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Re-incantare la pace con i paradigmi dei profeti
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Una riflessione di Chaiwat Satha-Anand che incoraggia il dialogo interreligioso nell'esplorare i percorsi della nonviolenza, presentata nella terza conferenza sulla trasformazione dei conflitti nel programma World Social Agenda di Civitas (Padova, maggio 2002). Di prossima pubblicazione su CEM Mondialità
Introduzione
In un articolo presentato alla 18a Conferenza dell'Associazione per le Ricerche per la Pace (IPRA) a Tampere (Finlandia), un giovane ricercatore dell'Università del Galles sostiene che la maggior parte dei conflitti armati contemporanei si basano su presupposti "filosofici" impliciti sulla superiorità e l'identità. E' comune ai fedeli di ogni religione giustificarne l'esistenza sostenendone la superiorità sugli altri credi: ciò diviene un' "essenza della religione" e rende la "violenza non soltanto possibile, ma addirittura inevitabile". L'articolo sottolinea che "le religioni sono per definizione incompatibili e che sarà quindi impossibile avere pace fino a quando esisteranno religioni" (Petter Larsson, 2000).Appare oggi facile mettere in evidenza il ruolo delle religioni nel giustificare la violenza mentre le notizie dal mondo parlano fra l'altro di uccisioni fra musulmani e cristiani in Indonesia e nelle Filippine; di violenza e terrorismo in una società per buona parte buddista come lo Sri Lanka che vede monaci anziani esporsi a favore del patriottismo e contro accordi di pace problematici pensati per mettere fine al bagno di sangue; dell'occupazione israeliana della Palestina, fra le violenze contro i palestinesi e i suicidi dinamitardi contro gli israeliani; di attacchi terroristici contro New York e Washington e della risposta americana con una guerra contro l'Afganistan e una radicale uso del tema della sicurezza. Tuttavia, in un mondo frammentato da conflitti di interesse e da politiche sull'identità, diviene più appassionante la sfida intellettuale del tentare di capire il ruolo che assumono le religioni nel giustificare pace e nonviolenza. Sfide intellettuali a parte, non importa se si opta per qualificare la nostra epoca come scontro o dialogo fra civiltà, rimane il fatto che civiltà scaturite da dottrine e narrazioni religiose agiscono sulla vita di un ampio numero di persone sul pianeta. Alcuni motivi alla base di questo fenomeno affascinante sono già stati analizzati altrove, per esempio dalla rivista Sojourn (nr.8, febbraio 1993) o da Keyes, Kendall e Hardacre (1994).
La questione importante è che cosa possano fare le persone comuni, di cui un ampio numero ha qualche convincimento religioso, di fronte alla violenza che sconvolge le loro vite a livello individuale e collettivo. Vorrei sostenere che senza una comprensione del ruolo delle religioni nell'allevare conflitti pacifici, c'è un'alta probabilità che gli attuali conflitti divengano ancora più violenti, basati sull'alchimia mortifera di odio, fame di "giustizia" in mezzo a strutture ingiuste, armi moderne e crescente indifferenza per le vite di persone innocenti. Questo articolo vuol essere un tentativo di attingere alle fonti religiose esistenti per mostrare alternative creative accettabili dalla gente comune. Intendo esplorare il tema delle religioni e della violenza esaminando i modi in cui, nella propria epoca, i profeti del buddismo, del cristianesimo e dell'Islam si sono misurati con degli assassini. Ho scelto tre religioni non perché siano spiritualmente più importanti di altre come l'induismo, l'ebraismo o le religioni dei nativi americani, ma perché sono geograficamente significative ed hanno il proprio carico di responsabilità riguardo ai conflitti attuali. Descriverò brevemente alcuni racconti che riguardano le vite dei profeti. Analizzerò quindi il loro modo di rapportarsi a degli assassini. Infine discuterò l'importanza del diffondere racconti che parlino di pace in un mondo afflitto dalla violenza.
Il racconto del Budda e di Angulimala
Gautama Budda è intervenuto a volte nelle dispute umane per fermare la violenza (McConnell, 1990). Ma nessun altro incidente ha la drammaticità del suo confronto con un noto omicida. L'essere riuscito ad ammansire questo bandito ed assassino temuto si dice (Schumann, 1982) abbia provocato "echi all'estero e accresciuto il prestigio del Budda". Ritengo utile riportare questo evento perché mostra il notevole effetto del dhamma del Budda sulla mente di un assassino incallito e forse i suoi effetti pedagogici nel fermare la violenza.
