Profughi veri, profughi finti

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Foto: Unsplash.com

“Mio fratello e sua moglie stanno scappando dalle bombe, nel 2022, al confine con l’Europa. Non avevo mai veramente preso in considerazione che qualcosa di simile potesse accadere a delle persone così vicine a me, non sono riuscita a tirare il fiato finché non ho saputo che avevano valicato a piedi il confine. Il panico, la disperazione e il dolore sui volti degli ucraini sono sensazioni che immagino sulla mia carne in modo vivido come mai prima”. La profonda riflessione di una psicologa sociale che opera nell’accoglienza quando improvvisamente realizza come diventare un profugo sia qualcosa che semplicemente ti capita, ti cade addosso, indipendentemente da chi tu sia e da dove tu provenga. Solo quando il problema rischia di coinvolgerci direttamente siamo in grado di reagire? Cosa ci spinge a trattare i profughi ucraini diversamente da tutti gli altri? Cosa ci permette di dare un peso specifico al dolore in base alla provenienza? Giulia Scocciolini prova a rileggere l’esperienza di queste settimane in modo coerente per dargli un significato, dato che la guerra in Ucraina ha inizialmente messo a soqquadro molto di quel che pensava di conoscere perfino di se stessa. Poi una cosa è finalmente apparsa chiara: le differenze, come i punti di comunanza tra noi e i membri di altri gruppi, possono essere più o meno numerosi, ma dipendono sempre e solo da noi, dal modo in cui guardiamo le cose e le persone.

Nell’ufficio della questura della città in cui vivo è stato affisso un enorme cartello color giallo e azzurro in cui si da il benvenuto ai profughi ucraini. Mi colpisce vedere tale oggetto all’interno di un ufficio in cui spesso i migranti con cui lavoro in accoglienza si vedono rigettare la loro domanda di asilo, senza che ci sia alcun cartello edulcorante a salutarli.

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina la mobilitazione della popolazione occidentale per fornire aiuto agli ucraini in fuga è stata di una generosità e un altruismo senza precedenti. Forse per la prima volta anche gruppi di destra, notoriamente contrari all’accoglienza di migranti, si sono spesi in prima persona per portare i profughi ucraini al sicuro in Italia, in altre circostanze questo tipo di azioni sarebbero state viste come “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

Questa reazione ha destato non poco disorientamento negli ambienti che si occupano di accoglienza, che da sempre devono combattere contro un sistema che spesso ostacola apertamente l’inserimento delle persone straniere sul territorio. Uno dei dibattiti più ignobili, scaturito dai politici di destra (ancora loro), è stato quello sull’esistenza di “profughi veri” e “profughi finti”.

Si fanno due pesi e due misure, le discriminazioni si sono rivelate in modo eclatante nel trattamento riservato ai profughi provenienti dall’Ucraina e tutti gli altri.

Nonostante io lavori con persone migranti da diversi anni, consideri me stessa una persona sensibile a certi temi e abbia sentito le storie più atroci di violenza e fuga per la propria salvezza, ammetto con un certo disagio che non sono esente da tale atteggiamento “doppiopesista”. Il panico, la disperazione e il dolore sui volti degli ucraini sono sensazioni che immagino sulla mia carne in modo vivido come mai prima.

Mentre scrivo è trascorso poco più di un mese dal 24 febbraio, il giorno in cui Vladimir Putin ha dato l’ordine all’esercito russo di invadere l’Ucraina ed è iniziata la guerra. Quel mattino mi ero svegliata all’alba per recarmi al centro tamponi ed accertare la mia positività al covid-19, prima di alzarmi dal letto ho preso il cellulare e aperto i social, ho iniziato a leggere le prime notizie dei bombardamenti in alcune città ucraine.

Mio fratello vive a Odessa da qualche anno, sua moglie e la famiglia di lei sono ucraini, abbiamo festeggiato il matrimonio tutti insieme solo qualche mese prima. Lo chiamo immediatamente, mi dice che è stato svegliato dalle bombe e che sta scappando con sua moglie verso il confine moldavo. Io rimango incredula e terrorizzata. Mio fratello e sua moglie stanno scappando dalle bombe, nel 2022, al confine con l’Europa. Non avevo mai veramente preso in considerazione che qualcosa di simile potesse accadere a delle persone così vicine a me, non sono riuscita a tirare il fiato finché non ho saputo che avevano valicato a piedi il confine.

I giorni seguenti sono stati un continuo controllare in modo ossessivo se le persone ucraine che conosco erano online sui social, leggere qualsiasi notizia riguardante la guerra, stare con la faccia incollata al telefono o al televisore. L’essere in isolamento per Covid non mi ha sicuramente aiutato a trovare altre distrazioni, in compenso ha reso il tutto ancora più surreale.

Poi la guerra ha iniziato a fare il suo corso, mostrandosi sotto forma di città e quartieri rotti, deturpati come se fossero fatti di cartone; somigliano più a delle discariche in fiamme che a luoghi dove fino a circa un mese fa era organizzata intorno la vita. Alcuni di quei luoghi li ho visitati solo qualche anno prima durante una vacanza, adesso sono irriconoscibili. Mi colpisce la quantità di macerie e oggetti riversati al suolo, come una marea demoniaca incontenibile, mi chiedo come facessero le abitazioni dei cittadini a contenere tutti quegli oggetti destinati alla quotidianità e che ora sono esplosi ovunque. Tutti quegli intimi spazi domestici violentati e sparsi disordinatamente sotto gli occhi di chiunque. Niente è più al suo posto e niente ha più un posto dove stare, è solo caos e distruzione...

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