Prete a Rebibbia

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Foto: Unsplash.com

Don Roberto Guernieri, cappellano del carcere di Rebibbia a Roma, ha terminato i suoi giorni terreni il 25 novembre 2021. Lo ricordiamo con questa intervista. Cappellano nel carcere romano di Rebibbia da 26 anni, don Roberto Guernieri si definiva un “prete scomodo”, da sempre a contatto con le fragilità del nostro tessuto sociale.

Quanti sono i detenuti in questo momento a Rebibbia? E quanti i cappellani?

Circa 2.630, comprese 350 donne con una ventina di bambini da 0 a 7 anni. Siamo 6 cappellani. Tre sono dedicati al complesso più grande con 1500 detenuti per tutte le tipologie di reati. Esistono poi altre strutture più piccole dedicate, ad esempio, ai collaboratori di giustizia e alla lunga detenzione, i semiliberi e quelli da avviare ai centri per il recupero dei tossicodipendenti.

Si dice che i delinquenti veri restino poco in carcere, mentre i soggetti più poveri sono indifesi ed esposti alla scuola della violenza.

È così. Proprio in questi giorni mi sto occupando del caso di alcuni ragazzi fragili, “sfigati” anche nel senso della giustizia, perché sperano in qualche forma un’attenuazione della pena, ma ne vengono esclusi. Anche per i reati minori sono previste pene detentive. Chi non ha reti amicali e familiari rischia di restare impigliato nella macchina della giustizia e finisce per stare in carcere più del dovuto.

E il sovraffollamento?

Esiste e produce problemi gravissimi. La convivenza forzata tra persone che non si sono certamente scelte ma costrette a vivere a stretto contatto per tutta la giornata non può non produrre tensioni e problemi. Consideri 6 persone in una stanza 3 per 4 metri con annesso il bagno comune dove cucinano, mettono le loro cose e fanno i loro bisogni. Una piccola televisione. Non c’è spazio per muoversi se consideriamo il tavolo al centro con gli sgabelli. Insorgono gravi problemi di salute in un ambiente dove non vige la fiducia ma il sospetto, con la speranza che viene meno facilmente. Ci sono telecamere dappertutto, anche in chiesa. Per qualsiasi necessità bisogna fare una richiesta scritta, anche per lo spazzolino o la carta igienica.

Il numero dei detenuti in Italia, circa 60 mila, è molto basso se pensiamo ad altre nazioni. Ma il carcere riesce ad essere un luogo di riabilitazione per chi ha commesso un delitto?

No. Purtroppo non è tale. Il carcere può avere una funzione per contenere i casi pericolosi e irriducibili, come i mafiosi, che non vogliono cambiare in alcun modo. Può servire per mettere da parte gli autori dei reati sessuali che restano separati da tutti gli altri. Sono gli stessi detenuti “normali” che vogliono punire gli autori dei crimini contro donne e bambini. Ma per tutti gli altri reclusi che vogliono cambiare vita non serve a niente. Adesso è un parcheggio dove ci sono tante iniziative sostenute dai volontari e dalla stessa amministrazione, ma la speranza è fuori da queste mura.

La scuola interna è comunque un bel servizio…

L’accesso dalle elementari all’università è realmente garantito. Sono accessibili le biblioteche di reparto e quella centrale, ovviamente il tempo necessario a scegliere il libro da portarsi in cella. Anche quotidiani e periodici sono accessibili...

L'intervista fatta da Carlo Cefaloni segue su Cittanuova.it

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