Nell'anno 508 a.C. il Budda scelse i monasteri di Savatthi per i suoi periodi di raccoglimento durante la stagione delle piogge. Una zona della regione di Savatthi era considerata estremamente pericolosa per la presenza di un terribile ladro e assassino chiamato Angulimala. Costui era il figlio di Gagga, un bramino della corte del re di Kosala. Alla nascita gli era stato messo il nome di Ahimsaka (il nonviolento). Il nome rispondeva ad una profezia che annunciava che sarebbe diventato un famoso assassino. Aveva frequentato l'università di Takkasila e la sua intelligenza ed istruzione gli aveva consentito di incutere paura e di sfuggire all'arresto tentato dai soldati del re Pasendi. Angulimala faceva la posta a carovane e viaggiatori e terrorizzava la gente, uccidendo tante persone cui tagliava le dita per farne i pendagli di una collana che portava al collo e che rispondeva ad un voto che aveva fatto. Ignorando chi lo metteva in guardia riguardo ad Angulimala, il Budda si recò nel territorio in cui operava l'assassino. Questi si mise ad inseguire il Budda, ma fu costretto a restare immobile dall'Illuminato. Mentre si allontanava dall'assassino il Budda gli disse che era lui, Angulimala che non si era fermato. Sconcertato, l'assassino chiese spiegazione:
"Come puoi dire che tu stai fermo, monaco e a me che sono bloccato che non sto fermo?" Rispose il Budda: "Io sono fermo, Angulimala, in tutti i sensi. Ho rinunciato alla violenza nei confronti di ogni forma vivente. Tu piuttosto non sai contenerti nei confronti di tutte le forme viventi. Ecco perché io sto fermo e tu non sai stare fermo".
Considerando le parole del Budda, Angulimala capì che il significato di "fermarsi" può essere compreso a diversi livelli. Avrebbe desiderato che il Budda si fermasse fisicamente per continuare la sua serie omicida. Ma era lui stesso quello che non si era fermato, nel senso che la sua mente continuava a voler mietere altre vite. Senza fermare la mente non ci può essere alcun senso nella continuità del viaggio della vita. Avendo capito l'ammonimento del Budda o come risultato di una scelta razionale di unirsi al sangha per evitare punizioni nella giurisdizione terrestre, Angulimala decise di "fermarsi" e di trovare rifugio nel dhamma del Budda. Passò dall'essere un assassino con le mani che grondavano sangue ad essere uno dei discepoli del Budda e fu assegnato al monastero Jetavana di Anathapindika. In seguito, passato per una serie di eventi così come voleva il suo karma, raggiunse l'illuminazione.
Secondo la leggenda, Angulimala aveva già ucciso 999 persone e avrebbe voluto aggiungere un altro dito alla sua atroce collana. E tuttavia sembra che il Budda non abbia rinunciato mai a sperare nella capacità umana di cambiare in meglio. Fece sì che l'uomo si fermasse fisicamente, quindi stimolò la sua curiosità e gli concesse tempo per cercare da solo una risposta. Angulimala era ovviamente sufficientemente intelligente da incuriosirsi all'affermazione enigmatica del Budda. Essendosi fermato fisicamente o essendo stato indotto a fermarsi, ebbe la possibilità di riesaminare la sua mente per comprendere il significato profondo di "fermarsi", guidato dal Budda. Fu capace di cambiare la sua deriva violenta dopo essersi "fermato dentro", il che gli permise di "vedere" con chiarezza le proprie azioni. L'assassino venne quindi trasformato e riuscì a diventare un illuminato.
Gesù e l'apostolo che estrasse la spada
E' interessante notare innanzitutto che non è facile trovare un incontro fra Gesù ed un assassino, anche se il comandamento "non uccidere" ha un ruolo di primo piano nel cristianesimo. Fosrse l'incontro più importante riguarda il momento in cui Gesù è crocefisso. Secondo Luca, e non secondo gli altri vangeli, in quel momento Gesù disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (23:34). Per il significato che ha Gesù sulla croce nella teologia cristiana, si potrebbe sostenere che sia stato un atto del Figlio per ottenere un'intercessione della Volontà Divina a favore dell'intera umanità ed è quindi un atto unico. Ho quindi preferito scegliere il racconto dell'apostolo di Gesù che sfoderò la spada per difendere il Maestro dalle guardie che venivano ad arrestarlo. Sfoderare la spada può essere considerata un'intenzione di usarla, uno strumento di morte. Inoltre, per "mozzare" un orecchio ad un uomo bisogna mirare l'arma dal collo in su, un fatto che indica una possibilità di uccidere. La lezione che possiamo apprendere da questo racconto è importante per l'atto di prevenzione del profeta che riesce a fermare qualsiasi ulteriore violenza.
