Siamo tornati alla normalità

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Non è passato poi molto tempo da quei giorni, prima che la grande cavalcata dei vaccini occupasse l’intero spazio dell’attenzione pubblica sulla salute, con i suoi drammi quotidiani e i suoi diritti dimenticati. In quei giorni si parlava convulsamente delle carenze dei Pronto Soccorso e si indicava nella cancellazione della medicina territoriale una delle ragioni serie per spiegare i più gravi problemi che si stavano incontrando nell’affrontare l’esplosione di una pandemia che nessuno (si dice) avrebbe potuto prevedere in una così catastrofica dimensione planetaria. Adesso che il virus è finalmente scomparso dalle aperture dei telegiornali, il diritto alla salute in Italia sembra tornato ad essere l’ultimo dei problemi, inghiottito dalla comparsa di nuove logiche emergenziali. Però i Pronto Soccorso annegano nel caos, sono centinaia i medici ne sono fuggiti nei primi mesi del 2022, i turni si fanno sempre più massacranti e lo strategico potenziamento della medicina territoriale preoccupa molto meno dei cinghiali in periferia.

Tutti i Pronto Soccorso in Italia sono nel più completo caos. Nei primi quattro mesi del 2022, almeno 600 medici hanno lasciato la loro attività nei pronto soccorsi; anche all’Ospedale San Luca di Lucca – dove abito – mancano ben 11 medici che sono andati a svolgere altrove (soprattutto in cliniche private) la loro attività.

Ci sono oltre 120 dimissioni al mese di medici adibiti alla medicina d’urgenza e quelli rimasti devono fronteggiare carichi e orari di lavoro massacranti mentre i pazienti sono sottoposti a trattamenti da “Terzo Mondo”. 

Ma è tutto il Servizio Sanitario Nazionale a essere inefficace: per la mancanza di personale medico e infermieristico, per la formazione del personale sanitario, per le strutture ospedaliere e tecniche.

L’articolo 32 della nostra Costituzione recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività  e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può  in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». 

Quindi il Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe avere lo scopo di garantire a tutti i cittadini l’accesso universale – in condizioni di uguaglianza – all’erogazione delle prestazioni sanitarie e a tale proposito nel 1978 è stata predisposta la legge 833 con gli articoli che definiscono l’universalità, l’uguaglianza, l’equità.

Con quella riforma sanitaria del 1978 la salute non è soltanto un bene individuale , ma una risorsa di tutta la Comunità che si determina attraverso la prevenzione, la promozione, il mantenimento e il recupero della salute fisica e psichica.

La riforma sanitaria ha funzionato sino agli  inizi degli anni 90, attraverso una organizzazione capillare nei territori, con i servizi che venivano erogati dalle Unità Sanitarie Locali senza scopi di impresa. Ma successivamente, in modo strisciante, altre leggi hanno svuotato la riforma del 78, e le Unità Sanitarie Locali (USL) sono  divenute Aziende Sanitarie Locali (ASL) quindi aziende che hanno lo scopo di chiudere i bilanci in attivo o in pareggio, aprendo gradualmente un percorso  integrato fra aziende pubbliche e private convenzionate con il SSN.

Da quando le USL sono diventate ASL, vi sono stati tagli continui nella spesa pubblica sanitaria con un abbandono della medicina nei territori.

Siamo in presenza di un peggioramento continuo e sostanziale delle prestazioni che vanno a danneggiare soprattutto le classi medie e povere, cambiando in peggio le condizioni di uguaglianza. Secondo la Fondazione Gimbe negli ultimi 15 anni sono stati tagliati ben 37 miliardi di euro alla sanità pubblica...

Segue su: Comune-info

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