Servizio civile obbligatorio, una proposta per il futuro

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Il servizio civile nazionale, come del resto tutto il mondo del volontariato, ha subito in questi ultimi anni una serie di tagli nelle risorse stanziate dallo Stato ma soprattutto ha dovuto scontare una disattenzione, se non una aperta ostilità da parte della dirigenza politica fino a ieri al governo del nostro paese. Come uscire da questa situazione? Sperando in un ravvedimento e in una nuova fase con l’esecutivo Monti? Accontentandosi delle briciole in attesa di tempi migliori? Oppure rilanciare pensando al futuro? È questa ultima opzione che varie associazioni hanno sposato in queste ultime settimane, lanciando l’idea di un servizio civile nazionale, universale e obbligatorio. Una proposta, veicolata dal sito Vita.it, che ha subito ricevuto molte adesioni.

Si tratterebbe di un cambio di mentalità per una classe politica che sembra essere sorda a certe istanze; oggi sappiamo quanto il volontariato sia l’ossatura dell’Italia, sia un movimento capace di affrontare le emergenze, di attivare energie nuove, di favorire la creazione di sviluppo (innovativo e sostenibile) e di posti di lavoro, e infine di generare speranza. Aprire ai giovani una finestra sul servizio civile nazionale implica aprire per loro una finestra sul futuro.

Tra le molte associazioni coinvolte, troviamo le Acli che sposano i contenuti del Manifesto per il servizio civile universale e obbligatorio: “Il servizio civile nazionale nato con la legge 64 del 2001 sta morendo. Dal 2008 al 2012 il fondo nazionale è passato da 299 a 68 milioni. Un taglio di oltre il 400% in 4 anni. I 68 milioni messi a bilancio quest’anno non sono sufficienti neanche a coprire i costi messi a bando. Il primo febbraio risultavano in servizio meno di 9mila volontari. Nel 2006 erano quasi 46mila. Mentre i ragazzi nella fascia di età fra i 18 e i 28 anni che quindi avrebbero diritto ad accedere al servizio civile sono oltre 8 milioni.

Negli ultimi anni i tagli hanno ridotto le possibilità di accesso al servizio civile ma i giovani non si sono fatti scoraggiare: la domanda è sempre stata molto superiore all’offerta. Evidentemente i nostri ragazzi sentono forte la necessità di avere uno strumento di partecipazione civica che consenta loro di essere e sentirsi protagonisti della vita del paese.

Il servizio civile in questi anni si è dimostrato un efficiente moltiplicatore di valore sociale. Secondo le stime del Centro universitario di studi sul servizio civile ogni euro investito produce un controvalore cinque volte maggiore in termini di formazione e servizi sociali offerti.

Per salvaguardare questo patrimonio e restituire la dignità al servizio civile alla politica non chiediamo fondi aggiuntivi, ma l’istituzione di un servizio civile universale aperto a tutti i giovani che vivono nel nostro paese. Un sistema a cui dovranno contribuire sia le amministrazioni pubbliche, sia i soggetti privati profit e non profit”.

Nei giorni scorsi il sito Vita.it, ha pubblicato un’intervista esclusiva a Romano Prodi che si dice molto convinto della bontà dell’iniziativa (“Negli Stati Uniti, ma anche in alcuni Paesi europei, un’esperienza in Africa di quattro mesi in un progetto di sviluppo o l’aver prestato servizio in un’organizzazione sportiva o di assistenza ai ragazzi fa acquisire punti per qualsiasi tipologia di professione. In Italia se uno ha fatto il servizio civile nemmeno lo mette nel curriculum, e in ogni caso questo aspetto non viene quasi mai preso in considerazione”). Rimane però il problema dei problemi, quello per cui ogni idea innovativa sul servizio civile viene cassata. Per Prodi occorre sicuramente che questo servizio debba essere retribuito ma ciò non è l’elemento fondamentale: “Quello che penso è che un contributo ci debba comunque essere, perché è il modo per rendere sostenibile per tutti i giovani un’esperienza di questo genere, ma non deve essere confuso per una sorta di mini stipendio. Il principio della gratuità e della donazione di una parte della propria vita alla comunità rimane centrale”.

Sulla stessa linea anche il presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero: “Il rischio che corre l’attuale sistema è che i 430 euro al mese talvolta siano percepiti come una sorta di reddito sociale: non è così e non deve essere così”. Per questo in un’ottica di riforma si potrebbe anche pensare a una riduzione della diaria “ma non a una sua cancellazione, perché le spese vive naturalmente non possono venir addebitate ai volontari”. Secondo Olivero, se lo Stato ha l’obbligo di dare un contributo, la vera rivoluzione si attuerebbe con l’ingresso dei privati e delle associazioni no-profit nel sostegno del progetto.

Non è però soltanto una questione di fondi. Occorre prima di tutto sciogliere il nodo dell’impostazione generale del servizio civile. È quello che fa notare Emanuele Rossi, professore di Diritto amministrativo all’Università di Pisa e referente del Cissc (Centro interuniversitario di studi sul servizio civile). La sua finalità “non è ancora chiara oppure travisata: la legge promuove il servizio civile come strumento di difesa della patria, non come forma di solidarietà giovanile o di formazione socio-lavorativa. Invece oggi nella valutazione dei progetti il fine di difesa non è nemmeno citato”. Se fosse riconosciuto il fine solidaristico o formativo e al posto della difesa della patria ci fosse la promozione dello sviluppo della Repubblica “il servizio civile avrebbe molto più riconoscimento. Chi lo fa crea valore sociale, soprattutto quando ha a che fare con le persone in modo diretto: cosa che accade nella gran parte degli enti del terzo settore, meno negli enti pubblici”.

Insomma c’è ancora molta strada da fare. Il punto resta dunque la visione ideale di fondo, quello scommettere sul volontariato come risorsa imprescindibile per superare l’attuale crisi. Per ora si sono sentite soltanto parole: alla prova dei fatti ecco i tagli. La strada del futuro è però questa. Il servizio civile potrebbe portare a una nuova concezione dell’identità nazionale. Nelle settimane scorse si è parlato del caso del giovane pakistano a cui è stata rifiutata la possibilità di accedere al servizio civile nazionale. La burocrazia non perdona anche chi sinceramente vuole dare una mano al paese. Così non si va avanti e l’Italia persevera nel suo immobilismo. Servono scosse, anche se sembrano impossibili da realizzare. Per ora.

Piergiorgio Cattani

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