Nel suo ultimo anno di vita, prima di venire crocefisso, Gesù viene arrestato. Ognuno dei quattro vangeli descrive l'atto dell' "arresto" con qualche differenza. Il racconto dell' "arresto" rimane istruttivo anche se bisogna essere consapevoli dei differenti momenti in cui i vangeli sono stati scritti. La redazione del vangelo di Marco, un giovane collaboratore dell'apostolo Pietro avvenne a 35 anni di distanza dalla crocifissione di Gesù, le redazioni finali dei vangeli di Matteo, Luca e Giovanni fra il 70 e il 100 d.C.
Dopo l'ultima cena in cui Gesù predisse una serie di avvenimenti che avrebbero riguardato i suoi apostoli compreso il "tradimento" di Giuda, Gesù lasciò gli apostoli per attraversare la valle di Kidron e recarsi in un giardino. Giuda aveva già parlato con gli alti sacerdoti e aveva promesso di identificare Gesù dandogli un bacio. Le guardie vennero quindi ad arrestare Gesù e fu a questo punto che un apostolo sguainò la spada. Solo il vangelo di Giovanni fa il nome di chi impugnò la spada e della vittima: "Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco" (18:10).
Secondo tre dei vangeli, ma non secondo il vangelo di Marco, Gesù disse all'apostolo di fermarsi e ciò impedì all'apostolo di causare ulteriore violenza. Secondo Matteo, Gesù mise in guardia coloro che usano la spada delle inevitabili violente conseguenze generate dalla violenza. Inoltre guarì, secondo Luca, chi aveva subito la violenza attaccando nuovamente l'orecchio al suo posto. Si potrebbe comunque osservare che in primo luogo Gesù fermò la violenza per ricordare agli apostoli sia i suoi insegnamenti, sia il significato della sua missione e che il suo arresto era di fatto parte della volontà divina che l'avrebbe portato a compiere in questo mondo il suo destino di emancipazione. Il suo atto profetico è quindi essenzialmente preventivo. Persuadendo i suoi apostoli a rinunciare alla violenza persino in un momento di rabbia di fronte all'arresto del Maestro, Gesù evitò che potessero trasformarsi in uccisori.
Maometto e Hind, la donna quraysh
In qualità di leader sia religioso, sia politico, il profeta Maometto è stato coinvolto sia in conflitti pacifici, sia in conflitti violenti. Mi sembra che uno degli avvenimenti più drammatici e forse di maggior valore pedagogico sia stato il modo in cui rispose ad una donna chiamata Hind bin 'Utbah della tribù dei Quraysh, cioè la stessa del Profeta. Siamo di fronte ad un fatto drammatico per il modo in cui l'omicidio avvenne e per ciò che ne seguì. Ma è anche un fatto di valore pedagogico perché la persona uccisa era zio del Profeta.
In seguito alle pesanti persecuzioni subite alla Mecca, nel 622 d.C. il profeta migrò a Medina, una città a oltre 300 chilometri a nord della Mecca. L'Egira, la migrazione dalla Mecca a Medina, segna l'inizio del calendario musulmano. Due anni dopo avvenne la grande battaglia di Badr in cui i musulmani sconfissero l'esercito inviato dalla Mecca. Nella battaglia, Hamzah, zio del Profeta, uccise il padre, il fratello ed altri parenti di Hind. Nel 625 d.C., nella battaglia di Uhud, nei pressi di Medina, l'esercito della Mecca respinse e si vendicò dei musulmani. Hind era presente alla battaglia.
In quell'occasione Hind aveva promesso ingenti ricchezze a Wahshi l'Abissino se fosse riuscito ad uccidere Hamzah. Quando Wahshi lo vide nel mezzo del campo di battaglia, gli scagliò contro il suo giavellotto trafiggendogli l'addome. Non estrasse l'arma finchè la vittima non morì. Secondo i biografi di Maometto (si veda per esempio Haykal, 1976), Wahshi aveva ucciso Hamzah per guadagnarsi la libertà dai signori della Mecca. Mutilò il corpo di Hamzah estraendone il fegato che portò a Hind. La donna si recò inoltre sul luogo dov'era il cadavere di Hamzah e lo mutilò di altre parti, compreso il naso e le orecchie.
