Perché dovremmo occuparci di agricoltura?

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Nel 2005 l'Organizzazione mondiale del commercio compie dieci anni di vita e con essa, tutti gli accordi negoziati durante l'Uruguay Round (Ur).
L'anniversario coincide con uno dei momenti più delicati del negoziato in corso, il Doha Round, poiché il WTO si trova costretto ad inseguire entro la prossima
conferenza ministeriale di Hong Kong (dicembre 2005), un accordo che ne permetta una positiva conclusione nel corso del 2006.
L'agricoltura è il tema centrale dei negoziati e tocca in maniera diretta la
politica agricola dell'Unione Europea e quella degli Stati Uniti d'America. Il suo
inserimento nel sistema delle regole del commercio multilaterale avvenne nel 1986 con il lancio dell'Uruguay Round. I negoziati partirono da una angolazione puramente economica e l'accordo che ne scaturì relegò l'ambito degli aspetti non commerciali fra gli impegni relativi alla successiva espansione dell'accordo (articolo 20).
Nel negoziato attuale il tema appare però relegato in secondo piano, ad occupare il centro del palcoscenico sono l'impegno a ridurre i sussidi e ad aumentare le esportazioni.
Al di fuori di uno stretto giro di esperti, il tema risulta incomprensibile anche
perché alla maggior parte della gente appare del tutto oscuro il sistema agricolo e alimentare mondiale; al massimo la richiesta di cancellazione dei sussidi viene vista come il tentativo di eliminare il sostegno ai nostri agricoltori, banalizzando il problema in una contrapposizione fra il (ricco) agricoltore del Nord e il (povero) contadino del Sud.
Stereotipo che però entra in crisi di fronte alle sempre più frequenti manifestazioni dei nostri agricoltori ed allevatori che lamentano la caduta dei
prezzi e la crescente concorrenza di altri paesi. Ancora meno chiaro appare come mai l'agricoltura risulti il principale oggetto del contendere nei negoziati WTO, anche perché nel mondo occidentale viene percepita come attività marginale, perlomeno in termini di occupazione, rispetto all'industria e ai servizi.

Perché dovremmo occuparci di agricoltura se agricoltori non siamo?
Perché la terra è la fonte della nostra vita e il cibo non è un prodotto qualsiasi. Purtroppo gran parte del sistema che produce tutto quello che finisce nel nostro stomaco è ingiusto, socialmente iniquo, potenzialmente pericoloso per la nostra salute e povero di gusto. Di fronte a questa realtà talvolta la giustificazione addotta è che non si può pretendere altro se si vuole produrre a costi così bassi, ed in effetti rispetto alle generazioni precedenti spendiamo una percentuale minore del nostro reddito per alimentarci ed è sempre meno il tempo che dedichiamo alla scelta dei prodotti e alla preparazione dei pasti.
Ma se siamo ciò che mangiamo non è il caso di iniziare a preoccuparci? Analizzando molto superficialmente il sistema agro-alimentare intuiremo che la liberalizzazione del mercato agricolo è funzionale allo sviluppo di un modello agroalimentare che in questi dieci anni ha subito una autentica rivoluzione mondiale e che si appresta ad una ulteriore fusione ed internazionalizzazione nei settori della produzione e della vendita. Nel febbraio 2003, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) tenne all'Aia una conferenza intitolata "Changing Dimensions of the Food economy". Il professor Grievink presentò un approfondito studio pronosticando che nel prossimo futuro ci sarà un oligopolio rappresentato da 4/5 catene stile Wal-Mart (la catena statunitense più grande del mondo) e 20/25 multinazionali globali si spartiranno il mercato alimentare mondiale.
Il ministro dell'agricoltura olandese, Cees Veerman, nel presentare la conferenza parlò di una nuova economia alimentare dominata da soggetti globali sfuggenti alla giurisdizione delle autorità garanti della concorrenza. "L'equilibrio di potere all'interno del sistema è stato completamente stravolto", disse, "Sono i grandi rivenditori al dettaglio e le aziende di trasformazione alimentare a dominare il settore, non il coltivatore o l'allevatore".
Ma concentrare il potere delle scelte alimentari del pianeta in poche mani è un
suicidio collettivo. Tocca a noi consumatori agire, rendendoci consapevoli che alla fine siamo proprio noi, attraverso le nostre scelte, a sostenere una determinata tipologia di agricoltura oppure no, e di conseguenza a condizionare il futuro della terra e dei contadini.

Per questi ultimi, l'attuale negoziato volto a rinnovare l'accordo agricolo WTO non si sta muovendo su un binario favorevole. La martellante pressione tendente ad inseguire il mito dell'accesso al mercato ignora totalmente le loro esigenze, sottoponendole a quelle delle imprese agroalimentari. In particolare, ai paesi più poveri servono più mezzi per difendere le proprie fragili economie e far crescere un mercato interno, senza il quale, l'eldorado delle esportazioni, rimane uno specchietto per le allodole.

Al "compleanno" dell'Accordo agricolo è dedicato un lavoro di ricerca pubblicato (in bozza) su www.beati.org/wto

Indice
Introduzione p. 3

Premessa
La dimensione e i principali attori del commercio agricolo internazionale p. 5
Cap. 1: Il sistema p. 6
Cap. 2: La storia dell'AoA p. 19
Cap. 3: Il risultato dell'Uruguay Round p. 24
Cap. 4: Gli effetti p. 29
Cap. 5: L'Africa p. 38
Cap. 6: I negoziati in corso (2000-2005) p. 49
Cap. 7: I principali nodi da risolvere in vista di Hong Kong p. 55
Cap. 8: Conclusione p. 80
Allegato I: il commercio dei prodotti agricoli p. 83
Allegato II: il commercio con l'estero dell'agroalimentare italiano p. 85
Allegato III: La spesa agricola euro-americana (Pac e Farm Bill) p. 87
Allegato IV: I gruppi di paesi all'interno del WTO p. 98
Glossario

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