Per uscire dalla crisi l’Italia abbia il coraggio di scegliere l’agroecologia

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Foto: Unsplash.com

Sono tempi complessi per il mondo dell’agroalimentare in Italia, in Europa ma un po’ dappertutto. La consapevolezza che il sistema globalizzato ha determinato un modello non sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale aveva già mandato alcuni segnali inequivocabili durante la pandemia. In realtà, avevamo capito già da decenni che l’agricoltura di piccola scala era la soluzione giusta per il rafforzamento dei sistemi locali del cibo ma è sempre lasciata ai margini delle politiche agricole pur essendo riconosciuto come l’unico modello a poter garantire una vera svolta ecologica.

Abbiamo visto nascere una sofferta Pac, un rinvio di due anni per la sua applicazione, e abbiamo assistito alla nascita di un Piano strategico nazionale spesso incoerente e confuso, non in grado certamente di mettere a fuoco le esigenze di conversione ecologica che il pianeta ci chiede.

Adesso abbiamo una guerra in mezzo all’Europa e le speculazioni sono partite con la stessa velocità delle bombe. Non è esagerato parlare di speculazioni perché la crisi generalizzata dell’energia e delle materie prime era già iniziata da mesi e non è stata effetto diretto dell’invasione russa in Ucraina. Almeno non può essere un effetto così immediato e così generalizzato, senza considerare quali Paesi abbiano una maggiore o minore dipendenza dalle produzioni delle nazioni coinvolte nel conflitto.

La guerra non sia un diversivo per attaccare l’agroecologia

Sono molte le analisi che da più parti dimostrano la speculazione che raggiunge l’apice nel momento in cui le lobby dell’agroindustria hanno deciso di dare addosso alle politiche proposte con il Green Deal, alla Farm to Fork e alla Strategia Biodiversità 2030. Per un attimo è apparso come se le politiche di transizione agroecologica fossero causa diretta dell’instabilità politica ed economica. In realtà, l’agroindustria non vedeva l’ora di attaccare l’agroecologia, e la guerra è stato il momento giusto per strumentalizzare le emozioni di cittadini che non hanno una lettura completa della condizione globale e si trovano travolti dal timore di ristrettezze e scarsa disponibilità di cibo.

Ma la guerra dovrebbe, invece, dirci, o ripeterci per l’ennesima volta, che l’agricoltura senza pianificazione e senza agricoltori non aiuta il sistema. È miope pensare che basti coltivare di più per affrontare il problema senza sapere dove e cosa coltiviamo. Come sempre, immaginiamo di assumere iniziative che servono a mettere una pezza sapendo che se si tira da una parte se ne scoprirà un’altra.

L’agroecologia si costruisce, non si conquista senza il sacrificio di modificare le monocolture, la zootecnia intensiva, l’uso di chimica di sintesi a scapito dei nostri suoli e dell’acqua che scarseggia sempre di più.

Serve più coraggio nella transizione ecologica

Il Mipaaf ha avuto il merito, in questi giorni, di pubblicare le osservazioni della Commissione europea sul Piano strategico nazionale inviato a dicembre scorso. Un documento severo, attento e, in alcuni passaggi, inclemente. Ne esce un plauso per alcuni provvedimenti (a cominciare dal rafforzamento dell’agricoltura biologica) ma anche una serie di richiami sul mancato rispetto delle previsioni di conversione ecologica raccomandate da una serie di documenti di matrice europea, a cominciare dalle citate Strategie. Insomma, all’agroecologia non si dovrebbe derogare, gli impegni assunti devono essere meno timidi e facilmente misurabili, con indicatori ben definiti in grado di dare segni quantitativi di quale sarà la condizione dell’agricoltura del nostro Paese nel 2027 e, soprattutto, se e quanto avremo migliorato la condizione ecologica del nostro territorio...

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