Stati Uniti e Israele fuori dall’UNESCO

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Venerdì 8 novembre Stati Uniti e Israele  hanno perso il loro diritto di voto all’UNESCO, l’agenzia dell’ONU che si occupa di educazione, scienza, cultura e gestione del patrimonio culturale. Gli Stati Uniti e Israele hanno cessato di pagare i loro contributi all’UNESCO dal 2011, quando l’agenzia ha riconosciuto la Palestina come Paese membro; una mossa, quest’ultima, che, è stata interpretato da alcuni analisti come un potenziale primo passo verso un pieno riconoscimento presso l’assemblea ONU. La Palestina, va ricordato, non è stata accettata come membro dell’assemblea ONU – al momento, vi partecipa solo nelle vesti di osservatore.

Il riconoscimento della Palestina nell’UNESCO ha fatto sì che gli Stati Uniti e Israele bloccassero i loro finanziamenti all’agenzia. La causa è l’applicazione di una legge del 1990 che vieta al governo degli Stati Uniti di finanziare le agenzie collegate all’ONU che abbiano accolto la Palestina fra i propri membri. Dal 30 ottobre 2011, dunque, giorno di accesso della Palestina, Stati Uniti e Israele hanno smesso di presentare la documentazione relativa alla contribuzione finanziaria per l’UNESCO.

Anche se in Italia se ne è parlato poco, questi eventi hanno almeno tre conseguenze importanti. La prima ha a che fare con le ricadute in termini finanziari per l’agenzia e I suoi programmi internazionali. Secondo Reuters, gli Stati Uniti da soli fornivano all’UNESCO circa 240 milioni di dollari all’anno pari al 22 per cento dell’intero budget dell’agenzia. Anche se altri giornali parlano di cifre più basse, attorno ai 70-80 milioni, i danni per l’UNESCO sono enormi. La direttrice dell’agenzia, Irina Bokova, ha detto che molti dipendenti dovranno essere licenziati e che la gran parte dei programmi gestiti dall’agenzia verranno sospesi. Come riporta il Post, due luoghi americani che erano in lista  d’attesa per ricevere una certificazione UNESCO – uno scavo archeologico a Poverty Point, in Louisiana, e un gruppo di missioni spagnole del 18esimo secolo a San Antonio, in Texas – probabilmente non la otterranno più. Il progetto relativo al sito di San Antonio, in particolare, prevedeva la creazione di un migliaio di posti di lavoro grazie ai fondi che sarebbero arrivati dall’agenzia. Lo scorso anno, per trovare i soldi mancanti, l’UNESCO aveva creato un fondo speciale grazie ai contributi di Arabia Saudita, il Qatar e la Norvegia; Irina Bokova ha però aggiunto che non ritiene possibile aprire un nuovo fondo speciale, e che l’agenzia sarà costretta a sospendere altri programmi.

La seconda conseguenza riguarda gli equilibri tra Palestina e Israele. Alcuni osservatori temono che la perdita di peso di Stati Uniti e Israele all’interno dell’agenzia porti all’inasprirsi dei sentimenti anti-israeliani. Come fa notare il New York Times, la perdita del voto all’assemblea diminuisce di molto il peso degli Stati Uniti e di conseguenza la possibilità che questi ultimi riescano a influenzare la gestione dei fondi dell’agenzia. Phyllis Magrab, il Commissario degli Stati Uniti per l’UNESCO si è dichiarato preoccupato per la perdita di controllo sull’agenda dell’agenzia. Le conseguenze sui negoziati di pace tra Israele e Palestina sono difficilmente prevedibili, ma di certo il ruolo degli Stati Uniti come mediatore si complica ulteriormente. Elias Sanbar, l’ambasciatore Palestinese presso l’UNESCO, si è detto dispiaciuto per questa situazione e ha criticato gli Stati Uniti per aver creato grossi problemi all’UNESCO, ma allo stesso tempo ha sottolineato che “gli Stati Uniti perdono parte del loro ruolo e noi abbiamo bisogno del loro ruolo”.

La terza conseguenza riguarda, in effetti, il ruolo degli Stati Uniti nel mondo. La perdita del voto all’assemblea diminuisce la credibilità degli Stati Uniti come super-potere globale. Il governo degli Stati Uniti vede sicuramente indebolito il proprio soft power, l’abilità di esercitare influenza all’estero attraverso mezzi diversi dalla forza militare. I nuovi poteri globali, inclusi Cina e Russia, potrebbero approfittarne in diversi modi.

Non è la prima volta che gli Stati Uniti si trovano in una relazione complicate con l’UNESCO. Il governo Americano si ritirò dall’agenzia nel 1984, lamentando un’eccessiva burocratizzazione e uno sbilanciamento dei Paesi membri in favore del Terzo Mondo. Gli Stati Uniti tornarono a essere membri pieni dell’agenzia nel 2002, quando il Presidente George W Bush confermò che l’UNESCO aveva intrapreso un percorso di importanti e positive riforme. Anche questa volta sembra che il governo sia intenzionato a fare il possibile per recuperare il proprio diritto di voto. Secondo il New York Times, il governo ha tentato recentemente di cambiare questa legge, ma senza successo. Nei giorni scorsi il Consigliere alla Sicurezza Nazionale Susan Rice ha esortato il Congresso a fare il possibile per modificare la normativa e recuperare quanto prima il proprio status all’interno dell’agenzia.

Lorenzo Piccoli

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