Rimasto ferito nella battaglia di Uhud, il Profeta vide in seguito il corpo di Hamzah e rimase disgustato: "Non ho mai sentito prima una tale rabbia" affermò "Alla prossima vittoria chie Dio mi vorrà concedere sulla tribù di Quraysh mutilerò trenta dei loro morti (Haykal, 1976). Fu in quel momento che avvenne la seguente rivelazione:
"E se punite, punite in misura del torto ricevuto, ma se pazientate meglio sarà pei pazienti. Pazienza dunque, e sappi che il tuo pazientare è solo possibile in Dio; non ti crucciare per loro e per le loro insidie non t'angustiare" (Il Corano, XVI: 126-127). Il Profeta allora perdonò, portò pazienza ed emise divieto assoluto di mutilare. Nel gennaio 630 d.C. guidò 10.000 musulmani alla conquista della città santa della Mecca. Non incontrò resistenze di rilievo e potè entrare alla Mecca da vincitore. La domanda che si poneva era cosa avrebbe fatto con Hind e la tribù Quraysh responsabili di tali violenze contro Hamzah e contro altri musulmani.
Secondo fonti biografiche (si veda per esempio Lings, 1980), il Profeta si rivolse con una domanda agli abitanti della Mecca riuniti poco distante dalla casba: "Cosa dite voi, cosa pensate?". Gli risposero: "Siamo con te: sei un fratello nobile e generoso, figlio di un fratello nobile e generoso. Ti rimettiamo il comando". Maometto si rivolse quindi loro con parole di perdono che riprendevano, secondo la Rivelazione, le parole che Giuseppe aveva rivolto ai suoi fratelli quando si incontrarono in Egitto: "In verità vi dico, come mio fratello Giuseppe disse: 'Oggi non ci saranno né rimproveri, né recriminazioni. Dio vi perdona e Lui è il più Misericordioso dei misericordiosi".
Fra le donne che vennero a rendere omaggio al profeta c'era anche Hind bin 'Utbah. Nascose la faccia per paura che il Profeta la condannasse a morte prima che potesse abbracciare l'Islam. Così si rivolse a Maometto: "O messaggero di Dio, sia lodato Colui che ha portato in trionfo la religione che anch'io ho scelto". A questo punto scoprì il volto e si presentò come: "Hind, la figlia di Utbah". Il Profeta rispose semplicemente: "Sii benvenuta" e la perdonò.
L'incontro del profeta con Hind avvenne durante una guerra. Hind aveva vendicato l'uccisione del padre e di altri membri della sua famiglia incoraggiando l'uccisione dello zio del Profeta che aveva ucciso i parenti di Hind in battaglia. Aveva quindi mutilato il corpo di Hamzah. La reazione iniziale del profeta fu di rabbia al punto da decidere di infliggere violenza a trenta uomini della tribù dei Quraysh. Ma quando il verso del sacro Corano gli venne rivelato. Dio gli insegnò che anche se una risposta commisurata è accettabile nell'Islam, secondo l'impostazione della giustizia punitiva, nel caso di una violenza subita, è molto meglio essere pazienti, superare la rabbia ed infine affrontare le azioni passate che ormai sono irreversibili con il perdono. Il profeta si comportò con Hiond proprio come la Parola gli aveva rivelato. Mise da parte la propria rabbia ed esercitò pazienza. Rientrando vittoriosamente alla Mecca aveva due alternative: punire Hind per l''atto di violenza commesso contro il suo amato zio o perdonare l'omicida. Scelse di perdonare rispettando quanto viene chiaramente indicato in un altro versetto del Corano:
"Chi poi perdona e fa pace fra sé e l'avversario, glie ne darà mercede Iddio, perché Dio non ama gli iniqui" (Il Corano, XLII, 40).
Conclusioni: insegnamenti dai profeti e bisogno di re-incantesimo?
Cercherò di ricavare alcuni insegnamenti da queste tre storie, evitando di entrare nel merito di un esercizio complesso e difficile quale sarebbe mettere a confronto dal punto di vista religioso i modi in cui i tre profeti hanno affrontato gli omicidi, compito reso più difficile dalla diversità in termini di contesti, ethos, personalità e momenti storici.
