Tagliare la corruzione per salvare le foreste

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Dopo l'Indonesia e l'Amazzonia tocca ora al Bacino del Congo. Il disboscamento illegale che ha visto la distruzione del 70% delle foreste dell'Indonesia e della Nuova Guinea e quasi il 60% di quelle dell'Amazzonia - dove negli scorsi due anni sono spariti 24 mila chilometri quadrati di giungla - ha ridotto le antiche foreste tropicali dell'Africa ad un terzo della loro estensione originaria. Rimane solo una piccola parte della foresta del Bacino del Congo che ha già perso l'85% dei suoi alberi millenari. E quel che resta è minacciato dal disboscamento illegale. "Tra il 1990 e il 2000, l'Africa tropicale ha perduto oltre 55 milioni di ettari di foresta naturale - con un incremento del 25% del tasso di distruzione rispetto all'epoca del Summit di Rio nel 1992. Da allora i paesi della regione hanno aumentato la loro produzione industriale di legno di quasi il 60%, mentre nello stesso periodo non c'è stata alcuna significativa crescita delle aree di foresta destinate alla conservazione. Nel frattempo, diversi milioni di ettari di foresta incontaminata sono stati ceduti alle compagnie del legno per le operazioni di estrazione industriale di tronchi" - riporta Greenpeace.

Per cercare di porre fine alla devastazione del secondo "polmone verde" del pianeta dopo l'Amazzonia, ai primi di febbraio a Brazzaville (Congo) è stato firmato un accordo tra i governi dei sette Paesi del Bacino del fiume Congo (Gabon, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Guinea Equatoriale e Camerun). Si tratta di preservare oltre duecento milioni di ettari di foresta pluviale che è l'habitat naturale di metà delle specie animali dell'intera Africa e dei gorilla. E che, soprattutto, sono la fonte di sostentamento per almeno 20 milioni di persone in dieci Paesi della regione. Il vertice di Brazzaville, al quale ha preso parte per il G7 il presidente francese Jacques Chirac, si è concluso con un'intesa per azioni congiunte per bloccare i bracconieri, stanziamento di maggiori fondi per la conservazione del patrimonio boschivo e l'armonizzazione delle leggi sul taglio del legname.

Ma non ha toccato il problema di fondo. "Per salvare le foreste occorre innanzitutto porre fine alla corruzione" - ha commentato Sergio Baffoni di Greenpeace. "Se vogliamo salvare le ultime grandi foreste del Congo, i Paesi del G8 e l'Unione europea devono intensificare gli sforzi per promuovere la trasparenza, combattere la corruzione ed arrivare a una gestione sostenibile delle foreste". La denuncia di Greenpeace verso l'Unione europea non è casuale. Molte delle imprese attive in Africa sono controllate da capitali europei, guidati dai importanti gruppi del settore: il gruppo Rougier (Francia), Thanry (Francia), Bolloré (Francia), Danzer (Germania) e Wyma (Olanda). Anche le compagnie italiane sono presenti: Vasto Legno, i gruppi Alpi, Dassi, Piarottoloegno e Itallegno. "Ovviamente operano in modi molti diversi: mentre alcune imprese sono direttamente coinvolte nel taglio illegale, altre si sono mostrate rispettose della legge, ma nessuna è ancora certificata FSC" - sottolinea Greenpeace.

E' tempo che i governi europei intervengano. Oltre metà della produzione di legname africano è destinata al mercato europeo e l'Italia è il secondo importatore mondiale di legno dal Bacino del Congo. "Malgrado gli impegni assunti, le nostre aziende, consapevolmente o inconsapevolmente, continuano a impiegare legname di origine illegale. Le soluzioni volontarie non bastano più: serve una nuova legislazione europea, vincolante, in grado di dare alle dogane il potere di fermare il legno illegale" - ricorda Baffoni di Greenpeace. Occorre soprattutto creare forme di sviluppo ecosostenibile in alternativa allo sfruttamento industriale delle foreste: il commercio di legname, infatti, non solo non ha aiutato a ridurre la povertà nella regione, ma anzi ha ridotto le risorse forestali dalle quali dipendono le condizioni di vita di milioni di persone.
"La conservazione delle foreste contribuisce direttamente alla riduzione della povertà" - notava David Kaimowitz, Direttore General del Centre for International Forestry Research, ad un recente convegno della Fao a Roma. Un'affermazione che è diventata realtà attraverso l'impegno di persone come l'ambientalista keniota Wangari Maathai, Premio Nobel della Pace 2004. La sua attività a difesa delle foreste equatoriali africane, spesso osteggiata e realizzata con pochi mezzi, è la prova che la riforestazione non solo aiuta l'ambiente ma crea anche nuove forme di sviluppo locale, sostenibile e partecipato.

di Giorgio Beretta

SCHEDA: Foreste sempre più a rischio

Nel mondo esistono 1.350 milioni di ettari di foresta millenaria non ancora compromesse da operazioni industriali su vasta scala. Si tratta di una superficie superiore a quella della Cina, due volte più grande dell'Australia, ma che rappresenta solo il 7% della superficie terrestre e solo un quinto della superficie originaria delle foreste.

Ogni anno nel mondo vengono eliminati o degradati 10 milioni di ettari di foresta: ogni due secondi un'area delle dimensioni di un campo di calcio viene disboscata. Le foreste tropicali di Indonesia e Africa Centrale rischiano di sparire nei prossimi 10 o 20 anni se la loro distruzione continua ai ritmi attuali, mentre quasi il 60% della Foresta amazzonica è già stata distrutta.

Nonostante dall'ottobre del 2003 i governi africani e la comunità internazionale si siano impegnati a lavorare insieme per affrontare il problema del disboscamento, in gran parte illegale, del Bacino del Congo, non si sono registrati miglioramenti. I sette Paesi dell'area producono ogni anno 13 milioni di metri cubi di legname, 870.000 metri cubi di truciolato, segatura e legno per costruzioni e 71 milioni di combustibile ligneo.

Ogni mese 300.000 metri cubi di legno 'merbau', una specie rara che cresce nelle foreste vergini di Papua (Indonesia) vengono illegalmente tagliati ed esportati nella Repubblica popolare cinese per essere trasformati in parquet - denunciava nei giorni scorsi l'Agenzia di investigazioni sull'ambiente (Eia). [G.B.]

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