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Questa transizione energetica “non s’ha da fare”
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Foto: Markus Spiske da Unsplash.com
Ricordate lo slogan siamo ancora in tempo che qualche anno fa riassumeva la necessità, a livello globale, di modificare il paradigma energetico per attutire l’impatto dei cambiamenti climatici?
Beh, forse è il caso che l’insieme del mondo ambientalista e di quella parte della politica più sensibile alle sorti del pianeta, lo rivolga al proprio interno per rivedere l’approccio fin qui tenuto nei riguardi della transizione energetica. Lo dico anche a seguito dei commenti susseguiti alla ratifica della Tassonomia UE da parte del parlamento europeo, giudicata senza mezzi termini un tradimento, come se quanto fin qui prodotto sul tema della transizione non fosse anche frutto di uno strabismo concettuale di quelle componenti sopracitate, senza dubbio più avvedute di quanto dimostrino di essere i governi e lo stesso parlamento europeo.
In estrema sintesi a me pare che la differenza sostanziale tra le due posizioni, non stia tanto nella manifestazione di intenti, quanto nei tempi e nelle modalità di attuazione, ma onde evitare di concedere al diavolo che, come si dice, si nasconde nei “particolari” un qualsivoglia pretesto, bisogna essere assolutamente certi della validità dei “fondamentali”. Ed è su questi che, fuori da ogni intento polemico, vorrei sollecitare una riflessione.
Alla base di tutto c’è un cambio epocale di paradigma che risiede, sostanzialmente, nel passaggio da un mix energetico centrato sui combustibili fossili, ad un modello “tutto elettrico” esclusivamente alimentato da energie rinnovabili (con appendice parziale di idrogeno verde). Le tappe per realizzarlo, secondo le ultimissime decisioni UE, sono: -55% di emissioni entro il 2030 con conseguente aumento della quota rinnovabili dal 40 al 45%; zero emissioni per il 2050; divieto di produzione veicoli a combustibili fossili entro il 2035; aumento della produzione di idrogeno verde da 1 a 10 milioni di t entro il 2030 a cui vanno aggiunte altre 10 milioni di t di importazione.
Come si presenta, complessivamente il bilancio di questa operazione? Tralasciando, per il momento, i costi economici, mi soffermo su alcuni aspetti “tecnici”: secondo l’IEA per produrre 1 Mwe occorrono 700 Kg di minerali strategici se si impiega il gas, mentre ne occorrono 7 t per il solare fotovoltaico, 10 t per l’eolico onshore e 15 t per quello offshore. Analogamente un automobile tradizionale impiega 40 Kg di questi materiali contro i 200 Kg di un’automobile elettrica di cui buona parte dovuti alla batteria, componente quanto mai problematico dato che al suo ciclo di vita (dall’estrazione dei minerali allo smaltimento) sono associate emissioni di CO2 eq stimate in 150-200 Kg per ogni Kwh erogabile dalla batteria.
Considerate le quantità in gioco, lo scenario che ci si presenta è sconvolgente: secondo l’IEA da qui al 2040 sarà necessario estrarre circa 1900 miliardi di t di minerali con un picco di 20 miliardi di t nel solo 2040 (stimando per quell’anno una percentuale di rinnovabili pari al 70%), che da sole produrranno il 21% delle emissioni globali.
Ciò comporta che la neutralità climatica prevista nel 2050 potrà, semmai, verificarsi solo per i processi di generazione dell’energia, ma non per quelli relativi all’estrazione di materie prime con l’aggravante che questi appesantiscono significativamente l’inquinamento del suolo causato dall’estrazione e raffinazione di questi materiali. A corollario di questi macro-parametri aggiungo qualche problematica applicativa la cui soluzione non è affatto scontata: le reti elettriche cresceranno a dismisura (vedere per credere gli sviluppi previsti in Germania) con conseguente occupazione di suolo utile e per quanto le si immagini “smart” queste reti presentano ancora complessi problemi di stabilità...
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