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Quando i nostri integratori disintegrano l’ecosistema
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Da classicista, la prima cosa che mi è sempre venuta in mente quando mi è capitato di sentir parlare di Omega 3 ha avuto a che fare con le curve dell’alfabeto greco, ricordi in metrica di epici studi liceali. Da un po’ di tempo, però gli Omega 3 evocano per me altri scenari, meno poetici, molto più attuali.
Se della conoscenza del greco possiamo fare tranquillamente a meno (anche se in effetti in età scolastica lo raccomanderei come un buon ricostituente per lo sviluppo articolato delle capacità intellettive), agli Omega 3 pare non si possa rinunciare. Sono acidi grassi essenziali, sostanze indispensabili per il corretto funzionamento del nostro organismo e per il suo mantenimento in buona salute. Sostanze che però non possono essere sintetizzate dalle cellule umane, anche se la loro funzione è quella di mantenerne integre le membrane. Cosa significa? Significa che, allora, l’unico modo per garantirne al corpo la disponibilità è introdurli con la dieta. Tre sono gli acidi grassi Omega 3 che possiamo assumere attraverso l’alimentazione: ALA (alfa-linoleico), EPA (eicosapentaenoico), DHA (docosaesaenoico). Se il primo è di origine vegetale, gli altri due (noti anche come n-3 HUFA) si trovano nei pesci d’acqua salata e nelle microalghe e sono questi, guarda caso, le forme di Omega 3 che l’organismo umano utilizza al meglio per ridurre infiammazioni e diminuire il rischio di malattie croniche come l’artrite o i disturbi cardiovascolari. Sono infatti presenti in alte concentrazioni nel nostro cervello ed è lì che si danno da fare: garantiscono e tutelano le funzioni cognitive e regolano i comportamenti. Una dieta bilanciata, che contenga verdure, pesce e frutti di mare, frutta, legumi, cereali integrali e olio EVO, permette un proporzionato apporto di Omega 3 e di Omega 6 (che invece tendono a promuovere i fenomeni infiammatori) e garantisce il giusto equilibro tra questi due tipi di acidi grassi polinsaturi.
Bene. Quindi, tra sonorità greche e salute mediterranea, dov’è il problema? Dove si perdono la poesia, la salute e … le balene?
Mario Tozzi, geologo, in un recente articolo, mette in luce connessioni non proprio scontate: divorando Omega 3 per necessità o per smanie salutiste, mettiamo in serio pericolo la sopravvivenza dei cetacei. Come? Togliendo loro la principale fonte di nutrimento. Degli Omega 3 si sa molto per quanto riguarda benefici e bisogni, ma poco o nulla della provenienza. In molti casi il “contenuto” di Omega 3 deriva dal Krill (Euphasia superba), un piccolissimo crostaceo che sta alla base dell’alimentazione dei più grandi mammiferi del mare, ma anche dei pesci e degli uccelli che si nutrono nelle acque dell’Antartide, area a rischio e delicatissima per gli equilibri planetari.
Non sono poche le navi che drenano letteralmente le acque antartiche (negli ultimi 40 anni la presenza di Krill si è ridotta dell’80%), pur essendo aree incontaminate protette da trattati internazionali, il cui sfruttamento per ragioni commerciali dovrebbe essere vietato. E in realtà lo è: si tratta infatti di una pratica illegale, perché interrompe uno degli ecosistemi più fragili della Terra dove “un uovo di pesce impiega due anni per diventare larva”, come ci ricorda Silvio Greco, biologo marino presidente del comitato scientifico di Slow Fish.
Con lo scioglimento dei ghiacci spariscono anche le alghe che nutrono questo piccolissimo crostaceo, che subisce una pesca scellerata per la produzione di integratori destinati non solo a noi umani, ma anche ai nostri animali domestici. “Degli Omega 3 possiamo fare a meno, delle balene no”, afferma Tozzi.
Ma come? Non abbiamo appena detto che questi acidi grassi essenziali sono indispensabili per la nostra salute? Infatti, lo sono. Ma gli integratori non sono la fonte più sostenibile per assumerli.Sono preferibili invece i pesci a ciclo vitale breve, come sarde, acciughe o frutti di mare, decisamente più accessibili, insieme a tutte quelle fonti vegetali di cui la dieta mediterranea abbonda. Basterebbe “solo” un po’ di attenzione in più per ciò che acquistiamo, anche se purtroppo come consumatori non siamo sempre facilitati nelle nostre scelte: in rarissimi casi le etichette dei prodotti che compriamo e che contengono Omega 3 ne riportano composizione e provenienza, e questa omissione di informazioni è già, per chi legge tra le righe, un’ammissione di colpa. Verso il nostro ecosistema, verso le dinamiche inspiegabili e assurde che ci portano a disinteressarci delle connessioni che ci mantengono in vita, ben oltre l’assunzione di un integratore.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.