Siria: quale futuro?

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L’attentato che tre giorni fa a Damasco ha ucciso quattro personalità di spicco nella sicurezza del regime siriano sembra aver aperto una crepa irreparabile nel potere di Bashar al-Assad. Che a causare l’esplosione sia stata una bomba piazzata lì giorni prima o un kamikaze con una cintura esplosiva è relativo. Il fatto significativo è che ha colpito al cuore del regime, in uno dei luoghi più sicuri della capitale Damasco, dove nessun osservatore internazionale avrebbe pensato che i ribelli del Free Siryan Army sarebbero potuti arrivare.

Un lavoro, quindi, che non è più soltanto di “battaglia” sul campo, ma anche di “intelligence”. Il regime, da mercoledì è costretto a difendersi. Dall’inizio delle proteste in Siria, mai come tre giorni fa, erano filtrate così tante informazioni. Certo, la propaganda, da una parte e dall’altra, è enorme e spesso è difficile capire se la notizia è reale o inventata. Come del resto è difficile fare analisi o pronostici sulla durata del regime. È certo, però, che le cellule degli insorti nella capitale, con l’inizio dell’offensiva “Vulcano di Damasco”, hanno aperto quello che sotto ogni punto di vista sarà il fronte più caldo e importante per la sopravvivenza delle parti in causa.

I combattimenti nella capitale e i bombardamenti sui quartieri dai quali gli insorti lanciano attacchi alle forze regolari segnano un punto di svolta nella guerra civile. La defezione di sempre più generali che scappano con le loro famiglie oltre il confine libanese e turco indebolisce ancora di più un regime che sembra allo sbando ma non certamente “morto”. Come in Libia per Gheddafi, i fedelissimi combatteranno fino alla fine. Giovedì, in quella che molti concordano essere stata la giornata più sanguinosa dall’inizio della guerra civile, secondo l’opposizione sono morte oltre 250 persone. Almeno 44 erano bambini.

La guerra si gioca anche sul controllo delle frontiere. Ieri l’aeroporto di Damasco è rimasto chiuso. In serata è arrivata la notizia, confermata da più fonti, che i ribelli sono entrati in possesso della frontiera al confine con la città irachena di Qaim. Secondo l’opposizione, inoltre, anche il posto di frontiera di Bab al-Hawa, al confine con la Turchia, sarebbe sotto il controllo dell’esercito libero siriano. Notizia, questa, non ancora verificata da fonti indipendenti. Un ufficiale turco di base a Reyhanli, sul lato turco del posto di frontiera, ha confermato all’Associated press la presenza di ribelli armati. Questo, più che gli scontri a Damasco che saranno lunghi e sanguinosi se il regime non si ritirerà, potrebbe essere un segno di svolta. Perché finora i ribelli erano costretti ad importare armi per vie secondarie. Il controllo di frontiere come quella sul lato iracheno permetterà di far entrare più facilmente nel Paese armi e uomini.

A far paura all’occidente c’è sicuramente l’arsenale nelle mani di Assad. L’arsenale missilistico e chimico della Siria, infatti, è ben noto ai governi della NATO e soprattutto al vicino Israele. Per questo ogni possibile operazione militare esterna dovrà fare i conti con un arsenale mortale di armi chimiche e missili scud capaci di colpire qualsiasi Paese attorno. Chi non vuole la fine del regime di Assad, oltre a Russia e Cina, sono sicuramente l’Iran e gli Hezbollah libanesi. Iran e Siria sono alleati nella regione dall’invasione del Libano da parte di Israele nel 1982. Assieme hanno contribuito a creare gli Hezbollah ,“Il Partito di Dio”. Dalla seconda guerra del Libano (2006), la Siria è stata la principale risorsa di missili per Hezbollah (stimata in circa 50mila razzi).

Gli scenari del dopo Assad sono molti e complicati. Qualunque sarà il regime a prendere il potere sarà contro Iran, Hezbollah, Russia e Cina. I Fratelli Musulmani, che hanno aperto il fronte della rivolta, avranno quasi certamente la meglio su qualsiasi altro gruppo. Ma la guerra tra forze leali ad Assad e ribelli è servita anche ad infiammare tensioni etniche e religiose vecchie di decenni. L’odio tra la minoranza alawita (di cui fa parte Assad) e i loro sostenitori cristiani ed i sunniti (Fratelli Musulmani), fa parte della storia passata e recente del Paese. La risposta al tentato assassinio di Assad padre da parte dei Fratelli Musulmani nel 1980 ebbe il suo epilogo nel tragico febbraio del 1982, quando l’allora Presidente della Repubblica Assad inviò le truppe migliori ad Hama ad uccidere oltre 20mila persone simpatizzanti e membri dei Fratelli Musulmani e facendo terminare di fatto nel Paese, fino a 18 mesi fa, ogni manifestazione violenta contro il regime. È quasi certo che presto o tardi il “castello” di Assad crollerà. A quel punto sarà la comunità internazionale in persona a dover difendere la minoranza alawita ed i suoi alleati? O si chiuderanno di nuovo gli occhi dando così mano libera alle vendette personali?

Quale allora sarà il futuro della Siria? Anche se può sembrare simile, è difficile fare un paragone tra la guerra libica e quella siriana. Gli interessi occidentali nei due Paesi sono diversi, come gli equilibri regionali e gli arsenali in campo. Senza accordi all’interno della NATO, con i veti al piano Annan di Russia e Cina sarà la Lega Araba a giocare un ruolo fondamentale per il futuro equilibrio della Siria. UAE, Qatar e Arabia Saudita, tutte, per un motivo o per l’altro, aperte sostenitrici dei ribelli, giocano sicuramente un ruolo fondamentale sullo scacchiere siriano e più in generale mediorientale.

Andrea Bernardi

Twitter: @andrwbern

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