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Petrini: «Il cibo dev’essere un diritto, non un bene da scambiare in Borsa»
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Foto: Sergey Kotenev da Unsplash.com
Per sfamare otto miliardi di persone, e in prospettiva dieci, la strada è tanto chiara quanto rivoluzionaria: smettere di inseguire il profitto e cominciare a difendere la produzione alimentare, la terra da cui essa dipende e le persone che la coltivano.
Il cibo dev’essere un diritto, non un bene da scambiare in Borsa; una priorità universale, non una commodity grazie alla quale arricchirsi a scapito di qualcun altro, della salute del pianeta e del futuro dell’umanità. Queste dovrebbero essere le premesse – non negoziabili – alla base del secondo Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari sostenibili che si è tenuto dal 24 al 26 luglio nel quartier generale della Fao a Roma, per dare seguito agli impegni presi durante l’analogo incontro che si tenne nel 2021.
Oggi come allora la visione e gli obiettivi del vertice sono però ben lontani da quanto auspicato. Due anni fa oltre 9000 persone appartenenti a organizzazioni della società civile – tra cui Slow Food – hanno organizzato una mobilitazione in parallelo al vertice ufficiale, esprimendo forti riserve sulla sua struttura, sull’orientamento politico e sul processo di organizzazione che, fin dall’inizio, non ha promosso un multilateralismo democratico, inclusivo e partecipativo, bensì ha messo al centro i potenti dell’agribusiness.
Legittimare ai più alti livelli delle Nazioni Unite gli interessi degli attori privati è molto pericoloso perché normalizza un modello di governance in cui il bene pubblico e la tutela di un diritto universale si piegano al volere delle multinazionali.
L’incontro che si appresta a iniziare probabilmente non farà che confermare questo approccio, “vendendo” soluzioni di natura puramente tecnologica ed economicamente poco accessibili, come trasformative e risolutive delle attuali distorsioni dei sistemi alimentari. Eppure le crisi continue e sistemiche che da diversi anni a questa parte ci troviamo a vivere e che hanno portato a una esacerbazione delle disuguaglianze, sono largamente imputabili al crescente potere delle lobby all’interno degli spazi politici. Per questo la contro-mobilitazione di molte organizzazioni della società civile, dei popoli indigeni, di contadini, pastori e pescatori continua anche nel 2023.
Gli ultimi dati contenuti nel report della Fao sullo stato della sicurezza alimentare nel mondo restituiscono dati allarmanti.
Nel 2022 735 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame e sebbene il numero a livello globale si sia fermato tra il 2021 e il 2022, alcuni luoghi vertono in condizioni tragiche a causa anche degli effetti ormai lampanti della crisi climatica. È il caso dell’Africa con il 20% della popolazione del continente che soffre la fame, più del doppio della media globale. Andando oltre questo dato, il rapporto rileva anche che circa il 29,6% della popolazione globale, pari a 2,4 miliardi di persone, vive in condizioni di insicurezza alimentare, a significare che almeno uno dei quattro pilastri (disponibilità, accesso, utilizzazione del cibo e stabilità), su cui si fonda questo concetto, non sempre è garantito...