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Rwanda: Gacaca, lotta all'Aids e Epa
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A seguito di una sua recente visita in Rwanda per partecipare all'assemblea paritetica Ue-Paesi dell'area Africa-Caraibi-Pacifico (o Paesi Acp, sono 79 ex colonie), per discutere di rapporti commerciali tra Europa e Acp, l'europarlamentare Vittorio Agnolotto ci ha inviato la seguente riflessione che volentieri pubblichiamo.
Il Rwanda resterà per sempre nell'immaginario collettivo come la terra dove sono state trucidate oltre ottocento mila persone, in cento giorni, nell'indifferenza del mondo "occidentale". Per molti di noi, sarà la storia di Paul Rusesabagina, lo Schindler africano, protagonista del film "Hotel Rwanda", o le pagine di Hatzfeld Jean, autore del libro "A colpi di machete". Invece, com'è logico che sia, a Kigali la vita è continuata e il genocidio è stato in parte, in modi diversi, metabolizzato dalla società. Il processo di riconciliazione è in atto e ho avuto modo recentemente di partecipare ad una seduta del Gacaca, il tribunale ove la riconciliazione ha luogo, sistema ispirato ad un'omonima istituzione tradizionale ruandese, uno strumento che è parte della cultura ruandese. Ero a Kigali come eurodeputato per partecipare all'assemblea paritetica Ue-Paesi dell'area Africa-Caraibi-Pacifico (o Paesi Acp, sono 79 ex colonie), per discutere di rapporti commerciali tra Europa e Acp, appunto.
Dal 1996 il Rwanda si è dotato di una legge ad hoc per chi ha organizzato e condotto il genocidio e i crimini contro l'umanità a partire dal 1990, ma in 5 anni furono giudicati solo 6 mila persione su 120 mila, per tanto si sentì l'esigenza di un altro strumento giuridico, i tribunali Gacaca, appunto. A loro, dal 2005, spetta il compito di rivelare la verità su quanto accaduto, sradicare la cultura dell'impunità, rinforzare l'unità e la riconciliazione dei ruandesi e provare la loro capacità di risolvere da soli i problemi del Paese. Esistono attualmente circa 11 mila Gacaca, suddivisi per i tre livelli di giudizio un po' come accade in Italia. Entro il 2009 dovranno terminare il loro lavoro di raccolta dati e categorizzazione dei diversi episodi e dei reati commessi dai singoli: oltre 85 mila casi di crimini.
Come si svolge allora un processo? Un uomo viene accusato da uno o più testimoni di aver commesso un dato crimine, o aver istigato qualcun altro a compierlo, decide o meno di ammettere i propri crimini e raccontarne i dettagli; un gruppo ristretto di anziani lo ascolta ed esprime al termine del processo un giudizio, altre decine di persone partecipano alla seduta, non ci sono avvocati. Chi partecipa di norma conosce l'imputato e la discussione è un momento pubblico.
Lo scopo è la confessione della colpa, il pentimento dell'autore di tale crimine, la commutazione di una pena, se possibile sotto forma di lavori sociali. I Gacaca sono garantisti, il 30 per cento degli accusati vengono prosciolti. Questo anche perché, inizialmente, chi era accusato finiva direttamente in prigione, solo a quel punto se ne accertavano le responsabilità e tra il '95 e il '96 molte di quelle persone furono liberate perché dimostratesi innocenti.
Con i Gacaca, dunque, il Rwanda tenta di coniugare la necessità di giustizia con la pacificazione. Il processo sociale e culturale in atto è molto complesso: il presidente Paul Kagame sostiene l'importanza di non distinguere più tra hutu e tutsi, mentre molti giovani chiedono che sia riconosciuta la loro identità di appartenenza, perché solo riconoscendo la pluralità si può vivere come un solo popolo. Le nuove generazioni pensano che non sia possibile fare altrimenti, quando convivi ogni giorno con un vicino di casa che magari ha ammazzato un tuo famigliare o amico.
