Salviamo la “nobile stirpe” delle api

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Lo confesso: per rilassarmi ogni tanto guardo il cartone animato dell’Ape Maia. I ricordi dell’infanzia hanno sempre qualcosa di dolce e nostalgico. La simpatica ape popolava i pomeriggi degli anni ‘80 insieme con gli altri insetti protagonisti degli episodi che mescolavano avventure sempre a lieto fine con le spiegazioni scolastiche della cavalletta Flip, necessarie per far comprendere i segreti del prato fiorito all’inesperta ma curiosa Maia. Proprio quest’ultimo aspetto è praticamente sconosciuto ai contemporanei cartoni da cui i bambini non imparano niente.

Da questo punto di vista devo fare un’altra confessione, relativa alla mia ignoranza intorno al mondo degli insetti (la classe degli “entomi” contiene il numero più alto delle specie animali). Guardando l’Ape Maia imparo ogni volta qualcosa. Certo parto da un livello davvero basso. Rispetto a tutti gli altri insetti le api però hanno un fascino speciale. Sono un macro organismo. È incredibile la loro organizzazione, la loro intelligenza che sembra andare oltre l’istinto, la loro determinante funzione per l’impollinazione e quindi per l’intero ecosistemaLe api sono indispensabili per la nostra vita. Sembra un’esagerazione, ma è proprio così. 

Gli antichi sono stati sempre meravigliati dalla “nobile stirpe” delle api. Tanto da farla discendere in qualche modo dagli dei. L’encomio più famoso si ritrova nel quarto libro delle Georgiche del poeta latino Virgilio. Il poemetto avrebbe uno scopo didascalico, cioè avrebbe come oggetto le varie attività della vita in campagna: l’agricoltura, la viticoltura e la cura degli alberi da frutto, l’allevamento del bestiame… Tuttavia la dimensione poetica sovrasta quella strumentale, passando da una presentazione “scientifica” dei fenomeni al tono elegiaco dell’amore verso gli animali fino a sconfinare nel territorio dell’epica. La descrizione della “società” delle api, che si trova nel finale dell’opera, quasi ne fosse un suggello, ha proprio le caratteristiche della poesia epica. 

Così si conclude il loro elogio: alcuni ritengono “che le api hanno parte della mente divina/ e spirito celeste, che dio va per tutte le cose,/ le terre, le distese del mare, il cielo profondo:/ di là le greggi, gli armenti, e gli uomini e gli altri animali/ traggono nascendo il soffio vitale/ e là tutte le cose, dissolte, ritornano,/ ma non vi è luogo alla morte: volano vive/ in mezzo agli astri nel cielo profondo”. Le api sarebbero partecipi della mente divina, di un’anima universale che le consentirebbe addirittura di essere immortali! Esse sono lo specchio di una razionalità ordinatrice del mondo. Se quindi le api scomparissero dal mondo anche la possibilità di una comprensione razionale di esso verrebbe meno. Con le api se ne andrebbe pure una visione armonica della natura che perderebbe qualsiasi connessione con la sfera trascendente e spirituale. 

Quello che sta avvenendo oggi. Da qualche lustro si parla sempre più spesso della drastica diminuzione del numero delle api sul pianeta (come del resto di molte popolazioni di insetti). La causa di questo fenomeno si rintraccia nell’utilizzo dei pesticidi, nell’inquinamento dell’aria e dell’acqua (pure quello elettromagnetico), nella diffusione degli Ogm, nei cambiamenti climatici con l’innalzamento della temperatura che provoca la comparsa di parassiti nefasti per l’insetto. E non saranno le api robot a salvarci. 

Di qualche giorno fa è la notizia che in Baviera sta avendo molto successo una raccolta di firme per un referendum volto a introdurre una legislazione più restrittiva sull’utilizzo di pesticidi e più favorevole all’agricoltura biologica. Una proposta in favore delle api ma avversata da chi teme ricadute sulla produzione agricola e quindi problemi economici per questo settore. Da tempo Greenpeace ha promosso una petizione per la sensibilizzazione del problema, lanciando l’allarme sulle api. 

Non ho le competenze per fare un’analisi dal punto di vista ambientale o zoologico. Il nostro rapporto con le api travalica questa dimensione. Riguarda la nostra mentalità, il nostro rapporto con la natura. Il XXI secolo si deciderà intorno a tale problema. Si è consunto il paradigma moderno per cui l’ambiente sarebbe un contenitore inerte di risorse stimate infinite e quindi depredabili senza remore. Qualcuno non l’ha ancora capito e continua imperterrito in una direzione catastrofica a livello ecologico, umano, politico, economico.

Dalle api potremmo imparare tante cose. La perduta capacità di pensare e costruire insieme anche a costo di rinunciare a una parte di sé; il sostegno collettivo nel pericolo comune; il senso, consapevole o meno, di poter contribuire al benessere degli altri, delle altre specie. Non si tratta di una idealizzazione, ma di un realismo più profondo. Della possibilità di progettare un mondo diverso in grado di andare oltre la piatta (e controproducente) dimensione utilitaristica. Perché si sa, parafrasando Rilke, che le api ci parlano sempre anche “dell’invisibile”.

Articolo apparso sul quotidiano “Trentino” il 22 febbraio 2019

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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