Quel "greenwashing" insostenibile!

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Se un numero sempre maggiore di consumatori vuole acquistare prodotti rispettosi dell’ambiente che si fa? A quanto pare soprattutto del “greenwashing”, cioè si millanta un impegno nella tutela ambientale che non c’è.  A fine gennaio la Commissione europea ha pubblicato i risultati dell'indagine sui siti web effettuata come ogni anno per individuare violazioni del diritto dell’Unione europea in materia di tutela dei consumatori nei mercati online, indagine che quest’anno è stata dedicata proprio al greenwashing delle imprese, che spesso dichiarano di fare per l’ambiente molto di più di quanto fanno in realtà. Per la prima volta questo lavoro è stato coordinato con le autorità di tutela dei consumatori di tutto il mondo, sotto l’egida della International Consumer Protection and Enforcement Network(ICPEN), la rete internazionale per l’applicazione delle norme in materia di tutela dei consumatori. Esaminando in modo più approfondito 344 affermazioni apparentemente dubbie, l’indagine ha accertato che “in oltre la metà dei casi, il commerciante non aveva fornito ai consumatori informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione; nel 37% dei casi, l’affermazione conteneva formulazioni vaghe e generiche, come cosciente, rispettoso dell’ambiente, sostenibile, miranti a suscitare nei consumatori l’impressione, priva di fondamento, di un prodotto senza impatto negativo sull’ambiente; nel 59 % dei casi, il commerciante non aveva fornito elementi facilmente accessibili a sostegno delle sue affermazioni”. Nel complesso, tenendo conto di vari fattori, nel 42% dei casi le autorità hanno avuto motivo di ritenere che l’affermazione potesse essere falsa o ingannevole e potesse potenzialmente configurare una pratica commerciale non a norma con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Per Didier Reynders, Commissario dell’Unione per la giustizia, “Sempre più persone vogliono vivere una vita all’insegna del rispetto dell’ambiente, per questo mi congratulo con le imprese che si adoperano per produrre prodotti o servizi ecologici. Tuttavia, non si possono ignorare i commercianti senza scrupoli, che ingannano i consumatori con affermazioni vaghe, false o esagerate. La Commissione è fermamente determinata a dotare i consumatori dei mezzi per la transizione verde e a lottare contro il greenwashing. È questa una delle principali priorità della nuova agenda dei consumatori adottata lo scorso autunno”. Adesso spetta alle autorità nazionali contattare le imprese messe sotto la lente d’ingrandimento dell’Europa per segnalare i dubbi e garantire che siano risolti. I risultati dell’indagine confluiranno nella valutazione d’impatto che sarà indispensabile per formulare una nuova proposta legislativa volta a dotare i consumatori dei mezzi per la transizione verde utili a compiere scelte più sostenibili e a tutelarli da pratiche illecite come il “greenwashing” e l’obsolescenza programmata. Non basterà più parlare di “eco”, “naturale” o “sostenibile”, ma, nell’ambito della sua strategia “dal produttore al consumatore” la Commissione proporrà a breve l’introduzione dell’obbligo di apporre sulla parte anteriore dell’imballaggio un’etichetta dalla quale i consumatori possano capire le scelte alimentari non solo più sane, ma anche più sostenibili. Un’indicazione in più per il consumatore, che sugli elettrodomestici ha già la possibilità di vedere da alcuni anni un’etichetta energetica voluta proprio dall’Unione, che descrive l’efficienza energetica dei prodotti, il che consente ai consumatori di risparmiare sulle bollette elettriche domestiche, riducendo allo stesso tempo le emissioni di gas a effetto serra in tutta l’Unione europea. 

Eviteremo quindi di incorrere in inganni come quello fatto da Eni e che nel 2020 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha multato per 5 milioni di euro “per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli utilizzati nella campagna promozionale che ha riguardato il carburante EniDiesel+, sia relativamente all’affermazione del positivo impatto ambientale connesso al suo utilizzo, che alle asserite caratteristiche di tale carburante in termini di risparmio dei consumi e di riduzioni delle emissioni gassose”. Un inganno nascosto dietro le parole e che secondo l’AGCM, “Derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), chiamata da Eni Green Diesel, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati. Nei messaggi si utilizzavano in maniera suggestiva la denominazione Green Diesel, le qualifiche componente green e componente rinnovabile, e altri claim di tutela dell’ambiente, quali aiuta a proteggere l’ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni, sebbene il prodotto sia un gasolio per autotrazione che per sua natura è altamente inquinante e non può essere considerato green”. Come se non bastasse per l’AGCOM “alcune delle vantate caratteristiche del prodotto, relative alla riduzione delle emissioni gassose fino al 40%, delle emissioni di CO2 del 5% in media, e dei consumi fino al 4%, non sono risultate confermate dalle risultanze istruttorie, in quanto parziali”. Ad esempio, non per tutte le emissioni gassose e non in tutti i casi la riduzione risultava raggiungere il 40% e, per i consumi, la riduzione era solo in minima parte imputabile alla componente denominata da Eni “Green Diesel” e invece per la maggior parte riferita all’intero ciclo del prodotto, dato abilmente mascherato dall’azienda. Questo efficace intervento ha permesso l’interruzione della campagna stampa e l’impegno di Eni a non utilizzare più, con riferimento a carburanti per autotrazione, la parola “green”. 

La clamorosa sentenza è arriva solo dopo un reclamo per pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo presentato da Legambiente, dal Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment (T&E), ma è stato un segnale forte nei confronti delle compagnie di combustibili fossili e dei loro tentativi di presentarsi come rispettosi dell’ambiente, quando non addirittura come una parte della soluzione alla crisi climaticaQuella dello scorso anno è stata una decisione storica, perché per la prima volta in Italia si è parlato ufficialmente di "greenwashing" e perché è stato smascherato un grande inganno ai danni dei cittadini, sui quali da adesso vigilerà sempre più e speriamo sempre meglio, anche la legislazione europea. 

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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