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Sei (dis)connesso?
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“Ci sei? Ce la fai? Sei connesso?”. Era lo sketch del comico Pino Campagna che qualche anno fa era diventato virale ed era spesso utilizzato per riportare alla realtà interlocutori un po’ “fuori dal mondo”. Anche di questi tempi però domande incalzanti che chiamano a una risposta rapida e immediata - per lo più online - ci appartengono più che mai, segnalando quanto il peso di un’umanità che abita il presente senza viverlo né coglierlo stia condizionando i nostri stili di vita, i nostri approcci a qualsiasi cosa (non solo “nel” e “al” virtuale), in pratica il nostro modo di essere-nel-mondo inteso alla maniera di quel pregnante in-der-Welt-sein di Heideggeriana memoria.
Uno sbando relazionale che incontra la realtà delle logiche economiche, spinte di uguale portata ma di senso opposto che contro ogni legge fisica non si annullano, ma anzi si sostengono reciprocamente, evidenziando lo scollamento tra vissuto e immaginato. Spinte che in qualche modo introducono e al tempo stesso calzano a misura su quei tentativi di autoesclusione - volontaria e gradita - dalle dinamiche che regolano il sistema. Esperienze di pochi “folli”, personalità estrose che agli occhi di molti appaiono eccezioni coraggiose o pazze al “così fan tutti”. Per farvi qualche nome, basti pensare alle vite di Mark Boyle, Benjamin Lesage, David Suelo, Heidermarie Schwermer, Raphael e Nieves Fellmer. Chi sono? Sono sconosciuti, persone qualunque, a volte anche genitori, accomunate tutte da una scelta: la sfida di vivere senza soldi. Uomini e donne che hanno provato a fare della loro vita una missione, che generalmente finiscono per essere identificati come “i soliti eccentrici”. Certo, una scelta di vita fuori dalle righe, è innegabile, ma una scelta che mentre si concretizza ha sempre meno dell’impossibile e sempre più del realizzabile. Ed è sicuramente un’esperienza interessante, non foss’altro, come racconta David Suelo nel suo blog, perché permette di rendersi conto “di quanto la gente sia generosa”.
Una scelta probabilmente non per tutti, che richiede almeno in partenza una grande capacità di adattamento, una vita familiare poco impegnativa e un corpo in salute, e che trova generalmente tra i più ferventi sostenitori giovani in cerca di libertà e di identità, attivisti ambientalisti e più in generale persone deluse da meccanismi impersonali in cui non leggono un senso né al presente né al futuro. Una scelta che a volte avvicina queste vite più a quelle degli ascetici erranti che alle nostre di “comuni mortali” ma che, proprio perché compiuta con l’irriverenza e il sorriso da “comuni mortali”, invita a riflettere sull’attuazione di gesti inequivocabili: gesti che tracciano una linea di demarcazione tra l’assurdo delle leggi di mercato e la scioccante naturalezza - forse anche banale, se non l’avessimo zittita - delle relazioni interumane. Con un compito, se così possiamo chiamarlo: quello di riportare a galla i sentimenti di aiuto reciproco, di attenzione e di cura che appartengono alle comunità da secoli e che l’individualismo che ci si è incollato addosso ci ha fatto perdere di vista. Per dirla parafrasando il pensiero del Dalai Lama, il vero test di fede è ricercare i principi più autentici proprio in mezzo al materialismo più compatto.
Proprio lì dunque dove altruismo e generosità si sono arenati sulle secche dello spreco, della crescita ad ogni costo, della competizione. Lì dove ci si è dimenticati il valore dello scambio, dei favori autentici (perché dei favori di corruzione se n’è fatta invece un’abitudine), del mutuo aiuto. Valori che non appartengono solo a questi “freak erranti”, ma anche a realtà - solo per citarne alcune - come le banche del tempo, le mense della solidarietà e i gruppi di acquisto, che ci spingono a riappropriarci di ciò che in fondo, provando, viene naturale… e piace. L’esperienza di Raphael e Nieves, ad esempio, si è concretizzata a Berlino nel progetto di FoodSharing, piegando la tecnologia alla generosità: si tratta di un’applicazione, in Italia sviluppata da Fondazione Bruno Kessler (BringTheFood), che permette di segnalare un surplus di cibo che si è disposti a condividere. Nella stessa direzione vanno ad esempio le economie del dono, le molte iniziative di baratto, riuso e riciclo, couch surfing, condivisione della terra e open source.
Forse il senso più autentico di queste esperienze, anche quando non rappresentano solo l’alternativa drastica alla vita a cui si è abituati ma un’integrazione importante in termini di qualità delle relazioni e di riavvicinamento tra consumatore e bene consumato, è riassunto proprio nelle parole di uno dei protagonisti di queste iniziative, Elf Pavlik: “Non vendo più il mio tempo, ma faccio veramente quello che voglio fare, e adoro fare cose che rendono felici gli altri”.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.