“Se puoi leggere le onde, non ti perderai”

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Di giri intorno al mondo ne sono stati fatti e pensati tanti, dalla prima circumnavigazione di Magellano alle più moderne e recenti proposte di guide e agenzie di viaggio, che suggeriscono consigli per risparmiare e godersi quello che, in gergo, si chiama un viaggio RTW (Round The World). In mezzo moltissimi altri viaggi divertenti, faticosi e originali che hanno voluto ripercorrere le orme degli avventurieri del Sedicesimo secolo, cimentandosi in imprese che, spesso, hanno a che fare con veri e propri record.

Oggi vi racconto di uno di questi viaggi, il Mālama Honua Worldwide Voyage. Che sì, in effetti è “un altro viaggio intorno al mondo”, ma che porta a spasso per il globo un messaggio importante di sostenibilità, rispetto e cura per la terra (appunto, Mālama Honua). E lo fa, tra l’altro senza avvalersi dell’utilizzo di moderni strumenti di navigazione e scegliendo un mezzo di trasporto tradizionale, la Hōkūleʻa, caratteristica canoa polinesiana a doppio scafo.

Secoli fa le canoe polinesiane erano mezzi di trasporto che determinavano la sopravvivenza della popolazione, permettendo agli abitanti delle isole di procurarsi il cibo e di stabilirsi su nuove terre. La vita sulla canoa era un piccolo microcosmo, che riproduceva in miniatura la vita sulla terra. La condizione necessaria per sopravvivere era proprio che ciascun membro dell’equipaggio si prendesse cura dell’altro e della canoa stessa. La Hōkūleʻa rappresenta esattamente la versione moderna e più pulita dell’originale canoa. Si tratta infatti di una piccola barca che si sposta facendo riferimento soltanto alle indicazioni fornite dalla natura: posizione di sole e luna, maree, uccelli, venti e stelle. Una pratica di navigazione all’insegna della totale sostenibilità.

Dal maggio 2014, quando è salpata dal porto di Hilo, la Hōkūleʻa ha solcato tre oceani, quattro mari e attraversato undici fusi orari, facendo sosta in oltre 50 porti con lo scopo di incontrare le comunità che si battono per la salute degli oceani e che condividono la cura per il Pianeta.

All’inizio degli anni ’70 la hula, tipica danza hawaiana, venne proibita nelle scuole e le canzoni dedicate al mare spersonificate in traduzioni a portata di turista. La lingua dei nativi divenne un mero sussurro. Fu quindi più di 40 anni fa che la Hōkūleʻa venne costruita, per aiutare gli Hawaiani a riconnettersi con le loro origini indigene e riportare alla luce i ricordi - e le pratiche - della loro originale saggezza, che permetteva alle isole dell’arcipelago di essere abitate in maniera autentica. Perché un popolo che perde le proprie danze, canzoni e lingua perde la propria storia e le proprie narrazioni, che sono tasselli di un’identità comunitaria e anima della collettività.

Nel 1973 nasce la Polynesian Voyaging Society, dall’idea di Herb Kawainui Kāne, storico e artista, Tommy Holmes, esperto uomo di mare e Ben Finney, antropologo: l’intento è quello di provare che i polinesiani erano un tempo ottimi navigatori che dominavano la scienza dell’andare per mare e che avevano di proposito raggiunto e scelto di abitare le isole del Pacifico. Lo scopo di questi tre uomini era quello di smentire il mito secondo il quale gli abitanti della Polinesia erano capitati per caso alle Hawaii mentre navigavano senza scopo seguendo le correnti. In qualche modo i tre uomini desideravano sollecitare il recupero di cultura e competenze di navigazione che erano state diluite, se non dimenticate, durante la colonizzazione e fare in modo che le persone recuperassero fiducia nei loro antichi saperi.

Lo scopo iniziale era quello di costruire, attraverso un certosino lavoro di ricerca su materiali della storia scritta, orale e disegnata, una replica della canoa e di farla salpare sulle rotte commerciali verso Tahiti. Nacque così Hōkūleʻa, una canoa a doppio scafo lunga poco meno di 20 metri, costruita con compensato, fibre di vetro e resina e dotata di un doppio albero, nessun motore e una scopa come timone, il tutto tenuto insieme da un’ottantina di travi e da 8 km di corde. Mancava solo una cosa per mettere in atto (o in acqua!) l’idea: navigare senza l’aiuto delle tecnologie moderne. Per imparare sono andati in un atollo delle Central Caroline Islands della Micronesia, dove un generoso ed esperto navigatore ha acconsentito a condividere all’esterno della comunità le antiche arti di leggere i segnali della natura per orientarsi in mare. Quello che Pius “Mau” Piailug (questo il nome dell’uomo) aveva mostrato era un sistema di navigazione che i moderni marinai non avevano mai visto e che persone come il capitano Thompson agognavano a imparare: si trattava di leggere le onde e il loro modo di infrangersi contro la canoa per poter capire i venti e la direzione in cui orientare il timone o di orientarsi tra le stelle al loro sorgere e tramontare attraverso l’uso di un compasso costruito sulla sabbia con pietre, conchiglie e fronde di palma. Alcuni assaporavano la magia, altri ne comprendevano lo spirito di osservazione.

Fu nel 1980 che Nainoa Thompson percorse sulla Hōkūleʻa il tratto di mare tra le isole Hawai’i e Tahiti, a conclusione di una sentita manifestazione per la tutela ambientale, con il desiderio di riconnettersi profondamente con tutti gli esseri viventi della Terra. Un passaggio fondamentale per gli abitanti di queste isole, che riconduce dritto all’idea di un unico popolo ad abitare il Pianeta, popolo che ha il compito di condividerne la cura e la salvaguardia. Ecco allora che il Mālama Honua Worldwide Voyage diventa occasione per raccogliere storie - e metterle in rete - di piccoli grandi uomini e donne che ogni giorno, con gesti a volte sconosciuti e impercettibili, si battono insieme per proteggere la terra.

Patagonia pubblicherà nel 2017 un libro dal titolo Mālama Honua: Hōkūleʻa’s Voyage of Hope, che racconterà questa storia probabilmente con più dettagli, sicuramente un po’ meglio di come lo ho fatto io. Intanto, pensando ai protagonisti di queste vicende, a me viene in mente la fine della poesia I giusti di Jean Luis Borges: “Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”. Ecco, che questo viaggio sia allora un modo perché queste persone si sentano meno sole e, nel loro silenzioso ed eroico sforzo quotidiano per preservare la Terra, non vengano ignorate

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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