E' evidente che un elemento comune a queste storie è che la violenza va fermata. Il Budda fermò Angulimala, Gesù fermò l'apostolo, Hind fu fermata dalla vittoria di Maometto.
Una seconda osservazione può essere fatta a proposito del metodo utilizzato dal Budda in questa storia, che è di natura trasformativa in quanto riesce a cambiare un individuo che era un assassino con una storia sanguinosa alle spalle in un monaco che riuscirà ad ottenere l'illuminazione.
Una terza osservazione, a proposito dell'apostolo di Gesù, mette in luce che l'apostolo non divenne un assassino. Il metodo è qui essenzialmente preventivo perché riesce a prevenire che qualcuno si trasformi in un assassino. L'atto preventivo di Gesù crea forse le condizioni per evitare l'escalation della violenza e realizzare il suo destino che lo porta alla croce.
Come quarta osservazione, va notato che Maometto viene chiamato a confrontarsi con un atto già avvenuto, un atto che lo riguarda personalmente e che potrebbe avere conseguenze politiche se trattato con mancanza di saggezza. Parafrasando Hannah Arendt (1989), uno dei due problemi fondamentali della condizione umana è che quel che è fatto è fatto. Il passato è irreversibile. La questione è dunque come continuare a vivere. Arendt afferma che la sola via per vivere con un passato irreversibile è di perdonare. In questa prospettiva, il metodo del Profeta Maometto può essere definito liberatorio perché consente agli esseri umani di liberarsi dalla tirannia delle azioni di un passato irreversibile. Perdonando il nemico, atto di alta pietà spirituale o necessaria scelta politica, può forse realizzarsi la possibilità di una comunità politica più pacifica dove amici e nemici, assassini e vittime possano vivere fianco a fianco.
In un mondo fatto a pezzi da diverse forme di violenza - diretta, strutturale, culturale - il paradigma profetico suggerisce che le alternative pacifiche alla violenza hanno bisogno di prendere in considerazione sia gli individui, sia i collettivi, il passato e il futuro. Per riuscirci, tali alternative devono poter essere allo stesso tempo trasformative, preventive e liberatorie.
Va anche notato che ciò di cui abbiamo bisogno non sono solo insegnamenti da queste fonti religiose, ma anche occasioni per le persone comuni in un mondo divenuto disperatamente frammentato e per le menti tristemente colpite dall'esilio di re-incantesimo. Gli insegnamenti vanno appresi, ma per poter apprendere abbiamo bisogno di essere vivi e capaci di farci affascinare. Storie come quelle riprese in questo articolo possono forse offrire un'occasione di re-incantesimo, specialmente per chi vive una fede religiosa. In questo senso, con un tocco profetico, le lezioni apprese potranno essere utilizzate per guarire ed indurre cambiamenti per un mondo migliore.
L'autore è attivo presso il Peace Information Center, Foundation for Democracy and Development Studies, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Thammasat, Bangkok.
L'articolo rielabora testi già pubblicati in Camilleri A. (a cura di), "Religion and Culture in Asia-Pacific: Violence or Healing", 2001 e Satha Anand C. e True M. ( a cura di), "The Frontiers of Nonviolence", IPRA, 1998, ristampa 2002. Traduzione di Alessio Surian
Riferimenti bibliografici
Arendt H., "Vita Activa: la condizione umana", trad. it. di S. Finzi, Bompiani, Milano, 1989
Haykal M.H., "The Life of Muhammad", 1976
Lings M., "Muhammad: his life based on the earliest sources", Rochester, 1983
McConnell J.A., "The Rohini Conflict and the Buddha's intervention", in AA.VV., "Radical Conservatism: Buddhism in the Contemporary World", Bangkok, 1990
Keyes C.F., Kendall L. e Hardacre H (a cura di), "Asian Visions of Authority: Religion and the Modern States of East and Southeast Asia", University of Hawaii Press, Honolulu, 1994
Petter Larsson J., "Wholly Justified War: An Analysis of the relationship between religion and war in the contemporary world", 18a Conferenza IPRA, Tampere, 2000
Schumann H.W., "Der historische Buddha", Colonia, 1982
Per le versioni italiane dei testi sacri citati sono stati consultati "Il Corano", BUR, 1988 ( cura di Alessandro Bausani), "La Bibbia di Gerusalemme", EDB, 1974 (edizione diretta da F.Vattioni) e il "Grande Dizionario delle Religioni", Piemme, 2000 (diretto da Paul Poupard).
Fonte: CEM mondialità