Palestina: lettera della Morgantini sulla pena di morte

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Domenica 12 giugno nella Prigione Centrale di Gaza (al Saraya) in Palestina quattro uomini condannati per omicidio e per altri crimini tra il 1995 e il 2000 sono stati giustiziati a morte da parte dell'Autorità Palestinese. "Un pericoloso passo indietro" ha dichiarato Amnesty International che aveva chiesto più volte al presidente palestinese Mahmoud Abbas di non interrompere la moratoria in vigore da tre anni. Ad aprile la Sezione Italiana dell'associazione aveva inoltrato una identica richiesta alla rappresentanza palestinese in Italia, sollecitando un incontro ma senza ottenere risposta.

Dopo l'esecuzione, nel giugno 2002, di due uomini condannati per stupro e omicidio, l'Autorità Palestinese aveva introdotto una moratoria di fatto, considerata da Amnesty International uno sviluppo positivo e in linea con la tendenza mondiale verso l'abolizione della pena di morte. Ora l'organizzazione per i diritti umani è preoccupata per il rischio di ulteriori esecuzioni. Nei bracci della morte palestinesi si trovano almeno 50 prigionieri, la maggior parte dei quali condannati tra il 1996 e il 2004 per omicidio e stupro, gli altri per collaborazionismo con le forze israeliane. L'applicazione della pena di morte da parte dell'Autorità Palestinese è caratterizzata da numerose iniquità: gli imputati sono processati da tribunali militari, difesi da avvocati d'ufficio e condannati al termine di udienze brevissime, senza possibilità di appello se non alla grazia presidenziale.

Questa contrarietà è espressa anche nella lettera aperta "No, caro Presidente, la pena di morte non ripristina l'ordine, è un crimine" scritta da Luisa Morgantini - presidente della Commissione Sviluppo del Parlamento europeo, gia portavoce delle Donne in Nero - al Presidente palestinese Mohammed Abbas. "E' stata la prima esecuzione attuata dal 7 Agosto del 2000. Anche allora ero rimasta sgomenta e avevo protestato con il Presidente Arafat, con il Ministro degli esteri Nabil Shaat. Ne avevo parlato con Arafat in un nostro incontro a Ramallah, si era alterato, ma poi Nabil Shaat, mi telefono' per confermarmi che l'autorità Nazionale Palestinese introduceva una moratoria alla pena di morte, e che con il tempo la legislazione sarebbe cambiata. Potevo forse dubitare - mi disse - che nel nuovo Stato Palestinese la pena di morte non sarebbe stata abolita? No, non lo dubitavo, ma ora ho tanta paura perchè in nome dell'ordine si commettono crimini".

"Alcuni mi hanno detto che usare l'autorità dello Stato e eseguire la pena di morte era l'unico modo per impedire che fossero le famiglie che avevano subito il torto a vendicarsi. Caro Presidente, conosco le difficoltà, conosco le vendette dei clan familiari quando un torto è fatto ad uno dei loro membri. Io stessa ho assistito a Khan Yunis a tentativi di riconciliazione dopo che per litigi di potere o di attentati alla proprietà, morti erano rimasti sul terreno". Nella lettera la Morgantini si richiama alla negatività della cultura della vendetta che la pena di morte rappresenta ed esprime il suo sostegno alle organizzazioni palestinesi per i diritti umani che chiedono l'abolizione della pena di morte. "Ci troviamo in un momento cruciale per il raggiungimento di una soluzione all'occupazione militare dei territori palestinesi. La popolazione palestinese ha bisogno di democrazia, giustizia e pace". [AT]

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