D'altro canto il bisogno del perdono accomuna migliaia di persone che hanno partecipato, o anche solo visto, o volutamente non visto. È evidente che riemergono, processo dopo processo, ferite insanabili. Come l'episodio di una scuola in cui gli studenti non vollero dire alle milizie se fossero hutu o tutsi e vennero tutti uccisi. Non esistono però i fondi per provvedere al supporto psicologico dei superstiti, vittime o carnefici che siano. È il Gacaca che deve supplire a questa mancanza e cercare di risolvere, collettivamente, anche il trauma del singolo.
Sul genocidio ho potuto solo ascoltare esperienze e cercare di capire; forse è questo il ruolo possibile per ogni "occidentale" cosciente della colpevole indifferenza dell'Europa e degli altri stati del nord del mondo di fronte alla tragedia ruandese.
Ma come vi dicevo il Rwanda ha reagito al proprio incubo collettivo e alcuni settori della vita sociale ne sono una dimostrazione. È quanto accade nel sistema sanitario ruandese, a proposito del quale ho avuto una serie di incontri e colloqui, come medico, oltre che parlamentare europeo, soprattutto in riferimento alla lotta all'Aids. E ho scoperto un sistema impressionante, che riesce a fornire farmaci antiretrovirali per il 50% di coloro che ne avrebbero necessità. Un dato notevole per un Paese dove il 60% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.
Il Rwanda è uno dei maggiori beneficiari del Fondo Globale per la lotta all'Aids, Tubercolosi e Malaria. Negli ultimi quattro anni ha ricevuto dal Fondo stanziamenti pari a 230 milioni di dollari per sette progetti specifici. L'elemento di maggiore interesse è la modalità di intervento: in Rwanda i soldi del Fondo sono stati integrati completamente nel sistema sanitario nazionale, dunque hanno avuto se possibile un'efficacia ancora maggiore che se fossero stati utilizzati per le singole attività mirate alle tre pandemie.
Grazie ai contributi stanziati dal Fondo è stato sviluppato un servizio sanitario con ambulatori nei villaggi. La formazione è stata rivolta specificamente a persone che ricoprivano in precedenza ruoli di leadership nei villaggi. È stato distribuito materiale informativo di facile consultazione, molto utile non solo per le tre patologie di cui si occupa il Fondo ma per un miglioramento generale delle condizioni sanitarie e lo stesso è stato fatto per il personale medico (1 medico ogni 50 mila abitanti, mentre l'Oms ne reputa necessario 1 ogni 10 mila abitanti).
Ancora, il Rwanda è il primo stato africano ad avere applicato una clausola degli accordi Trips (accordi del Wto sulla proprietà intellettuale), in materia di brevetti farmaceutici, che per un Paese in stato di epidemia permette l'importazione di versioni generiche dei farmaci necessari. Se questo progetto dovesse funzionare a pieno regime, si aprirebbero scenari importanti per tutto il continente africano riguardo alla possibilità di "bypassare" (o quasi) le multinazionali farmaceutiche.
Tutto ciò dipende però in qualche modo dal motivo centrale della mia visita in Rwanda, ovvero la discussione sugli Epa, gli accordi di partenariato economico tra Unione Europea e Paesi Acp. Attualmente la Europea sta cercando di convincere con ogni mezzo gli stati Acp a firmare gli Epa La maggior parte delle ex colonie, ad oggi, ha deciso di non siglare gli accordi. Se questi venissero applicati, infatti, i Paesi africani sarebbero obbligati ad abbattere i propri dazi doganali (che proteggono i loro prodotti), mentre l'UE manterrebbe le sovvenzioni per l'esportazione dei propri prodotti agricoli: per l'Africa sarà una catastrofe. In un solo anno si stima che il Rwanda perderà oltre 17 milioni di dollari. Un bel modo per cercare di saldare il debito morale dei Paesi ricchi nei confronti del popolo ruandese.
Vittorio Agnoletto