solo dall'extracomunitario senegalese venditore ambulante (per fortuna).

Non si è ancora capito che il volontariato, la militanza sono cose d'altri tempi. Si. Certo. Dobbiamo insegnare ai giovani la dedizione gratuita ma come possono, loro precari, competere con noi “indeterminati ad vitam e quattordicesima + ferie pagate”?

Disinvestiamo dal mattone ed investiamo in gioventù. Chi prima lo fa prima comanderà tra un decennio. Necessitiamo di “più persone attive e meno strutture passive”; credetemi.

Fabio Pipinato

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