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Siria: la violenza giunge a Mar Musa, ma resta la speranza
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C’è una cosa che accomuna tutti i visitatori che decidono di entrare al monastero di Deir Mar Musa el-Habasci: per accedere al patio interno al monastero occorre farsi piccoli. Giovani, anziani, uomini, donne, fedeli, turisti, viandanti, tutti. Solo accovacciandosi si riesce a varcare la minuscola porticina d’ingresso ed infilarsi nello stretto pertugio di roccia che conduce al patio.
La prima volta che l’ho fatto ho faticato un po’. Avevo un grosso zaino sulle spalle e ci passavo a malapena. Mi è sembrato quasi un gesto di riverenza. Non so perché ma ogni volta che penso a Mar Musa la prima cosa che mi viene in mente è quel passaggio stretto. Ho deciso, in modo del tutto autonomo e senza premurarmi di verificare la veridicità della cosa, che il senso di quell’ingresso, di quei tre – quattro metri da percorrere a testa bassa nel cunicolo, fosse uno solo: non importa la tua fede, né tantomeno la tua razza, non ha rilevanza il motivo della tua visita, tutti entrano allo stesso modo. Sembra che quei pochi passi siano in grado di cancellare, rendendolo superfluo, ogni tipo di differenza. Fuori cristiani, musulmani, ebrei, atei, bianchi, neri e tutto ciò che si vuole; dentro ospiti.
Il “fuori” è fatto di montagne bellissime in grado di cambiare più volte colore durante il giorno, quando il sole del deserto siriano si riflette tra le rocce e la sabbia prima di cedere lo spazio ad una miriade di stelle. Durante le notti passate al monastero ne abbiamo viste cadere non so quante, nel silenzio garantito da chilometri e chilometri di terre inabitate. Si fa fatica a riconoscere la Siria oggi, nel vederla sui notiziari di tutto il mondo. Altro che stelle e silenzio, i bombardamenti ordinati dal regime sui civili rendono sordi.
Leggo sul giornale che un gruppo di uomini armati di pistole e cattive intenzioni ha fatto irruzione a Mar Musa alla ricerca di soldi facili. Nel momento in cui l’articolo sincera che non c’è scappato né il morto né il ferito, inizio a lasciar andare un po’ frivolamente l’immaginazione. Immagino un manipoli di briganti grandi e grossi trasudanti adrenalina, fucile in pugno e volto coperto, colpi sparati in aria e grida minacciose, con la voglia di sfondare a calci il portone e mettere a soqquadro tutto. Già, ma il portone? Niente. Solo un foro tra la pietra attraverso il quale si intravede un pertugio buio. Pazienza, in fila indiana come alla mensa del collegio, si entra uno alla volta e piano piano. Addio effetto sorpresa, addio ingresso roboante e tutti assieme perché l’unione fa la forza.
In realtà è improbabile che sia andata così. Il Monastero è un complesso di più parti separate e pare che i malintenzionati abbiano puntato le armi contro alcuni membri della comunità nella zona esterna adibita a caseificio per la produzione di yogurt e formaggio di capra. “Non ci è chiara l’identità degli aggressori” – dicono ancora spaventati alcuni monaci del monastero – “ciò che sembra certo è che si sia trattato di uomini abituati all’uso delle armi in vista di interessi materiali”.
In un periodo come questo, dove il popolo siriano vive sotto l’assedio della lucida follia del proprio governante, il timore è quello che possa essersi anche trattato di una spedizione punitiva da parte degli sgherri di Assad. Da tempo il monastero (un gioiello incastonato tra le rocce risalente al VI secolo d.c.) è tenuto sotto controllo dal regime, una sorta di grande fratello che tutto vede e tutto sorveglia. Specialmente le voci libere e pluraliste come quelle di Padre Paolo dall’Oglio, il gesuita romano fondatore della comunità monastica, che ha trasformato Mar Musa nel luogo simbolo del dialogo interreligioso in Medio Oriente. Un luogo di incontro e fratellanza tra fedi e culture nella terra sulla quale passarono le carovane del patriarca Abramo e dove trovano spazio lo scontro e l’odio.
Siccome i tiranni hanno paura delle menti pensanti, nel Novembre scorso è arrivato a Padre Paolo Dall’Oglio il comunicato d’espulsione dalla Siria, per via dei suoi sforzi per la riconciliazione interna al paese. L’ordine è poi stato sospeso “ma a condizione” – sottolinea Dall’Oglio – “di interrompere la mia attività di partecipazione alla discussione politica. Perché i miei doveri ecclesiali sono più importanti, ma anche perché evidentemente non è apprezzata”.
“Nonostante questo evento doloroso non abbiamo perso la pace e neppure il desiderio di servire la riconciliazione” ribadiscono i membri della comunità. Proprio nelle scorse settimane, alcune famiglie scappate dai bombardamenti di Homs hanno trovato rifugio tra le mura di Mar Musa. Anche con i bastoni tra le ruote, la porticina del monastero rimane aperta.