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Sahel: la Grande Muraglia Verde
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Foto: Lucia Michelini ®
Immaginate di tirare una linea immaginaria che colleghi la punta più occidentale dell’Africa a quella più orientale e coloratela di verde. Voilà la Grande Muraglia Verde.
Questo progetto risale al 2007 ed è stato concepito dall’Unione Africana, coinvolgendo un totale di 20 Paesi. Scopo dell’iniziativa panafricana è la realizzazione di una cortina verde contro l'avanzata del deserto e per il ripristino degli ecosistemi saheliani: 7.600 km x 15 km di piante, attraverso 11 paesi, dal Senegal al Gibuti.
Ma oltre a contrastare la desertificazione, l'iniziativa rappresenta anche un programma di sviluppo rurale sostenibile che mira a combattere l'insicurezza alimentare e il degrado ambientale.
Il progetto ha dell’incredibile, sia per le dimensioni, che per l’approccio sinergico: la Grande Muraglia Verde testimonia infatti la ferma volontà dei Paesi sahara-saheliani di riunire i loro sforzi per vincere la sfida contro cambiamenti climatici e povertà.
Il Presidente della Repubblica del Senegal, Abdoulaye Wade, in carica al momento della firma del progetto, disse: “Nella sua concezione, la Grande Muraglia Verde rappresenta un nuovo approccio ecosistemico per lo sviluppo di aree aride, una strategia globale per il ripristino di zone degradate e svantaggiate, nonché per la lotta alla povertà e ai flussi migratori”.
E aveva ragione. Promuovere lo sviluppo delle comunità locali attraverso azioni mirate a contrastare gli effetti del cambiamento climatico causato da Paesi lontani dalle realtà semi-desertiche del Sahel ha forse del visionario, ma rappresenta di fatto una soluzione concreta, che avrebbe anche l’effetto di incentivare i sistemi di produzione agro-silvo-pastorali, fonte di diversità sia in termini biologici che economici.
L’idea di questa enorme opera ecologica, non deve spaventare. La Grande Muraglia Verde va piuttosto immaginata come un grande puzzle di piccoli progetti locali, diversi, adatti al contesto e, soprattutto, elaborati con il consenso della popolazione, senza il quale ogni azione sarebbe destinata a fallire.
Fasce piantumate con alberi autoctoni e resistenti alla siccità, siepi, ma anche orti comunitari, progetti di agricoltura locale e pascoli per sfamare gli animali dei pastori nomadi del Sahel. Queste azioni possono e potranno migliorare la fertilità del terreno, diversificare il regime alimentare contrastando la malnutrizione, diminuire i conflitti per la competizione della terra, ma anche legare i giovani a loro territorio contrastando così l’immigrazione clandestina. Le esternalità positive sono numerosissime.
Secondo il biologo italiano Stefano Mancuso, per bloccare il riscaldamento globale va ridotta la produzione di anidride carbonica ma, contemporaneamente, aumentato il suo assorbimento. Come? Piantando alberi. Quanti? 1000 miliardi. Questo numero sarebbe infatti sufficiente per contrastare l’aumento della CO2 atmosferica. Un numero all’apparenza spaventoso, ma del tutto gestibile agli occhi dello studioso. A maggior ragione in una zona poco abitata come la banda saheliana.
Ma gli alberi, non aiutano il pianeta solamente nell’assorbimento della CO2, gli alberi rigenerano le caratteristiche fisico – chimiche del suolo, rendendolo idoneo alla vita e quindi alla coltivazione di piante indirizzate al consumo umano e animale. Con un po’ di lungimiranza, questo mosaico di azioni pilota potrebbe anche diventare il più grande programma di ricerca in pieno campo, dove testare e utilizzare le tecnologie più all’avanguardia per contrastare la siccità, dove recuperare e applicare tecniche di agricoltura sostenibile e di risparmio idrico.
Dal 2007 ad oggi, varie azioni sono state attuate. Capofila in quanto a risultati sembra essere l’Etiopia che sta mettendo a dimora centinaia e centinaia di alberi al mese. Di seguito qualche numero:
- Etiopia: ripristinati 15 milioni di ettari di suolo;
- Senegal: piantati 12 milioni di alberi e ripristinati 25.000 ettari di terreno degradato;
- Nigeria: ripristinati 5 milioni di ettari di terreno degradato e creazione di 20.000 posti di lavoro;
- Sudan: ripristinati 2.000 ettari di terreno;
- Burkina Faso, Mali, Niger: creazione di una cintura verde su oltre 2.500 ettari di terre aride, piantati più di 2 milioni di semi e piante e coinvolgimento di circa 120 villaggi.
Grandi risultati, anche se ancora piccoli rispetto all’ambizione originaria che consiste nel ripristinare 100 milioni di ettari di terreno attualmente degradato, sequestrare 250 milioni di tonnellate di carbonio e creare 10 milioni di posti di lavoro verdi e tutto questo entro il 2030. Tra le cause, molto probabilmente la mancanza di mezzi, di impegno, l’instabilità politica. Infatti, oltre ad essere un progetto scientifico, quello della Grande Muraglia Verde è prima di tutto un progetto umano, che dipende dalla capacità e dalla volontà di realizzarlo, nonché dal livello di coinvolgimento delle comunità locali.
Speriamo quindi che questi 10 rimanenti anni vengano sfruttati in modo saggio dai Paesi coinvolti, facendo diventare l’Africa un punto di riferimento internazionale dai cui imparare ad agire in modo coeso e fattivo contro i cambiamenti climatici.
Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.