“Si curi chi può”: salute pubblica, diritto negato. Adoc contro la povertà sanitaria

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Foto: Unsplash.com

L'Italia è i Paese europeo che investe di meno nella sanità pubblica. Il rischio è che “si curi chi può”. A metterlo in evidenza sono Adoc ed Eures, nel rapporto “Sanità pubblica e tutela della salute”, appena pubblicato. Il progressivo disimpegno dello Stato italiano è certificato dalla riduzione della spesa sanitaria in termini reali, in flessione del 3,7% tra il 2021 e il 2022 e dello 0,8% rispetto al valore del 2020 (anno base 2015). Le previsioni di spesa riportate nel Def evidenziano un calo dell'incidenza della spesa sanitaria sul Pil. che nel 2027 toccherà il minimo storico degli ultimi 15 anni: il 6,2%.

Il contesto europeo rende ancora più evidente la scarsa attenzione della politica italiana alla sanità: la spesa pubblica pro capite in sanità (a parità di potere d’acquisto) si attesta, infatti, in Italia, a 2.180 euro, con scarti rilevanti nel confronto con i principali benchmark dell’Unione, quali Germania e Francia, dove raggiunge, rispettivamente, i 4.641 ed i 3.766 euro per abitante. Superiore alla spesa italiana è anche quella della Norvegia (4.445 euro), del Belgio (3.387 euro), dei Paesi Bassi, dell’Irlanda e della Svezia. Dopo l’Italia, soltanto la Grecia (1.196 euro), la Polonia (1.491 euro) e il Portogallo (1.768). 

La salute a carico delle famiglie

A fronte del disimpegno nelle politiche pubbliche, cresce la spesa sanitaria privata: tra il 2012 e il 2022, infatti, la spesa complessiva “out of pocket” delle famiglie italiane è passata da 31,5 a 36,8 miliardi di euro (+16,9%), pari ad una spesa media mensile di 113,5 euro; tale valore scende tuttavia a 97,3 euro al Sud (-15% sulla spesa media nazionale e -21% rispetto a quella del Nord), evidenziando una correlazione diretta tra livelli di reddito e accesso alla prevenzione e alle cure. Ciò nonostante, l’incidenza della spesa sanitaria delle famiglie su quella totale (pari in Italia al 4,3%), risulta più alta tra le fasce di popolazione più vulnerabile (5,5% tra gli anziani soli e 6% nelle coppie anziane) e nelle aree con la maggiore carenza di servizi (4,6% al Sud e 4,5% nelle Isole, contro il 4,4% del Nord Est e il 4,2% del Nord Ovest), evidenziando come la necessità delle cure vada ad erodere quote crescenti del reddito proprio tra i cittadini delle fasce meno abbienti. 

Medici anziani, infermieri precari

Il personale medico del SSN ammonta nel 2022 a 101.827 unità: lo 0,6% in meno rispetto al 2021 e il 2,7% in meno rispetto al 2012 (-7,5% al Sud), raggiungendo il -4,4% su scala ventennale. Si segnala inoltre come in Italia, nel 2022, il 54,1% dei medici abbia 55 o più anni (fonte Eurostat, riferita anche al settore privato), a fronte del 44,5% in Francia, del 44,1% in Germania e di appena il 32,7% in Spagna. 

Gli infermieri dipendenti del SSN (268.013 quelli censiti in Italia dal Ministero della salute), pur in leggera crescita rispetto al 2012, sono 6,2 per 1 000 abitanti: un valore inferiore del 25% rispetto alla media Ue, pari a 8,5 per mille abitanti. Ciò significa che per adeguare la “dotazione” italiana a quella dell’Unione Europea, sarebbero necessari altri 100 mila infermieri (+99.400), peraltro difficilmente reperibili vista la prospettiva del tutto insufficiente di laureati in queste discipline. “Occorre inoltre sottolineare come la leggera crescita sopra rilevata risulti interamente determinata da quella dei lavoratori “precari” - si legge nel rapporto -: tra il 2013 e il 2021, infatti, il personale infermieristico inquadrato con contratto flessibile è aumentato del 152,4% (da 9.863 a 24.890 unità in termini assoluti), mentre la crescita su base quinquennale si attesta sul +54,6% (+8.792 unità in valori assoluti).”...

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